Una casa affacciata sul futuro
Il futuro ha la forma di una casa. La casa, un vecchio maso svuotato e ora riempito di vita, è nel cuore del quartiere di Gries, a Bolzano. Prima di questo c'erano storie di quotidiana disperazione, che nessuno voleva sentire. Poi una svolta, una tregua, l'ipotesi di una rinascita. E adesso sono qui. Kahn, Omar, Jaladkahn, Hakimi, e gli altri ventitre ospiti dello Zeilerhof.
Porte chiuse, telefonate interrotte
È una mattina tranquilla. Il freddo sta chiuso fuori. Salgo le scale fino al secondo piano, aspettandomi il suono che fa la vita quando non è più minacciata dalla necessità. Qualcuno occupa il bagno. Quando esce, brevi saluti. Si ha pudore a penetrare nella sfera di un'intimità finalmente riconquistata. Ma i sorrisi diradano l'imbarazzo. Il primo a parlare è Kahn. Si sta preparando per andare a lavorare. Una bella barba riccia gli incornicia il volto, gli occhi splendono fiduciosi. Non parla italiano (lo sta imparando). Improvvisiamo in inglese. Gli ultimi sette mesi ha vissuto ospite da amici diversi. Ogni settimana era una scommessa. Ha un negozio di alimentari dalle parti di Piazza Verdi. Ma come per tutti, tutti quelli che sono qui, trovare un appartamento era un'impresa quasi impossibile. Tante porte chiuse, telefonate interrotte. Un muro di diffidenza impenetrabile. Adesso invece sembra tutto cambiato. Si può guardare avanti con serenità. Dormire, farsi una doccia, scegliere cosa indossare, uscire. E soprattutto tornare. “Il mio sogno è portare qui mia moglie, che è rimasta in Bangladesh”. Gli stringo la mano. Ringrazia, come se ci fosse da ringraziare. Ringrazio io lui.
A Jaladkhan ridono gli occhi
Jaladkhan viene dall'Afghanistan. Il suo nome me lo ripete due volte, mi sfugge, mi faccio aiutare per trascriverlo correttamente. È qui da dieci giorni, lavora nella mensa di una caserma in Via Vittorio Veneto. In Italia da sette anni, risiede a Bolzano da più di tre. Ha faticato tantissimo prima di trovare un alloggio. Per un anno è stato alla “Casa del giovane lavoratore”, con l'ansia sempre sul collo. Usufruisce della protezione sussidiaria, che è un altro modo per dire precaria. Gli chiedo semplicemente come si trova, se qui gli piace. “Molto piace”, mi fa. Anche a lui ridono gli occhi. Non c'è bisogno di aggiungere altro.
La prima volta in una vera casa
Per ultimo parlo con Hakimi. È spuntato da una porta delle otto stanze, forse richiamato dalle voci. È raggiante. “Ho trovato due armadi, adesso li porto qui”. Lui lavora come lavapiatti in un Hotel del centro. “Dal 2006 ho dormito per strada”. Anche sotto i ponti? “Certo”. Lo dice come se fosse una cosa normale. Quasi ovvia. “Questa è la prima volta che vivo in una vera casa”. Dall'Afghanistan è partito nel 2012, quando aveva sedici anni. Il solito viaggio della speranza, a piedi, con una barca, con un camion (sotto ad un camion, per dire le cose come stanno). Un'infinita storia di peripezie, pericoli, sgomenti. La rotta balcanica è un percorso ad ostacoli. Si rischia tantissimo. Si rischia sempre. Poi mille lavori, fino all'ultimo. Gli chiedo se gli piace Bolzano, e perché alla fine è venuto proprio qui. “Mi piace tantissimo, perché ha le montagne, come il posto dal quale provengo”. Parla molto bene l'italiano, anche lui mi stringe la mano e ringrazia.
Un messaggio di buongiorno per tutti
Sono solo tre storie, prese al volo. Raccontano meglio di mille considerazioni sul dovere e la fatica dell'accoglienza, mostrano che cosa significhi ridare la speranza a qualcuno che l'aveva perduta. Karin Cirimbelli, che mi accompagna, mi racconta le cose che restano da fare. “I ragazzi vorrebbero avere un orto, così da poter cominciare anche a vendere qualcosa. Organizzeremo una giornata delle porte aperte, perché questo non deve essere un posto chiuso. Abbiamo l'esigenza di farci conoscere e di far conoscere quello che facciamo. Su WhatsApp abbiamo una chat del gruppo, ed è bellissimo, la mattina, veder arrivare i messaggi di buongiorno da tutti. Lo fanno in italiano, e considera che qui abbiamo tante nazionalità diverse: Bangladesh, Gambia, Costa d'Avorio, Nigeria, Tunisia, Palestina, Marocco, Senegal, Afghanistan”.
Un nuovo inizio
Il Maso Zeiler per adesso è un esperimento riuscito, un approdo verso la normalità. I volontari che lo gestiscono aiutano i residenti a districarsi nella burocrazia, cercano con loro altre opportunità, un altro alloggio, come è giusto che sia, e per liberare il posto a chi ancora subisce il destino del freddo. Chi lavora ha diritto ad abitare dignitosamente. Qui non possono cucinare, ci sono delle limitazioni. Ma intanto è un inizio, un nuovo inizio. “La speranza – prosegue Karin – è che non resti un esempio isolato. Vogliamo rivisitare il concetto di generosità, che non vuol dire fare semplicemente dell'elemosina. Cerchiamo di sprigionare energia positiva, sono gli ospiti a darci una mano, non solo noi a loro”. Per offrire un aiuto concreto c'è bisogno di donazioni, magari anche solo di tempo. Mi invita a trascrivere un codice bancario: IBAN/ IT 58 L058 5611 6010 5057 1438 376 – BIC/BPAAIT2B050. “Ognuno è invitato a venirci a trovare, basta bussare alla porta del futuro”.