Silvius Magnago amava confidare ai suoi interlocutori di aver sviluppato una tattica tutta particolare per ottenere quel che voleva quando doveva trattare con Roma. "Io - diceva - quando scendo nella capitale mi assicuro di porre una sola richiesta per volta. Così sono quasi certo che verrò accontentato perché non possono rimandarmi dietro a mani vuote. Se arrivassi al tavolo delle trattative chiedendo diverse cose è probabile che me ne concederebbero sempre e solo una, magari quella cui tengo di meno, e per le altre ci sarebbe un diniego difficile poi da superare".
Ora noi non sappiamo per certo che il sistema funzionasse per davvero. Sta di fatto però che il vecchio Obmann e il suo arcigno vice Benedikter di roba, da Roma, ne riportarono a Bolzano parecchia.
Non sappiamo nemmeno se Arno Kompatscher si sia ricordato di questi insegnamenti quando, nell'estate del 2023, trovandosi di fronte, quasi all'improvviso, alla disponibilità del futuro governo di centro-destra di Giorgia Meloni di venire incontro ai desiderata dei sudtirolesi in tema di autonomia, decise di stilare una lista della spesa che di desideri, in realtà, ne conteneva ben più di uno.
È successo così che, in calce alla questione del ripristino delle competenze autonomiste limate nel corso degli anni dalle sentenze della Consulta, si sono aggiunti ben altri e più pesanti argomenti. Alcune competenze accessorie, ma soprattutto una serie di marchingegni giuridici tali da blindare in perpetuo l'autonomia rispetto ad ogni possibile tentativo di modificarne i contenuti senza l'assenso dei padroni di casa e cioè, nel pensiero di Arno, della SVP.
A distanza di un anno e mezzo da quella svolta che non è azzardato definire storica nel pensiero e nell'azione del centrodestra italiano, la trattativa, che in quei giorni venati di entusiasmo pareva dovesse risolversi nel giro di qualche settimana, appare oggi incanalata sui binari riservati ai convogli a lunga percorrenza. Le varie date via via fissate per l'annuncio dell'intesa raggiunta sono tutte passate senza che di accordo si potesse parlare. L'ultima in ordine di tempo vede un segno sul calendario a pochi giorni da Natale ma non si è ben capito neppure se, il 16 dicembre, saranno finalmente definite le intese sul tema del ripristino delle competenze ai livelli del giugno 1992.
C'è poi da tener conto di un altro fattore di non secondaria importanza. Pare abbastanza assodato che lo strumento scelto per l'operazione sarà quello di un disegno di legge governativo di modifica dello Statuto. Sarà opportuno ricordare che in questo caso occorrerà impostare una navigazione tra gli scogli della doppia lettura del testo da parte di Camera e Senato. Anche ammettendo che il vivace venticello centralista che spira nel mondo politico italiano non vada a contrastare il viaggio della legge, i tempi tecnici restano quelli che sono e occorrerà predisporre tutto per tempo in modo da non rischiare di arenarsi con la fine della legislatura.
Tutto ciò al netto di una serie di questioni non certo marginali. Sganciati dall'estate scorsa i vagoni delle altre autonomie speciali, al tavolo delle trattative restano seduti solo gli esponenti del Governo e quelli delle autonomie di Trento e Bolzano. Ammesso che si trovi un meccanismo giuridicamente sostenibile per riportare i livelli di competenza autonomistica a quel che erano trent'anni fa (quando la trattativa finale per la chiusura della vertenza rischiò di saltare proprio a causa della questione dell'esercizio da parte di Roma dei poteri di coordinamento e indirizzo) ci sono poi tutte le altre richieste che si sono aggiunte nel corso del tempo. Kompatscher, come si diceva, ha creduto che fosse il momento buono per una blindatura così totale dell'autonomia da far balenare nella mente di qualcuno l'immagine di un vero e proprio Freistaat. Dall'altra parte, a firma del commissario dei 6 Urzì sono arrivate altre richieste tra cui quella di ridurre significativamente il limite dei quattro anni di residenza per l'esercizio del diritto di voto nelle elezioni amministrative, le modifiche ai criteri di composizione delle giunte comunali per assicurare una presenza garantita al gruppo italiano e, a quanto pare, un ammorbidimento dei criteri di applicazione di pilastri fondamentali dell'autonomia come proporzionale etnica e bilinguismo
Sono richieste, queste ultime, che hanno suscitato subito, come prevedibile, la sdegnata ripulsa dei partiti secessionisti della destra sudtirolese nonché alcune considerazioni veramente originali come quelle dello studioso secondo il quale concedere le modifiche diritto di voto sarebbe pericoloso non per gli effetti che avrebbe sugli equilibri etnici ma perché sarebbe difficile un domani ripristinare la norma qualora se ne ravvisasse la necessità. È come se le banche non erogassero più mutui perché esiste l'ipotesi di non vedersi restituire il denaro.
Quello delle richieste di modifica dello Statuto avanzate da parte italiana è però un capitolo che, per certi versi, si ricollega proprio al tentativo portato avanti da Kompatscher di blindare ogni possibile futuro cambiamento dell'autonomia, negando ad esempio al Parlamento la possibilità di modificare la carta statutaria senza l'assenso degli organi politici locali.
Quelle richieste infatti discendono in linea diretta da quelle contenute in tre progetti di legge presentati tra il 2006 e il 2012 da alcuni deputati altoatesini del centrodestra e passati alla storia con la denominazione di "pacchetto degli italiani". Disegni di legge costituzionali che non arrivarono mai neppure la discussione in aula, instradati su un binario morto con l'assenso implicito della maggioranza di governo per nulla intenzionata ad aprire un contenzioso frontale con la minoranza sudtirolese. Il tentativo però c'era stato ed era quello di cambiare le carte in tavola senza cercare l'accordo con Bolzano. È anche nel ricordo di quei fatti che la SVP vorrebbe garanzie a prova di bomba.
Ora si tratta di vedere che cosa Roma è disponibile a concedere, in un momento politico nel quale, grazie anche ai principi ribaditi proprio in queste ore dalla motivazione della sentenza della Corte Costituzionale sull'autonomia differenziata, il vento sembra spirare a favore di una sempre maggiore limitazione delle autonomie piuttosto che di un loro ampliamento.
Ritornando agli stratagemmi di Magnago, c'è rischio fondato che, se in tempi ragionevoli dal cilindro romano del ministro Calderoli dovesse uscire solo il riallineamento delle competenze allo stato dell'arte del 1992, questa potrebbe esser letta più come una sconfitta che come una vittoria.