A che punto sono le intese?
All’interno del ciclo di incontri formativi organizzati dalla “Cattedra del Dialogo tra le Culture” della Diocesi di Ragusa per l’A.A. 2013-14, il 24 gennaio, presso il Salone del Vescovado di Ragusa, è avvenuto un incontro che ha avuto come tema “La condizione giuridica dei musulmani e la tutela dei minori di cultura islamica in Italia”. A tenere la lectio è stato il professor Agostino Cilardo, ordinario di Storia e Istituzioni del mondo musulmano e di Diritto musulmano e dei Paesi islamici presso il Dipartimento Asia, Africa e Mediterraneo dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”. Di seguito i tratti salienti del suo intervento che ho voluto riportate, per una questione di fluidità, sotto forma di intervista.
Qual è la condizione giuridica dei musulmani in occidente?
I rapporti tra lo Stato italiano e le confessioni religiose diverse dalla cattolica sono regolati da apposite intese. Con l’islam a oggi non c’è ancora un’intesa, ma sono state presentate tre bozze da tre associazioni islamiche: la prima risale al 1992, la seconda è del 1994 e la terza del 1996. Ciascuna delle tre bozze presenta delle peculiarità sulla base del rispettivo modo di interpretare l’islam, ma ogni associazione vuole rappresentare tutti i musulmani italiani.
Perché lo Stato non ha sottoscritto nessuna delle tre proposte di intesa?
Nel 2002 pubblicai, per le Edizioni Scientifiche Italiane (Napoli), Il diritto islamico e il sistema giuridico italiano. Le bozze di intesa tra la Repubblica Italiana e le Associazioni islamiche italiane. Su queste bozze sono stati pubblicati vari lavori scritti da studiosi di diritto ecclesiastico, che hanno inquadrato il problema nel contesto della normativa italiana. Dal mio punto di vista, le bozze dovevano essere studiate anche nella prospettiva delle associazioni islamiche, vale a dire bisognava mettere in relazione le loro richieste con i postulati della loro religione; in sostanza bisognava rilevare gli elementi di diritto islamico presenti nelle bozze e analizzarne la compatibilità con il sistema giuridico italiano. È quello che ho tentato di fare con questo libro.
Il primo problema che pongono le tre bozze riguarda la rappresentanza dei musulmani in Italia. È noto che nell’islam non c’è un’autorità religiosa centrale e questo elemento spiega il perché di tre bozze.
La bozza del 1992 è stata proposta dall’U.C.O.I.I. (Unione delle Comunità e delle Organizzazioni Islamiche in Italia), la più diffusa e radicata delle organizzazione islamiche italiane.
Quella del 1994 è stata proposta dall’A.M.I. (Associazione Musulmani Italiani), cui aderiscono solo italiani, il cui testo è molto simile a quello dell’U.C.O.I.I..
Infine, è del 1996 la bozza della CO.RE.IS Italiana (Comunità Religiosa Islamica Italiana), che ha sede a Milano, caratterizzata da una tendenza mistica, sufica, che per questo si contrappone all’U.C.O.I., che aderisce ad una interpretazione dell’islam piuttosto rigida.
Analizzando le tre bozze dal punto di vista del diritto islamico, possiamo notare alcuni elementi specifici islamici e altri che sono stati presi in prestito dal linguaggio teologico occidentale; ad esempio, l’espressione “Ministri del culto islamico” è di derivazione cristiana. Nell’islam, infatti, non vi sono ministri del culto, non c’è un’ordinazione dei ministri, non c’è sacerdozio. Lo stesso imām che presiede la preghiera può teoricamente essere un musulmano qualsiasi, purché preparato. Dal solo punto di vista politico soltanto il califfo, finché c’è stato, rappresentava l’unità della comunità islamica (umma). Il fatto che lo stesso credo islamico si sia formato per opera dei dotti, diventando poi patrimonio comune di tutti, evidenzia l’assenza di una “Chiesa” nell’islam. Lo stesso sistema giuridico si è formato allo stesso modo.
Sulla base di queste premesse, risulta perciò sorprendente ritrovare nelle bozze la creazione di una gerarchia, cosa però resa necessaria dal fatto di dover avere una struttura rappresentativa sia a livello centrale che periferico. Inoltre, il riferimento nelle bozze al “magistero” ed al “segreto confessionale” si può spiegare come un tentativo di ricalcare analoghe istituzioni cattoliche, ma è da precisare che nell’islam l’unico magistero è quello della legge religiosa islamica e non esiste alcun segreto confessionale perché non vi sono sacramenti.
Alcune espressioni presenti nelle bozze sono da spiegare, come “rito islamico”, espressione usata per esempio in relazione al matrimonio, alla macellazione, ai funerali. Nel contesto delle bozze il riferimento è al diritto islamico, non ad una celebrazione liturgica. Anche l’espressione “legge e tradizione islamica” merita un chiarimento. Infatti, il riferimento non è alla legge civile ed alle consuetudini popolari, ma alla legge religiosa islamica (sharī‘a) ed alla sunna del profeta Muḥammad (entrambe fonti del diritto). Al contrario, in relazione all’abbigliamento, le bozze parlano di “consuetudini”. In questo caso esse si riferiscono alle consuetudini dei diversi Paesi islamici. E questo perché il Corano non prescrive una forma precisa di abbigliamento, ma chiede di vestire in modo tale da non essere provocanti.
Un elemento rilevante presente nelle tre bozze è il richiamo al concetto, sia teologico che giuridico, di “comunità islamica” (umma), vale a dire l’insieme dei musulmani ovunque siano sulla base del legame di fede, al di là di ogni distinzione di lingua, razza, etc… In quanto “comunità islamica”, unità politico-religiosa, le tre bozze chiedono di “rappresentare l’islam all’esterno” nelle relazioni con gli altri Stati islamici relativamente alle questioni riguardanti la religione. Questa delega difficilmente potrebbe essere accettata da uno Stato sovrano.
Uno dei cinque pilastri dell’islam è la zakāt, la tassazione religiosa islamica, che fissa la percentuale da pagare sulle varie categorie di beni, che non si può definire come una decima, giacché le percentuali variano a seconda dei beni. In quanto obbligo religioso, la zakāt deve essere pagata ovunque i musulmani siano. In Italia questa tassazione diventerebbe aggiuntiva per i musulmani rispetto alle tasse pagate come cittadini italiani. La questione riguarda in primo luogo l’obbligatorietà della zakāt, dovuta sulla base dell’appartenenza religiosa. Inoltre, essa dovrebbe essere versata non allo Stato italiano, ma alla comunità islamica, che la dovrebbe gestire e distribuire sulla base delle regole dettate dallo stesso testo coranico, che prescrive quale destinazione essenzialmente i musulmani e le loro necessità. Ovviamente, i musulmani, come tutti i cittadini italiani, possono liberamente destinare parte dei loro beni alla loro comunità religiosa.
Circa le “festività religiose”, va sottolineato che il venerdì per i musulmani non è giorno di festa, ma solo il “giorno della riunione”, cioè della preghiera comunitaria; prima e dopo tale preghiera essi possono lavorare. Gli unici giorni di festa comuni a tutti i musulmani sono solo due: 1) la festa della rottura del digiuno alla fine del mese di Ramaḍān e 2) ‘ῑd_al-aḍḥā, la “festa dei sacrifici” , alla fine del pellegrinaggio canonico. Solo la bozza dell’A.M.I. ha incluso altri giorni di festa, per lo più riconosciuti solo dai musulmani shiiti.
Nelle tre bozze di intesa l’elemento più critico riguarda il matrimonio. Il contratto di matrimonio islamico include tra i soggetti, non solo i futuri sposi, ma anche il parente maschio più prossimo della donna, che integra la sua volontà, anche se alcune legislazioni contemporanee hanno eliminato in qualche caso la presenza del curatore matrimoniale o ne hanno attenuato il ruolo. Inoltre, l’oggetto del matrimonio islamico non è lo stesso per il marito e la moglie. In generale, il marito da un lato ha la supremazia nella famiglia, dall’altro egli solo ha determinati obblighi. In sintesi, egli è il capo della famiglia ed ha la tutela legale dei figli, e solo lui deve provvedere al mantenimento della famiglia. Quanto detto mette in risalto che nella famiglia islamica non c’è uguaglianza tra marito e moglie, e questo contrasta con un principio fondamentale della Costituzione italiana.
Sul matrimonio le tre bozze presentano posizioni diverse. 1) L’U.C.O.I.I. chiede che il primo matrimonio segua le procedure del matrimonio civile italiano, mentre i matrimoni successivi devono avere solo valenza religiosa, non riconosciuti dallo Stato. Al primo matrimonio si applicherebbe perciò la legge italiana, mentre gli altri sarebbero sottoposti al diritto islamico. In definitiva, si chiede di praticare la poligamia. Si deve quindi ipotizzare un’amministrazione giudiziaria parallela a quella dello Stato in materia di matrimonio, con la presenza di un registro dei matrimoni presso la moschea e di un giudice religioso che tratti tutte le questioni attinenti al matrimonio, incluso il ripudio. 2) L’A.M.I. chiede semplicemente di applicare il diritto islamico, anche al primo matrimonio, supponendo una giurisdizione separata in questa materia. 2) La CO.RE.IS infine è aderente al diritto italiano, in quanto richiede di seguire le procedure previste per il matrimonio celebrato davanti ad un ministro del culto cattolico.
La richiesta contenuta nelle tre bozze riguardante la macellazione secondo il “rito islamico” non pone alcun problema, in quanto si applica ai musulmani la stessa normativa italiana applicata alla macellazione ebraica. È proibito al musulmano assumere sangue. Per questo, quando l’animale viene macellato bisogna fare in modo che tutto il sangue fuoriesca dal corpo. Per una maggiore garanzia, la carne può essere salata, in quanto il sale assorbe il sangue. Il macellaio deve essere musulmano perché egli deve pronunciare sull’animale ucciso il nome di Dio. Ma il musulmano, in caso di necessità, può anche mangiare la carne di un animale macellato secondo la tradizione ebraica, in quanto il tipo di macellazione è identico.
Le tre associazioni islamiche hanno tentato di trovare un accordo su una bozza comune, ma senza successo. Per questo non è stato ancora possibile, diversamente da altre confessioni religiose, pervenire ad un’intesa con la comunità islamica in Italia.