“Quella devastante retorica sull’Europa”
salto.bz: Professor Palermo, lei è uno degli autori del “Quaderno Pro Europa - alcune buone ragioni che rendono desiderabile l’Unione europea” (vedi nota in fondo, ndr), quali sono queste buone ragioni?
Francesco Palermo: La premessa da fare è che c’è una tendenza generale a seguire spesso le mode. Per un certo periodo, soprattutto negli anni ’90, era tangibile una euforia pro europea, per cui tutto ciò che era “europeo” veniva targato come positivo, ora siamo nella fase opposta e tutto ciò che è europeo è negativo. Io utilizzo sempre la metafora del cetriolo, inteso come esempio dell’eccesso di burocrazia europea. Se dell’Europa si parla sempre in questi termini l’accezione diventa negativa, sarebbe al contrario opportuno porre l’accento, anche dal punto di vista comunicativo, su ciò che funziona. L’Erasmus, per esempio, o l’accordo di Schengen, ve lo immaginate se dovessimo di nuovo passare ogni volta per il controllo dei passaporti alle frontiere? O ancora: l’azzeramento delle tariffe di roaming. Il fatto è che, come spesso accade, diamo per scontato ciò che abbiamo. A proposito di Europa mi ha colpito, in Austria, un manifesto elettorale della SPÖ che raffigura una giovane coppia abbracciata e sotto lo slogan: “Ci separiamo o continuiamo insieme?” Ecco, bisogna investirci nell’Europa, come in tutte le relazioni, anche se questa è complicata visto che ci siamo dentro in 28. Insomma, è evidente che prevalgano le buone ragioni, perché le cose che rendono non desiderabile l’Europa sono dettagli di una banalità sconfortante.
Sul piatto della bilancia però ci sono anche le logiche politiche nazionali, lo spirito di conservazione, la nostalgia del passato, che hanno palesemente appeal…
L’Europa è sempre stata una specie di sfogatoio di quello che non si riusciva a raggiungere a livello nazionale. Quando la politica era prettamente pro europea, per esempio, si utilizzava la scusa dell’Europa, il famoso “ce lo impone l’Europa”, per fare ciò che fosse necessario sul piano nazionale e che però era impopolare. L’Europa, in fondo, non è altro che una sommatoria degli stati membri, che nominano la Commissione europea e i giudici della Corte di giustizia che hanno un potere gigantesco, i cittadini eleggono il Parlamento, voglio dire, è come se uno se la prendesse col fratello gemello, ma è una retorica che non funziona granché. E questo non significa che non si possano avere idee diverse, perché ciò rientra nel normale dibattito politico che c’è a livello comunale come a livello europeo, ma non per questo uno si sognerebbe di dire che il Comune non serve.
Bisogna investirci nell’Europa, come in tutte le relazioni, anche se questa è complicata visto che ci siamo dentro in 28
In tutto ciò l’incompiutezza del progetto di unione politica conta come punto a sfavore?
Tutt’altro, è punto di forza straordinario dell’Europa. Dalle sinfonie alle cattedrali le incompiute sono meravigliose anche per questo motivo. Intendiamoci, non ci sarà mai il consenso su qualcosa di compiuto, del resto di solito le cose completamente compiute sono quelle decise su un campo di guerra. Perfino gli Stati Uniti hanno messo nero su bianco un certo assetto del potere solo con la guerra civile. È questo che vogliamo? Mi rendo conto che nell’epoca della banalizzazione del messaggio tutto ciò che suona incompiuto è spiacevole, ma non è così, per l’Europa in particolare non è così.
E quella celebre frase attribuita all’allora segretario di stato degli USA Henry Kissinger, “a chi devo telefonare se voglio parlare con l’Europa?”, è una provocazione da non raccogliere nemmeno oggi?
Aver pronunciato una frase del genere vuol dire non aver capito nulla dell’Unione europea. Kissinger sostanzialmente affermava: gli Stati Uniti sono uno stato federale, con un presidente, saremmo mai pronti ad accettare un sistema del genere in Europa? Ma il Vecchio continente è ibridamente e straordinariamente compiuto a metà, e non ha alternative in questo senso.
Mi rendo conto che nell’epoca della banalizzazione del messaggio tutto ciò che suona incompiuto è spiacevole, ma non è così, per l’Europa in particolare non è così
La Brexit, con il Regno Unito ancora nel caos, non ci ha insegnato nulla?
Se dovesse esserci, anche se non accadrà, un altro referendum nel Regno Unito sulla partecipazione all’Unione europea, i sondaggi dicono che ci sarebbe una maggioranza intorno al 53-54 % per restare. Se poi i cittadini abbiano capito la lezione, se ci sia stato un effettivo processo di apprendimento, io questo non lo credo. Ciò che è successo in quasi 3 anni dal referendum è che i Brexiteers sono diventati ancora più brutali: dicono che l’Ue è il male perché non rende loro possibile l’uscita.
Il refrain delle elezioni del 26 maggio da destra a sinistra è “cambiare l’Europa” ma, superando gli steccati della retorica politica, cos’è che deve cambiare esattamente?
Dire “l’Europa la vogliamo ma va cambiata”, senza spiegare in cosa e come, significa partire direttamente con l’argomento perdente. È retoricamente devastante che tutti debbano ripetere, secondo i dettami del mainstream, questo ritornello perché altrimenti non si assecondano le persone che in questo momento vogliono sentirsi dire che l’Europa deve essere cambiata. Dunque, io ho le mie idee sull'argomento che valgono come quelle di chiunque altro dei 500 milioni di cittadini europei. Su alcune cose bisogna fare delle scommesse.
Per esempio?
Il sistema tributario, non esiste nessun tipo di tassazione armonizzata a livello europeo. Questo dovrebbe essere uno dei punti su cui lavorare per completare l’integrazione economica, perché se esistono delle diversità tributarie così spaventose tra i diversi paesi allora non si completa del tutto l’unione economica e monetaria. Di contro c’è chi dice: “Io voglio promuovere le mie imprese e ci sono dei sistemi economici che sono più efficaci di altri, quindi faccio i miei interessi”. Paradossalmente il sovranista che in Italia dice di non volere una maggiore integrazione fiscale perché intende difendere il proprio sistema fa lo stesso ragionamento che appartiene anche alla Merkel. Una medesima cosa può avere implicazioni molto diverse e inoltre è una questione di legittime scelte politiche da fare. Faccio un altro esempio.
Prego.
ll sistema di asilo: la Commissione europea, dopo il tentativo che c’è stato a giugno del 2018, con la presidenza bulgara, di trovare un nuovo compromesso sulla questione della ridistribuzione dei migranti, ha dovuto attestare l’assenza di un consenso politico e ha lasciato perdere. Anche in questo caso sussistono logiche molto diverse, e c’è chi vuole più o meno integrazione europea. Chi preferisce un sistema che favorisca maggiormente la ripartizione dei flussi migratori in Europa e chi si oppone perché non conviene, oppure prendiamo un tema caro all’Alto Adige, le limitazioni per il traffico pesante riguardo il transito sul Brennero, siamo ancora una volta sul terreno delle scelte politiche ed esistono delle istituzioni entro le quali tali scelte si dibattono, tutto qui.
L’Ue deve restare una “signora in grigio” perché i colori sgargianti le stanno male addosso, l’Unione non ha le physique du rôle, per così dire
Avere consapevolezza della specificità europea appare difficile, così come l’identificazione dei cittadini nella comunità europea, è così?
Sì e no. Prendiamo l’Italia, non è che il sistema 15 anni fa fosse più semplice di oggi o la gente lo capisse meglio, eppure il nostro era uno dei paesi più eurofili della Ue, mentre ora è uno di quelli più euroscettici. Cosa è cambiato? Solo la percezione delle cose, perché la comunicazione non è più la stessa. Ma è una fase. L’Europa è cattiva perché non ci ha tirato fuori dalla crisi economica? Non spettava certo a lei farlo, però è comodo dirlo, così come era comodo una volta dire abbattiamo le barriere e liberalizziamo il commercio, è la stessa tecnica, solo che i tempi sono cambiati.
Lo scetticismo nei confronti delle istituzioni europee dipende anche da un difetto nella comunicazione? La gente non sa bene cosa accade a Bruxelles o a Strasburgo?
I problemi sono due. Primo: la comunicazione politica negli ultimi anni è diventata drammaticamente più immediata. Bisogna convogliare il messaggio semplice e questo è talvolta in contraddizione con un sistema complicato come quello europeo. Secondo: la Ue in modo molto goffo (ma forse non poteva fare diversamente) ha cercato di salire sul carro utilizzando la stessa comunicazione banale e gli stessi slogan semplicistici, come se fosse uno Stato.
Una specie di contropropaganda.
Che non porterà a nulla. È più facile educare i cittadini alla complessità piuttosto che inseguire certi attori su un piano che non è il proprio. Il tweet funziona per Salvini e non per Juncker, non perché siano personaggi diversi ma perché hanno ruoli diversi. L’Ue deve restare una “signora in grigio” perché i colori sgargianti le stanno male addosso, l’Unione non ha le physique du rôle, per così dire.