Il Senso dei Ricordi
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Tra ricordo e realtà: un dialogo con la filosofia
Caro Professore,
di tanto in tanto, mi capita di cercare notizie su persone che ho conosciuto e che ormai non frequento più. Di recente, ad esempio, mi son messo alla ricerca del mio professore di arte al liceo, in Germania. Si chiamava Peter Jochimsen. Ho appreso che ci ha lasciati già nel 2018.
Quando apprendo della morte di qualcuno che ho conosciuto, provo una sensazione di vuoto. Riaffiorano all’improvviso frammenti di memoria - colloqui, situazioni, sguardi - ricordi che ora sono lasciati a me. Di questo professore in particolare ricordo clemenza, bontà e l’empatia. Mi sono chiesto a cosa servano i ricordi e mi sono affrettato a cercare una possibile risposta nella filosofia; mi incuriosisce leggere e capire i pensieri già sviluppati. È pur vero, come mi diceva un altro professore di liceo, che nei libri troviamo la lamentazione e la fissazione delle emozioni, già in testi di tre o quattromila anni fa.
Professò, permettete? Ho immaginato un grande simposio con presenti Platone, Bergson, Sant’Agostino, Heidegger, Proust, Aristotele, Epicuro, Eraclito, Protagora, e Pitagora. Come spesso faccio nelle feste così grandi, ci tengo a fare due chiacchiere con ognuno, ma poi mi dileguo. Queste due chiacchiere avevano a tema la morte e il senso del ricordo lasciato da una persona che non c’è più. Platone mi parla di anamnesi, Bergson di memoria pura e di come questa contribuisca alla mia identità; Sant’Agostino dice che la memoria è ciò che rende presente il passato, mentre Heidegger mi guarda con aria sospetta e mi ricorda che la nostra esistenza è finita. Proust mi è un po’ più simpatico, confermandomi il potere della memoria involontaria. Aristotele, invece, mi fa le pulci e mi chiede di distinguere tra memoria e ricordo. Epicuro mi è simpatico da quando lessi le sue Lettere sulla felicità ai tempi dell’università a Napoli - il testo lo avevo acquistato in una delle tante librerie che un tempo esistevano in via Mezzocannone-, e ogni tanto mi ricordo del suo insegnamento e lo invidio, ma in questo contesto non riesco ad applicarlo. Eraclito lo saluto con reverenza: il “tutto scorre” mi è chiaro: ma non mi è chiaro il fine. Protagora in sostanza mi dice che è “colpa” mia: sta nella mia misura d’uomo ricordare e interpretare. Pitagora invece, con l’immortalità dell’anima, qui non ci azzecca: io non ricordo nulla di un’esperienza passata di una vita precedente.
Che caciara, che confusione! Esco sulla terrazza, siamo a Partenope, più precisamente a Posillipo (anzi, Pausilypon) ai tempi della Magna Grecia. Penso che ogni pensiero racchiuda tratti di verità, o meglio: di realtà, ma che nessuno di essi, preso singolarmente, possa essere onnicomprensivo. Metterli d’accordo tutti sarebbe contraddittorio. Forse, però, è proprio la contraddizione a fondare la nostra esistenza: una cosa “è” e anche “non è”.
È notte profonda e il cielo stellato si riflette nel mare calmo del golfo. Sullo sfondo, in una tonalità di blu ancora più scuro, intravedo la sagoma del vulcano. Sarà stato il mare, steso come un velluto blu scuro che rifletteva la luce fioca, con il suo incresparsi delle lievi onde, a farmi affiorare un pensiero un po’ più concreto: Pausilypon dal greco antico vuol dire “pausa dal dolore”.
E nulla Professò, ‘mo mi preparo il biglietto per Napoli.
Che bella riflessione, mi ha…
Che bella riflessione, mi ha fatto venire in mente "La scuola di Atene", ma con lo sfondo bellissimo del golfo. Nella mia esperienza in "scuole italiane" in questa provincia tantissimi colleghi erano di origini meridionali e credo che ci sia sempre più contatto con queste realtà. Nelle mie "esperienze letterarie" ricevo molti inviti dal sud Italia, luoghi di grande tradizione, e mi fa piacere: il ricordo dei maestri poi rimane sempre. Insomma, anch' io prenderò a breve il biglietto per Napoli, anzi, "mo' mi preparo". Pausa dal dolore.