Umwelt | Intervista

Dalla buccia al condensatore

Ricavare l'elettronica dagli scarti della frutta? Non è impossibile, dimostra l'università di Bolzano - Luisa Petti, docente di un nuovo corso di ingegneria, spiega come
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Elettronica sostenibile
Foto: www.bz.it

Salto.bz: Luisa Petti, lei è professoressa all’università di Bolzano e insegna Ingegneria elettronica e dei Sistemi ciberfisici. In cosa consiste questo corso di studio?

Luisa Petti: Si tratta di una laurea triennale trilingue, un corso che racchiude in sé tre anime, come dimostra anche il suo nome. Unisce l’ingegneria elettronica e l’ingegneria dell’automazione e della robotica, mentre l’informatica e l’ingegneria informatica costituiscono la terza componente. La parola “ciberfisici” significa proprio questo: da un lato, il corso si occupa della fisica, la parte legata all’hardware, per esempio i sensori che permettono di elaborare informazioni e di raccogliere dati intorno a noi in modo connesso. Dall’altra parte abbiamo il campo dell’automazione, nella robotica gli attuatori. Tutto questo viene legato alla parte ciber, quindi il lato software, l’intelligenza degli algoritmi che permettono di compiere delle funzioni complete.

Gli ingegneri e le ingegnere che formiamo all’università di Bolzano saranno in grado di progettare, realizzare, caratterizzare e validare questi sistemi ciberfisici all’interno di un ampio campo di applicazioni.

Un ottimo esempio per il modo di funzione dei sistemi ciberfisici sono i robot. Dispongono di tanti sensori ottici e non solo, che permettono loro di riconoscere l’ambiente che li circonda attraverso la cosiddetta visione artificiale nota come computervision. Allo stesso tempo i robot sono in grado di elaborare tutte le informazioni provenienti da questi sensori, quindi dispongono della computazione, dove entra in gioco l’ingegneria informatica. Inoltre, un robot è anche capace di svolgere un’azione: per esempio nel campo dell’agricoltura di precisione un sistema ciberfisico concepisce tutto l’ambiente circostante, come l’umidità del suolo, la temperatura, poi riesce a elaborare queste informazioni e a decidere in maniera intelligente quando innaffiare attraverso degli attuatori.

Gli ingegneri e le ingegnere che formiamo all’università di Bolzano con questo corso di studio saranno in grado di progettare, realizzare, caratterizzare e validare questi sistemi ciberfisici all’interno di un ampio campo di applicazioni.

 

Quali sono le particolarità del corso, nato soltanto quest’anno?

Il nostro corso è molto pratico: accanto alla parte teorica nell’ambito della matematica, della fisica, della programmazione che occorre sempre, tutte le materie caratterizzanti dell’elettronica, dell’automazione e dell’informatica vengono anche insegnate in laboratorio. Già nei corsi obbligatori c’è una grande preparazione laboratoriale, grazie alla quale gli studenti e le studentesse imparano a lavorare con la strumentazione, a progettare, programmare e testare dispositivi. Abbiamo allestito un laboratorio didattico in cui possiamo usare un’attrezzatura all’avanguardia.

Inoltre, il nostro corso comprende un tirocinio in azienda necessario che permette di approfondire i concetti delle varie materie dal punto di vista aziendale. Vorremmo poi inserire nei corsi opzionali delle lezioni che vadano a livello progettuale e permettano quindi di svolgere delle attività di progettazione e soluzioni intelligenti in tutti i tre campi del corso di studio.

 

Sensing Technologies Lab
Preparazione in laboratorio: Il nuovo corso di laurea è molto pratico (Foto: unibz/Eleonora Lunardoni)

 

Dal punto di vista lavorativo, il suo corso di laurea ha tanti sbocchi?

Attualmente c’è una carenza enorme di ingegneri/e, sia nell’ambito locale, nazionale, che internazionale. È molto interessante ciò che sta succedendo a livello europeo e americano, il cosiddetto Chips Act. Si tratta di un piano della comunità europea – in America c’è l’equivalente – nel quale si cerca di portare l’autosufficienza nello sviluppo dei dispositivi integrati in Europa, perché allo stato attuale la produzione di tutti i circuiti integrati, cioè di tutti i chip che si trovano all’interno dei nostri cellulari e computer, vengono prodotti in Asia, principalmente in Taiwan e in Corea. A causa della situazione geopolitica attuale, c’è una difficoltà sempre maggiore a ricevere questi circuiti, perché la produzione dipende da solo due grandi fabbriche.

 

Per il momento in Italia mancano gli ingegneri e le ingegnere per operare in tutte le nuove industrie e aziende

La comunità europea del Chips Act sta investendo miliardi di euro per portare lo sviluppo dei semiconduttori, quindi dei materiali necessari per realizzare i chip, in Europa, precisamente con delle fabbriche di circuiti integrati nei vari paesi aderenti all’Unione Europea. Però per il momento in Italia mancano gli ingegneri e le ingegnere per operare in tutte le nuove industrie e aziende – il motivo per questa carenza potrebbe essere l’accrescente invisibilità dell’elettronica che deriva dal fatto che l’elettronica è diventata sempre più piccola e onnipresente. Nelle scuole superiori non viene quasi mai tematizzata e mentre l’intelligenza artificiale ormai costituisce un argomento principale nella discussione pubblica, spesso si dimentica che quest’ultima non esisterebbe senza l’elettronica. La minaccia è che non ci sarà il personale necessario per gestire i nuovi impianti produttivi e i centri in cerca di sviluppo – noi vogliamo avvicinare i giovani all’elettronica ed è così che è nata la nostra nuova facoltà di ingegneria.

 

Lei ha diretto una ricerca del Sensing Technologies Lab che ha sviluppato una nuova tecnologia in grado di produrre circuiti elettrici stampati a partire dalla carta ricavata dagli scarti della frutta. Potrebbe spiegare come funziona questo processo?

Questa nostra ricerca è stata svolta sotto l’appellativo SSP che sta per Sustainable Smart Parasites. È un lavoro collaborativo tra il nostro gruppo di ricerca, il Sensing Technologies Lab della facoltà di ingegneria che dirigo insieme al professor Paolo Lugli, e il Friction Lab, il gruppo della facoltà di design e arte gestito dal professor Nitzan Cohen. Il progetto interdisciplinare è stato finanziato dall’università e vuole unire varie competenze, la nostra di realizzazione di elettronica con materiali innovativi e quella dell’utilizzo di materiali innovativi per il design.

Uno dei risultati che è emerso da queste interazioni particolari tra ingegneri/e e designer è la scoperta dei substrati di un tipo di carta sostenibile. Si tratta di carta disponibile commercialmente, fabbricata da un produttore italiano, la cui peculiarità sta nel modo di produzione: è realizzata dagli scarti di mela, uva e kiwi.

Ragionando con i designer abbiamo pensato a una tecnica per realizzare dei circuiti servendoci del substrato di carta stesso invece di utilizzare materiali sopra il substrato. Per riuscirci, è necessario modificare il substrato come parte attiva. Con un laser CO2 abbiamo cominciato a ottimizzare il processo di carbonizzazione della superficie della carta: il laser rende conduttivi i filamenti della carta e con le parti carbonizzate e con quelle non carbonizzate della carta, si possono già avere due ingredienti dell’elettronica, la parte isolante (la carta) e un conduttore (la carta carbonizzata).

 

Elettronica flessibile
Elettronica non convenzionale: Il gruppo di lavoro sperimenta con materiali diversi (Foto: unibz./Eleonora Lunardoni)

 

Quali sono i settori di applicazioni di questi circuiti elettrici?

Con le componenti ricavate dalla carta sostenibile abbiamo realizzato dei dispositivi come dei condensatori, degli elettrodi per la bioimpedenza sulla frutta e sul corpo umano o anche per l’elettrocardiogramma, dimostrando che i circuiti realizzati con la carta non sono soltanto biocompatibili, ma anche biodegradabili, perché si dissolvono nell’acido citrico. Si tratta di elettronica circolare – è un substrato che viene dalla natura e può ritornare nella natura, spezzettato permette anche alle piante di crescere e di germinare. Dal punto di vista della sostenibilità questo è un grande vantaggio, perché spesso l’elettronica usa materiali ricchi di sostanze tossiche e nocive o metalli rari che possono essere contaminanti. Il nostro invece è un materiale che viene dalla natura, fa la sua funzione e poi torna nella natura.

Concretamente, i nostri circuiti vengono principalmente usati per sensori; hanno bisogno di un’alimentazione elettrica e possono monitorare dei parametri. I due campi applicativi sono quello dell’agrifood, dove i nostri sensori servono al monitoraggio della maturazione dei frutti, e il settore della medicina per monitorare le condizioni fisiologiche sia di atleti, che di persone con patologie.

 

Che futuro avete in vista per il progetto?

Il nostro gruppo lavora nella direzione generale dell’elettronica sostenibile e dell’elettronica non convenzionale. Cerchiamo di evitare l’uso di silicio o l’elettronica utilizzata nell’industria dei circuiti integrati, ma vogliamo principalmente servirci di materiali a basso costo e a basso impatto ambientale. Il nostro progetto continua a evolversi in questa direzione e avrà bisogno di tanti altri elementi, per ora abbiamo cominciato con la creazione di sensori elettrochimici, ma lavoriamo per rendere più complesso il sistema: la nostra ricerca prosegue in questa direzione, il progetto è un passo verso ciò che occorre per migliorare la sostenibilità e la circolarità nell’elettronica.