Nulla di nuovo nella scuola
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Indulgere invece che esigere!
Egregio direttore
non c’è nulla di nuovo nell’invito che, in questi giorni, gli assessori all’Istruzione di entrambe le province hanno rivolto ai docenti, di essere clementi nell’assegnazione dei compiti per le vacanze: è dal ‘68 che i politici seguono sempre lo stesso principio pedagogico: indulgere invece che esigere.
Non so se, come dicono, quel movimento abbia dato l’avvio a indubbi progressi nell’evoluzione dei costumi, ma è certo che per quanto riguarda l’istruzione e la formazione giovanile è stato un disastro assoluto. Non trascorse nemmeno un anno dal suo apparire che già, per raffreddare i ribollenti spiriti dei giovani movimentisti, l’allora Ministro dell’Istruzione “alleggerì” l’esame di Stato fino a ridurlo ad una larva. Una “sperimentazione”, la definì per non incorrere nel ridicolo, e ne fissò la scadenza a due anni, ma nessun successore ebbe il coraggio di sostituire quella farsa con un esame degno di quel nome. Oggi, dopo 50anni, quella larva è ancora in vita e nessuno se ne scandalizza: le materie di studio durante tutto il triennio sono pressoché ridotte alle sole oggetto d’esame e la promozione – ça va sans dire – è quasi garantita.
Siccome le opere d’indulgenza sono come le ciliegie, una tira l’altra, pochi anni dopo quell’alleggerimento, si garantì l’accesso a tutte le facoltà universitarie a chiunque fosse in possesso di un qualsiasi diploma quinquennale. A smaltire la gran parte della disoccupazione intellettuale – mediamente poco qualificata – che ne scaturì, fu la stessa scuola che divenne, fino ad esaurimento dei posti, il più importante ufficio di collocamento del Paese.
Poteva, in queste condizioni l’Istituzione scolastica assolvere in modo efficace al suo ruolo? Basta leggere lo sfogo di un professore dell’Università di Pisa affidato al “Sabato” di “la Repubblica” del 25/6/2005 per conoscere la risposta: “Arrivano dalla maturità nell’ignoranza pressoché assoluta delle nozioni fondamentali, al punto che non si possono adottare libri che siano più lunghi di 80 pagine. Hegel, dunque non lo puoi studiare. Ti devi mettere d’accordo con un professore di un altro corso per fare Kant, sennò niente – e sentenziò amaro – che persone stiamo formando? Ci rendiamo conto del danno che stiamo facendo?”
Non si contano più i segnali di pericolo (appelli, articoli, libri, ecc.) lanciati in questi anni da intellettuali di ogni colore politico per richiamare l’attenzione delle forze più sane del paese e dell’opinione pubblica sui guasti apprenditivi e formativi che una scuola così indulgente sta producendo sui giovani.
È possibile che dopo mezzo secolo di rincorsa al ribasso vi sia ancora chi vede negli insegnanti degli aguzzini intenti a guastare le vacanze delle famiglie oberando i figli di compiti? Quelli che oggi – non credo siano rimasti in molti – hanno ancora la buona abitudine di prescriverli sono la parte migliore del corpo docente. Bisogna aver fiducia in loro: sanno la giusta quantità di compiti da assegnare e si comportano di conseguenza, perché mai dovrebbero eccedere? Certamente, finite le vacanze, saranno più esigenti degli altri nel controllare il lavoro svolto e valutare l’apprendimento che n’è derivato. Sanno che solo lo studio personale assiduo e costante permette l’assimilazione del sapere che sta alla base del progresso umano.
Inviterei i due assessori a prestare più attenzione agli insegnamenti dell’attuale Ministro dell’Istruzione e del Merito piuttosto che a quelli dei cattivi consiglieri. Sarebbe ben triste se in vista delle vacanze di carnevale del prossimo anno facessero propria la bizzarra tesi (rilasciata in questi giorni da alcuni intervistati sui quotidiani locali) che “i compiti a casa vanno limitati perché è scientificamente dimostrato che favoriscono i ‘ricchi’”. A parte il fatto che non c’era bisogno della scienza per scoprirlo – non c’è attività che non favorisca i ricchi – un simile provvedimento sarebbe anzitutto una iattura per i ‘poveri’ che – diversamente dai benestanti – solo a una solida preparazione culturale possono affidare la speranza di elevarsi socialmente.
È ben misera quella giustizia che pensa di realizzare l’eguaglianza mortificando le potenzialità intellettive degli avvantaggiati.