Gesellschaft | L'intervista

Masi chiusi di un altro genere

Non solo uomini: a gestire un maso, dove la giornata inizia quando il sole deve ancora sorgere e termina con la luna in cielo, ci sono anche donne come Kathrin Alber.
Kathrin Alber
Foto: Francesca Faccini

Se non si viene dall’Alto Adige o dalle terre vicine, è difficile sapere dell’esistenza dei masi chiusi. Qualche settimana fa intorno a un tavolo a cui erano sedute persone provenienti da diverse regioni del Nord d’Italia ho raccontato le poche informazioni che sapevo circa quest’istituzione perlopiù riguardanti il fatto che si trovano in montagna, che c’entra con la famiglia e gli animali, che è qualcosa le cui tradizioni sembrano immutate nel tempo – anche in fatto di condizione femminile. In questo pressapochismo che smaschera il mio non essere sudtirolese c’è del vero.

Come si sa alcune tradizioni sono dure a morire. Per quanto riguarda i masi chiusi, per esempio, non stupisce il fatto che sia stato necessario aspettare il 2001 per vedere cadere quel sistema patrilineare che garantiva che la discendenza e l’eredità seguissero la linea maschile della famiglia: è stato con la Legge Provinciale del 28 novembre 2001 che è scomparso il riferimento al sesso dell’erede. I tempi della legge non rispettano, però, quelli del reale stato delle cose: laddove si sceglieva di continuare a escludere le figlie nei processi di successione, le donne vivevano e lavoravano nei masi chiusi assumendo un ruolo sempre più importante nel panorama agricolo del Sudtirolo. Basti pensare, infatti, che l’istituzione dell’Unione delle Donne Coltivatrici Sudtirolesi, la maggiore unione femminile dell’Alto Adige, risale al 1981.

Oggi sono numerose le donne coinvolte nella gestione degli oltre 13.000 masi presenti nella provincia di Bolzano (secondo il censimento effettuato nel settore agricoltura nel 2010, in Alto Adige risultano circa 20.200 aziende agricole delle quali circa 13.300 sono masi chiusi) e una di queste è Kathrin Alber, giovane donna classe 1996 che, insieme al marito, vive nel maso di famiglia ad Avelengo con nonni, genitori e le sue tre sorelle minori. Il loro è un maso avito (Erbhof), un’attribuzione che viene assegnata ai masi che da almeno duecento anni sono rimasti della stessa famiglia per via ereditaria diretta.

salto.bz: Kathrin Alber, si è sempre immaginata a vivere nel maso di famiglia o ha mai desiderato intraprendere un’altra strada?

Kathrin Alber: Quando ero più giovane non mi sarei immaginata di rimanere qui: vivere e lavorare in un maso è molto vincolante oltre che faticoso. Per esempio, per me è imprescindibile che il proprio partner abbia la stessa passione perché la vita che si conduce qui è troppo diversa rispetto a quella di chi vive in paese o in città. Se si lavora con la terra e gli animali bisogna rispettare orari ben precisi che non sono quelli d’ufficio. A ogni modo non mi sono mai vista a vivere in una grande città: ho sempre desiderato rimanere in montagna, magari in paese, così da poter continuare a coltivare le mie passioni come suonare nella banda locale.

Come donna si è mai sentita svantaggiata nella scelta di portare avanti il maso?

C’è da dire che io non gestisco l’azienda, aiuto soltanto. Dal 2007 è mio padre (primogenito) a condurre il tutto, dopo che per anni lo ha fatto mio nonno e prima il padre di mio nonno e via dicendo. I masi gestiti da donne non sono più una rarità. È necessario però ricordare che se una volta il possesso del maso era qualcosa di ambito, ora è una fortuna se qualcuno lo desidera. I genitori possono solo essere felici se qualche figlia o figlio sceglie di portare avanti la tradizione. Al giorno d’oggi, la gestione del maso è un secondo lavoro: solo la passione porta a dividersi tra un lavoro “da dipendente” e quello al maso. Nel mio caso la decisione è stata facile: siamo quattro figlie e io sono l’unica a voler rimanere qui e, un giorno, portare avanti l’azienda.

Siamo quattro figlie e io sono l’unica a voler rimanere qui e, un giorno, portare avanti l’azienda.

Qual è la sua giornata tipo?

Inizia presto: alle 5:30 sono già in stalla ad aiutare mio nonno e i miei genitori che dalle 4:30 stanno mungendo le quasi quaranta mucche da latte che abbiamo e stanno dando da mangiare ai vitelli. Poi dalle 8:30 alle 17:30 vado in ufficio ad Avelengo e al mio ritorno, verso le 17:45, fino alle 19:30/20 torno in stalla. Si munge due volte al giorno – mattina e pomeriggio – e ogni mattina alle 7 aspettiamo il camion cisterna per la raccolta del latte che passa di fattoria in fattoria a ritirare il latte per poi portarlo alla Latteria Sociale Merano.

La sera equivale al tempo libero, quindi mi dedico alla banda, agli amici o allo sport.

Si è sposata da pochissimo e condivide la casa con i suoi nonni, i suoi genitori e le sue sorelle, oltre che con suo marito Christian. Le capita mai di sentire il bisogno di uno spazio tutto suo?

Ovviamente sì! Finora non è stato possibile perché qui vicino non ci sono molti appartamenti disponibili e noi non possiamo allontanarci perché dobbiamo poter raggiungere la stalla velocemente. In questi anni abbiamo messo un po’ di soldi da parte e ora ci stiamo costruendo la nostra casa accanto al maso.

Qui sono capa di me stessa

Cosa l'ha spinta a rimanere in montagna? Spesso dall’esterno si dimentica la fatica di lavorare con la terra e gli animali…

La natura e gli animali. Qui cresci e vivi seguendo i ritmi della natura. Inoltre qui mi sento un’artigiana perché riesco a vedere il risultato del mio lavoro. Sono responsabile dei miei animali: io li curo, li nutro e loro mi restituiscono affetto e latte. Spesso si pensa che quello della contadina sia un lavoro vecchio, invece è necessario rimanere sempre aggiornate. Per me lavorare nel maso è molto più stimolante rispetto a lavorare in un ufficio. Infine, cosa da non sottovalutare, qui sono capa di me stessa.

La tradizione del maso chiuso si inserisce in un contesto generale di agricoltura intensiva e allevamento industriale. Crede che l’armonia e l’equilibrio tra ambiente e persone sia qualcosa che andrà perduto definitivamente con il tempo oppure si può sperare in un forte cambio di tendenza che vede sempre più persone lavorare la terra e lasciare la città?

Probabilmente nei prossimi anni molti masi verranno abbandonati. Il lavoro nel maso è raramente sufficiente per mantenersi e dunque quasi tutti hanno un altro impiego. Spesso lo stipendio ottenuto dalla seconda attività finisce nelle spese per la gestione del maso o della fattoria.

Probabilmente nei prossimi anni molti masi saranno abbandonati

Secondo me una delle principali cause di quest’abbandono risiede nel fatto che i prodotti dei masi – nel nostro caso il latte – vengono pagati troppo poco. È vero, ci sono le sovvenzioni ma non bastano. Al posto degli aiuti statali o provinciali, io punterei sulla valorizzazione del prodotto. Spesso però i consumatori non sono disposti a pagare: non conoscono il lavoro che c’è dietro a un litro di latte di fattoria.

Secondo me, dunque, non manca il desiderio di rimanere, manca una prospettiva: il guadagno non è proporzionato allo sforzo che c’è dietro.

Si divide tra il lavoro in ufficio e quello nel maso: cos’è per lei la vacanza? Ci si può prendere ferie dal maso?

Dipende da quante persone aiutano al maso. Nel caso nostro, alcuni giorni sono sempre fattibili, perché non siamo ancora responsabili, ma aiutiamo soltanto. Per i miei, per esempio, è molto più complesso: è mio padre quello che conosce il meccanismo di ogni macchina e che ha sempre tutto sotto controllo. Per ora, sarebbe difficile immaginare di non averlo qui al maso per una settimana!

Perché ha scelto di rimanere?

Per la passione! E perché amo gli animali…

Perché secondo lei quella del maso è una tradizione da custodire?

L’Alto Adige è un’importante meta turistica. I turisti vengono qui per il paesaggio fatto di prati curati e malghe da cartolina. Chi taglia il fieno, porta gli animali al pascolo, fornisce i prodotti – alimentari e non – tipici di montagna, fa del Sudtirolo il Sudtirolo che si vede nelle cartoline, sono i contadini. Senza di loro non ci sarebbe il territorio a cui siamo abituati.