Kultur | Gerosa contro i 657

Chi è fuori dalla storia?

L'assessora Gerosa contraria al ripristino degli esami di settembre
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    Egr. Direttore,  

    657 insegnanti trentini hanno firmato una petizione per la reintroduzione degli esami di riparazione e l’ambiente psico-pedagogico territoriale, ostico all’operazione, manifesta i segnali tipici di chi si trova sull’orlo di una crisi di nervi. “Ancora esami! non bastano quelli che già ci sono?” – è, in sintesi, il lamento premonitore – e giù una sequela di dati (di provenienza non sospetta: l’azienda provinciale per i servizi sanitari) a suo sostegno: “un giovane su dieci ha sintomi di depressione” … “l’ansia da prestazione non è mai stata così elevata” … “il livello di autostima mai così basso” … e – ferale verdetto – “solo il 17% dei giovani presenta un alto livello di self-efficacy”, con ciò significando che tutti gli altri, cioè la stragrande maggioranza, o ne languono o ne sono privi. Ora, se non è particolarmente arduo da riconoscere che un’adeguata dose di self-efficacy (consapevolezza delle proprie capacità a superare sfide e raggiungere obiettivi prefissati) possa servire a contenere il timore dell’insuccesso, ciò che invece fa letteralmente a pugni con il buon senso è il credere che essa possa prender forma e irrobustirsi in assenza o in penuria d’esercizio: come può un giovane formarsela se invece di essere sollecitato alla prova ne viene tenuto a distanza di sicurezza? Se negli studenti d’oggi, l’esame ha un impatto psicologico-emotivo così destabilizzante, non è perché ne sono subissati ma perché ne hanno perso completamente l’esercizio: l’afflittiva-martellante campagna inclusivistico-solidaristica tesa a promuovere metodi di valutazione “indolori” (“che gli studenti si sentano supportati e compresi invece che giudicati”) intrapresa da chi tuttora, dopo mezzo secolo dal ’68 vede ancora l’ombra di Torquemada aggirarsi per la scuola, non poteva che dare i suoi frutti: “stanze di emergenza” per governare l’ansia di richieste il cui livello – come afferma il professore Federico Premi nella sua lettera del 30/5, e il professore sa quello che dice! – è “così basso e vuoto, che una minima applicazione basta a risolverle”.

    Chi è fuori dalla storia? l’assessora Gerosa che la subisce (“la storia dimostra che oggi, con famiglie complicate, assenti e disgregate … la proposta non è percorribile”) o i 657 docenti che pragmaticamente provano ad orientarla? Verrebbe da sorridere se la situazione non fosse tragica: i partiti d’opposizione che per anni hanno promesso il cambiamento, ora che in grazia di quella promessa potrebbero farlo, non avendone l’animo, se ne sottraggono. La scusa? Siamo arrivati troppo tardi: quelli di prima hanno così sciupato il giocattolo che non è più possibile ripararlo! Vorrei sbagliarmi, ma ho netta la sensazione che un’aura deprimente si stia appressando sul nostro futuro, una specie di rifiuto dell’esistenza, di desiderio di estenuazione, qualcosa di simile ad un cupio dissolvi. 

    Basterebbe essere semplici genitori amorevoli e scevri da infantilismo sessantottardo per percepire con immediatezza ciò che gli psico-pedagogisti non vedono o fingono da anni di non vedere. In un noto bar cittadino, gestito da una coppia di cinesi, il loro figlioletto era solito allietare gli avventori col pronunciare parole italiane contenenti la “r”. Poche settimane dopo la sua iscrizione alla prima classe elementare, non fu più visto: “Mandato dalla nonna in Cina a studiare – spiegò la mamma – qui a scuola, solo giocano”.