Le schegge, un capolavoro
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Leggere Le schegge è stato come ritrovare un vecchio amico dopo 13 anni (tanti ne sono passati da Imperial Bedrooms, l’ultimo romanzo di BEE). Anzi, dopo 37 anni, perché l’ambientazione è esattamente quella di Meno di Zero, che ebbi la fortuna di comprare nella prima edizione italiana Pironti con la postfazione di Fernanda Pivano nel 1986, assolutamente per caso, ispirato dalla splendida sovracopertina (che poi, stupidamente, ho gettato perché consumata). Il protagonista, poi, si chiama proprio Bret Ellis, è all’ultimo anno di una costosissima high school privata di Los Angeles, è stanco del tran-tran del liceo e un po’ angosciato dalla prospettiva del college, alla quale preferisce quella di dare sfogo alla sua vena di scrittore: sta lavorando ad un romanzo che s’intitola… Less then zero. Alla stessa maniera, pur essendo fidanzato con una delle più belle ragazze della scuola, Debbie, è molto più soddisfatto dalle esperienze sessuali con Matt, Ryan e Jeff. Non a caso, quando il padre di Debbie, Terry, magnate di Hollywood, gli propone sostanzialmente di trarre un film dal suo romanzo in cambio di una prestazione sessuale, Brett non ha nemmeno la forza di protestare. Anzi.
A stravolgere la narrazione dell’ultimo anno di liceo di Brett Ellis e Debbie Schaffer e dell’altra “coppia d’oro” della Buckley, Thom Wright e Susan Reynolds, è l’apparizione di Robert Mallory, new entry di Chicago. Segni particolari: bello e ricco come loro, ma inseguito da indiscrezioni circa un ricovero in una clinica psichiatrica in seguito al misterioso suicidio della madre. Apparizione che si sovrappone, almeno agli occhi di Bret – che, un po’ pasolinianamente, ritiene che lo scrittore “sente cose che non ci sono”, appunto una rivisitazione dell’“io so” di PPP – ai delitti del cosiddetto “Pescatore a strascico”, serial killer che strazia in modo particolarmentre bizzarro i cadaveri delle sue giovanissime vittime.
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Sulla trama, ovviamente, non aggiungiamo nulla, rassicurando i nostri cinque lettori che i colpi di scena magistralmente orchestrati da Bret Easton Ellis (il quasi sessantenne) li terranno incollati a Le schegge fino alla fine: questo sì è un romanzo dal quale Terry Schaffer (o meglio, il produttore cinematografico che ha realmente sedotto il giovane autore di Meno di zero) potrebbe trarre un blockbuster (thriller? horror? splatter?). Sono registri ai quali il nostro amato BEE ci ha abituati, dietro ai quali ama nascondere – non solo a mio avviso – potenti metafore. Robert Mallory (ma i sospetti di Bret saranno davvero fondati?) veste un po’ i panni di Christian Bale, il protagonista di American Psycho: così bello, ricco e affermato da potersi permettere qualsiasi cosa. Dopo essersi bevuto, fumato, sniffato e scopato tutto, cosa resta da fare a questi adolescenti completamente disinibiti, se non provare l’emozione della violenza, addirittura dell’omicidio? Più ci si avvicina ai fatti di sangue del 1981, ai delitti del Pescatore e strascico che vedranno quali vittime anche membri della compagnia di Bret, e più – analizzando il contesto sociale, il ménage dello stesso protagonista, i riferimenti a quello che gli sarebbe successo poi, a quello che oggi è Bret Easton Ellis – ci si rende conto che l’incombere di quei fatti di sangue altro non rappresenta se non il trauma per la fine dell’“insensibilità provocante”, l’ansia per l’ormai prossimo ingresso nel mondo degli adulti, l’inizio della paranoia e – pirandellianamente – la sofferenza per la costrizione ad impersonare sempre più spesso il “visibilmente partecipe” (che studia, che si vuole diplomare bene ed accedere ad un college prestigioso, eterosessuale e fidanzato con la più bella del reame), rinunciando ad essere sé stesso (il 17enne scrittore gay, compagno di sbronze e di letto dei personaggi ai margini del gruppo): quello che Robert Mallory gli rimprovera di essere. “Sei troppo giovane per recitare una parte, sei troppo giovane per diventare già adulto”, si dice Bret. Come ha avuto modo di spiegare pubblicamente, al centro del romanzo forse più emozionale e sofferto – prima di riuscirci, ha provato a completarlo o riscriverlo anche nel 1983, 1999, 2006 e 2013 – c’è anche la difficoltà di essere gay che provò solo a 17 anni: “Andando a ritroso nella mia vita, credo che quello sia stato il primo momento in cui mi resi conto dell’ignoranza degli eterosessuali a proposito dei gay”. Omosessualità che BEE scoprì a 8/9, che non gli provocò particolari problemi né prima, né dopo quel fatidico 1981.
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(c) B.E.E.
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Bret Easton Ellis è maturato stilisticamente, si guarda indietro, torna sul luogo del delitto – Le schegge è ancora uno stradario di L.A., una scaletta di MTV, del resto iniziò a scriverlo a 18 anni – ma ha adottato la prima persona e abbandonato il minimalismo, arricchendo i suoi “affreschi”. Le schegge è assieme il più appassionante dei thriller e il più intimista dei memoir, i ricordi di un uomo che si sente vecchio (“non credevo che avrei mai avuto il corpo di mio padre”, ha detto) ma è rimasto un bambino e prova una nostalgia canaglia per una città (Los Angeles) ed un tempo (gli anni Ottanta ma, più in generale, i decenni che hanno preceduto l’avvento dei social, “gli smartphone hanno rovinato tutto”) che non ci sono più. Le schegge è, ovviamente, un romanzo da boomer, anche a livello di colonna sonora (su spotify esiste anche una playlist): lasciatemi dire che trascorrere due settimane con questo vecchio amico con in sottofondo Ultravox, Peter Gabriel, Police, Clash e Doors è stato fantastico. Grazie, vecchio Bret.
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L'articolo del giornalista Maurizio Di Giangiacomo è uscito originariamente sul blog https://mauriziodigiangiacomo.wordpress.com/