Fine vita, il ruolo delle palliative

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La recente legge toscana sul suicidio assistito ha riacceso il dibattito sul fine vita, ancora avvolto da incertezze su termini e procedure. Tutto inizia nel 2019, quando la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 242, stabilisce i criteri per consentire a chi soffre di una patologia grave ed irreversibile di poter chiedere di accedere al suicidio assistito. La Corte ha sollecitato più volte il Parlamento a legiferare in materia, ma dopo sei anni l'Italia è ancora senza una legge. Cosa possono fare oggi le persone in queste condizioni? A fornire una panoramica completa sugli strumenti a disposizione di chi soffre di questa condizione c’è il direttore dell’unità cure palliative dell’ospedale di Bolzano Massimo Bernardo.
“Da anni si parla di un ipotetico diritto a morire ma purtroppo si parla molto poco del diritto dei cittadini a vivere bene fino alla fine”
Nella seconda parte dell’intervista (trovate la prima parte a questo link), Bernardo spiega che esistono già tanti strumenti per aiutare chi si trova in condizioni di sofferenza. “Da anni si parla di un ipotetico diritto a morire ma purtroppo si parla molto poco del diritto dei cittadini a vivere bene fino alla fine, che è stato sancito ormai 15 anni fa dalla legge 38 del 2010”. Con questa normativa sono disciplinate le cure palliative, ossia “l’insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici”.
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Si tratta di un campo che dagli anni 2000 ad oggi ha avuto uno sviluppo enorme, in particolare in Provincia di Bolzano dove le cure palliative sono riconosciute come un’eccellenza nazionale. “Nel 2023-2024 i piani che abbiamo presentato per l'organizzazione delle cure palliative sono stati migliori in Italia, siamo una delle reti più performanti a livello nazionale secondo l’Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), eppure si parla sempre molto poco del nostro servizio, nonostante il fatto che tra il bisogno e la richiesta di cure palliative e il bisogno e la richiesta di un suicidio medicalmente assistito ci sia una voragine in termini di numeri”.
“Tra il bisogno e la richiesta di cure palliative e il bisogno e la richiesta di un suicidio medicalmente assistito c’è una voragine in termini di numeri”
Ma anche in Toscana, dove è stata recentemente approvata una legge su questa materia, “ci sono state credo 5-6 richieste di suicidio medicalmente assistito e quasi tutte non sono state portate poi a compimento perché nessuno di questi pazienti prima di fare la richiesta si era rivolto alle cure palliative. Nel momento in cui questi pazienti hanno avuto la possibilità di ricevere le attenzioni che possiamo offrire hanno rinunciato al loro proposito di farla finita”. Un esempio che, spiega Bernardo, fa riflettere sulla direzione che dovrebbe prendere il dibattito su questo tema: “Ovviamente le palliative non annulleranno le richieste di suicidio medicalmente assistito, sono certo che ci saranno pazienti che, pur con le migliori cure, non recederanno dalla loro richiesta che la loro vita venga conclusa con supporto di un medico, però parliamo di un numero limitato di casi sui quali dobbiamo riflettere e ai quali dobbiamo dare delle risposte a livello legislativo”.
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Secondo il medico dovrebbe essere il Parlamento ad intervenire con una legge che renda la pratica e soprattutto l’assistenza alle persone davvero accessibile a tutti. “Come comitato etico provinciale stiamo lavorando a una proposta analoga a quelle della Toscana o del Veneto, però sarebbe opportuno che, invece di avere 22 leggi diverse ce ne fosse una che regolamenta in maniera equa e giusta i bisogni di tutti i cittadini che abitino a Bolzano o che abitino a Palermo, senza che ognuno si inventi poi a livello locale delle soluzioni”.
Cosa fare davanti all’inerzia del Parlamento? Prima di tutto, suggerisce Bernardo, chiarezza. L’eutanasia, pratica illegale in Italia e gran parte d’Europa (consentita solo in Olanda, Belgio e Lussemburgo per i cittadini residenti), consiste nella somministrazione di un farmaco letale da parte del personale sanitario al paziente che ne fa richiesta, dopo il via libera da parte di una commissione sanitaria multidisciplinare. Il suicidio medicalmente assistito è invece una pratica che permette al personale sanitario di “agevolare l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”, dopo una verificate da parte del servizio sanitario nazionale ed il parere del comitato etico territorialmente competente. Questa pratica è permessa in Italia da una sentenza della Corte Costituzionale del 2019.
“Le palliative non annulleranno le richieste di suicidio medicalmente assistito”
“A livello mediatico questi termini sono confusi e spesso utilizzati impropriamente. Grazie alla legge 219 del 2017, il medico ed il paziente possono concordare gli interventi da attuare in base al decorso della malattia, anche a livello di interruzione delle cure e sedazione palliativa, eppure sembra che le soluzioni non ci siano”, afferma il medico. In Italia infatti la legge 219/17 consente inoltre al malato di scegliere il rifiuto delle terapie o l’interruzione previa sedazione profonda, la cosiddetta sedazione palliativa, con cui, in caso di malattia inguaribile in stato avanzato, si seda il paziente per alleviarne la sofferenza fino a che la morte non fa il suo decorso. La differenza con il suicidio assistito, spiega Bernardo, è che in questo caso non si incide sui tempi di vita residua, mentre nel caso del suicidio medicalmente assistito sì.
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“Tutti i progetti e le proposte di legge presentate in diverse regioni, come Emilia-Romagna, Veneto e Toscana, prevedono un passaggio fondamentale: prima di accedere al suicidio medicalmente assistito, il paziente deve essere valutato dalle cure palliative. Questo è un requisito imprescindibile, poiché spetta al medico palliativista stabilire se i sintomi e i bisogni del paziente abbiano ricevuto un'adeguata risposta”. Insomma, secondo Bernardo le soluzioni per alleviare la sofferenza dei pazienti e ridurre le richieste di suicidio medicalmente assistito ci sarebbero già, il problema è che si conoscono sempre troppo poco o troppo tardi.
La legge regola anche le disposizioni anticipate di trattamento (DAT, chiamate impropriamente “testamento biologico”), sono uno strumento che permette di esprimere in anticipo le proprie volontà su trattamenti sanitari futuri, nel caso in cui, a causa di una malattia o di un evento traumatico, non si sia più in grado di decidere autonomamente. “Eppure, nonostante l’Alto Adige sia delle province più virtuose in questo ambito,nel 2023 su una popolazione di oltre 500.000 abitanti, solo un migliaio di persone ha registrato le proprie DAT”. Questo, prosegue Bernardo, è particolarmente importante per quelle malattie neurodegenerative come la demenza dove, grazie alla diagnosi precoce, chi riceve questa diagnosi conserva ancora per molto tempo la capacità di prendere decisioni consapevoli. “In questa fase iniziale, sarebbe il momento ideale per introdurre l’intervento delle cure palliative, spiegando al paziente che la malattia potrebbe portarlo, nel giro di alcuni anni, a perdere la capacità di scegliere. Sarebbe importante che, finché è ancora in grado di farlo, ogni persona possa decidere se accettare o rifiutare determinati trattamenti futuri, come la nutrizione artificiale. Oggi, purtroppo, la maggior parte dei pazienti con demenza arriva a uno stadio avanzato della malattia senza aver ricevuto queste informazioni e senza aver espresso le proprie volontà, nonostante la legge lo preveda. Questo accade spesso per paura di affrontare il tema della malattia inguaribile e della morte, che resta ancora un tabù”.
Seguiranno altri articoli sul lavoro della commissione etica provinciale, la situazione in Austria e Germania ed approfondimenti sulle disposizioni anticipate di trattamento.
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Grazie. Articolo molto…
Grazie. Articolo molto interessante.
Decido I O,e nessun altro…
Decido I O,e nessun altro,se voglio suicidermi se soffro di una patologia mortale,ma dove siamo arivati??? In Svizzera sono da anni più furbi!