Politik | Ricorrenze

Settanta ma non li dimostra

Anniversario di fondazione per la SVP, un partito che gli italiani, a Bolzano e a Roma, non hanno mai capito del tutto.

Amiamo talmente la Suedtiroler Volkspartei che preferiremmo ce ne fossero due (o tre). Forse il parafrasare un celebre detto di Giulio Andreotti sull'unità germanica è il modo migliore per descrivere l'ambivalente sentimento dei politici italiani, e degli italiani in genere, sul partito di raccolta dei sudtirolesi che celebra in questi giorni il 70º anniversario di fondazione. Sentimento ambiguo, si diceva, perché alla stupita ammirazione per un fenomeno politico che non si capisce, ma del quale si apprezza la robusta longevità coronata da un successo incredibile, si è unito, soprattutto nel passato, l'auspicio che questo monolite apparentemente intangibile si frantumasse,  per dar luogo ad un sistema di partiti più vicino a quello italiano e quindi, forse, più controllabile.

Una speranza, quella di una rapida dissoluzione del partito di raccolta, che la politica italiana non si è limitata a coltivare in silenzio, nel proprio animo. I tentativi di minare l'unità interna della Suedtiroler Volkspartei cominciano, come dimostrano gli archivi governativi che si vanno aprendo in questi anni alle ricerche degli storici, quasi subito dopo la sua fondazione. Già in quei convulsi giorni di maggio del 1945, iniziano a viaggiare verso Roma le informative di prefetti ed altri responsabili locali che segnalano presunte divisioni, correnti, gruppi organizzati all'interno del partito appena rinato sulle rovine della guerra, di vent'anni di oppressione fascista, della tragica divisione tra optanti e "dableiber", con il carico di una convinta adesione al nazismo da espiare e sulle ceneri di quel Deutscher Verband che, nel '18, ne aveva anticipato lo schema politico fondamentale. Comincia allora, con quei rapporti, l'ansioso interrogarsi del mondo politico italiano sulle distinzioni, talvolta del tutto inventate, tra estremisti e moderati, tra "duri" e dialoganti. Non di sole parole si tratta: sono agli archivi i vari tentativi perpetrati nel corso degli anni di sovvenzione per organizzare partitelli alternativi di breve durata e che ancor minore fortuna.

La Suedtiroler Volkspartei non si divide non si sgretola ed anche a Roma e Bolzano ci si convince, sia pure a fatica, che in fondo può essere un vantaggio quello di avere un unico avversario con cui sedersi al tavolo con cui distribuire le carte nella partita per la seconda autonomia, dopo il tragico fallimento della prima.

I progetti di demolizione vanno in soffitta e inizia il lungo, lunghissimo periodo dei rapporti privilegiati fra la politica romana e gli uomini che portano all'occhiello il distintivo della stella alpina, primo tra tutti quel Silvius Magnago che suscita, probabilmente per la sua totale diversità, l'affascinata ammirazione dei politici romani. A Bolzano i sentimenti sono un po' meno teneri, ma quando hanno fine anche gli ultimi tentativi di erodere il consenso della SVP , con il triste declino del cosiddetto interetnicismo da parte delle forze politiche italiane, non resta, con l'esclusione dei verdi alternativi di Alex Langer, che accettare senza riserve lo status quo.

In realtà nella difficoltà da parte degli italiani di accettare l'esistenza della Volkspartei, gioca un ruolo importante anche una fondamentale differenza di carattere culturale. È difficile far digerire l'idea del cosiddetto "partito di raccolta" che accoglie e gestisce senza difficoltà uno spettro politico che va dalla destra più radicale alla socialdemocrazia, ad un popolo, come quello italiano, dove i partiti si fondano solo per poter fare poi le scissioni e dove se tre persone mettono in piedi un qualunque tipo di sodalizio, il giorno dopo ci sono già una corrente di maggioranza e due di opposizione.

Un mistero politico, quello incarnato dalla Suedtiroler Volkspartei, che si nutre anche di altri elementi del tutto particolari agli occhi degli osservatori italiani. Con un paragone automobilistico, si potrebbe dire che la SVP è una macchina con la guida rigorosamente a destra e che non contempla la marcia indietro.

Il primo elemento, valido, va detto, soprattutto nel passato, prevedeva che chiunque si candidasse alla leadership della stella alpina doveva dare innanzitutto validissime garanzie di assoluta intransigenza sul piano etnico. Qualunque sospetto di eccessiva morbidezza nel trattare le questioni considerate rilevanti per la tutela dei diritti di tedeschi a dadini sarebbe stato fatale. Questo comportava ad esempio che anche politici sudtirolesi considerati morbidi e dialoganti con il mondo italiano, irrigidivano improvvisamente la schiena e il linguaggio quando meditavano di scalare le posizioni di vertice del partito. Oggi il requisito è meno richiesto forse perché, dice qualcuno, è la SVP a non essere più quella di un tempo.

La seconda questione, quella della marcia indietro, è un po' più complessa. Qualunque richiesta la Suedtiroler Volkspartei abbia elaborato e avanzato nel corso della sua lunga storia che non sia, per tanti motivi, stata soddisfatta non viene mai del tutto accantonata. Entra a far parte di un "cahier de doleances" conservato in un cassetto e riproposto in parte o del tutto quando la situazione venga ritenuta opportuna. Anche a distanza di mesi o di anni. 

Un esempio, per far capire il concetto. Alcuni anni or sono, prendendo spunto da quanto avvenuto tra Italia e Croazia a proposito dell'ormai sparuto gruppo di italiani è rimasto in Istria e Dalmazia, i deputati della Suedtiroler Volkspartei chiedono venga concesso a tutti i sudtirolesi il doppio passaporto, italiano e austriaco. La richiesta suscita immediatamente fortissimo imbarazzo, più ancora a Vienna che a Roma, ma la cortesia austriaca impone che venga discussa e analizzata. Viene respinta anche perché un simile precedente tra nazioni integrate nell'unione europea sarebbe la stura ad una serie infinita di rivendicazioni in tutta Europa.

Non fa nulla. La Suedtiroler Volkspartei prende atto del cortese diniego e continua a riproporre la richiesta ad ogni occasione, nella convinzione che prima o poi il momento buono arriverà.

Così vanno le cose nell'universo politico di un ventennio in un mondo sudtirolese così difficile e complesso da penetrare per la mentalità italiana. Oggi qualcuno dice che i tempi del partito di raccolta sono finiti e che, dopo la perdita della maggioranza assoluta in consiglio provinciale, grazie all'erosione delle forze della destra politica sudtirolese, si potrebbe avverare, prima o poi, quel sogno risalente a settant'anni fa di una frantumazione definitiva del sistema partitico attuale.

Solo che, nel frattempo, come sono soliti fare, gli italiani hanno cambiato opinione e adesso preferirebbero tenersi stretta una SVP ancora unita. Con tutti i suoi difetti, con il suo dirigismo etnico, potrebbe essere ancora il male minore rispetto ad una serie di partitelli in lotta per la conquista del potere ma pronti ad allearsi, in nome della difesa etnica, su posizioni molto più radicali di quelle odierne.

I soliti italiani, mai contenti di nulla.