Gesellschaft | kalašnikov&valeriana

Il solito “raptus”

“Il termine raptus de-responsabilizza, come se l'azione fosse separata dall'individuo cercando le responsabilità lontane da noi, estranee.”
GEA - solidarietà femminile contro la violenza
Foto: Gea

Non nutro una grande passione per i fornelli. Ma dato che Deliveroo non si avventura fino a dove abito io, cerco di rendere più piacevole il tempo passato in cucina per nutrire 5 persone ascoltando podcast. Qualche mese fa ho scoperto "Indagini" di Stefano Nazzi. Sono riflessioni su alcuni casi di cronaca nera italiana, trattati in modo oggettivo e per nulla morboso o voyeuristico. Unica pecca: solo una storia al mese! Siccome mi tocca cucinare più spesso, mi sono messa alla ricerca di un podcast altrettanto coinvolgente. Sapevo che sarebbe stato difficile, ma poi mi sono incuriosita di "Delitti e misteri in Alto Adige" di Mario Cagol.

Premetto che non mi aspettavo certo un capolavoro come quello di Nazzi, ma mai avrei pensato di trovare tanta bassezza come nell'episodio "La valigia": in 17 minuti si dà ampio spazio a tutta la paletta di stereotipi che ci troviamo di fronte ad ogni femminicidio. A partire dal non chiamare il delitto per nome: femminicidio. Perché femminicidio? Perché il termine ci indica sia il delitto che il movente, ovvero la presunzione del violento di possedere la donna e quindi poter decidere della sua vita e della sua morte come atto estremo di controllo. Invece Cagol, premurandosi di sottolineare la bontà dell’omicida profondamento innamorato della donna, trova il movente nell'"esasperazione dopo l'ennesimo litigio con la convivente". La convivente era ubriaca e pretenziosa, diversa da come l'omicida l'aveva conosciuta. Ha quindi ben pensato di cancellarne l'immagine: "Ho strozzato la mia Emma". E come se non bastasse, "Tutto colpa di quel piatto maledetto di Tortellini in brodo".
No, perché si sa, con i Tortellini non si scherza e una donna ubriaca può portare all'esasperazione. Se poi uno la ama tanto, non litiga mai e la vorrebbe solo più docile, più corrispondente all'idea che si era fatto... Come biasimarlo se perde la pazienza e la uccide? Certo, qualcun'altro potrebbe decidere di andarsene e troncare il rapporto, ma in fondo lei poteva anche evitare, vero? (Ironia off, almeno la mia. Nel podcast nemmeno l’ombra di ironia)

Ora, capisco che Cagol nel podcast  riproduca i testi dell' omonimo libro di Paolo Cagnan pubblicato nel 2000, che a propria volta riprendeva vecchi articoli di cronaca utilizzando la terminlogia impiegata nei decenni precedenti. Capisco anche che in quegli anni il termine femminicidio non era ancora di uso comune e che forse le dinamiche della violenza domestica non erano tematizzate e descritte come lo sono ora. Non capisco invece la scelta di riprendere un testo a distanza di 23 anni senza interrogarsi sulla riproduzione, senza una premessa o un' avvertenza utili a contestualizzare, di concetti tossici e stereotipi nocivi che ormai dovremmo essere in grado di riconoscere (e anche di superare)

Insomma, menomale che mentre attendo l'uscita di una nuova puntata di Indagini, scopro che me n'è sfuggita una precedente e l'ascolto. Non credo alle mie orecchie: “Parlare di raptus omicida significa poco, anzi, non significa nulla. Sono parole che usano i media, che usiamo noi normalmente, non gli psichiatri e gli psicologi. Il DSM, cioè il manuale diagnostico e statistico di disturbi mentali redatto dall'associazione americana di psichiatria contempla circa 370 disturbi, 370 psicopatologie. Ma il termine raptus non esiste. È una parola che in qualche modo de-responsabilizza, come se l'azione fosse separata dall'individuo. Oppure, istintivamente, meccanicamente cercheremmo le responsabilità lontane da noi, estranee.”

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gorgias Di., 13.06.2023 - 07:29

Infatti un raptus non è una diagnosi ma un sintomo, che non necessariamente deve essere attribuibilile a un disturbo mentale ma a un stato mentale provvisorio.

Di., 13.06.2023 - 07:29 Permalink