Foto: cinefacts
Gesellschaft | Il Cappuccino
Se questo è (solo)un attore
Negli occhi chiari di Lorenzo e di Piero Fantastichini c’è tutto l’amore e lo smarrimento del figlio e del fratello di Ennio Fantastichini, l’attore straordinario e docile e però possente che è scomparso qualche giorno fa a Napoli.
Un piccolo amarcord invade allora questa rubrichina per provare a dire che Ennio è stato un uomo probo e insieme “irregolare” in un habitat come quello romano del cinema dove spesso si perde la testa e talvolta persino la dignità.
Ad Ennio Fantastichini non è accaduto mai. Né con il figlio, amatissimo ma anch’egli ribelle, né con il fratello Piero, artista di rango e propugnatore di linguaggi roventi soprattutto nell’astrattismo.
Ennio organizzava spesso serate tra amici nel vecchio appartamento romano di Trastevere, a pochi passi dalla vecchia redazione di “Il foglio”, oppure nella piccola casa dietro San Pietro dove abitava una delle ragazze-donne che ha amato di più oppure ancora nell’atelier di Piero, laggiù quasi all’inizio della Nomentana.
Rideva, Ennio, e fingeva di arrabbiarsi perché all’indomani si sarebbe dovuto svegliare all’alba per essere sul set dei film e dei filmtv che lo avevano convinto. Aveva già girato “Porte aperte” con Gian Maria Volontè e la regia di Gianni Amelio, riportandone una esperienza così profonda ed intensa da parlarne spesso e sempre con parole nuove.
Dire “non banalità” gli è riuscito per 63 anni.
Poi, una carriera segnata da film come “Ferie d’agosto” di Paolo Virzì e “Mine vaganti “ di Ozpetek e una messe di interpretazioni a teatro, sui set, persino nelle letture in ricorrenze di alto segno civile.
Una vita accelerata ma certo non deformata da un carattere non facile, certo. Ma sempre “dalla parte giusta” per difendere il lavoro dell’attore, il suo ruolo e le sue potenzialità.
Chi scrive lo aveva più volte invitato in Sudtirolo a parlare di cinema e di vita. “Verrei per dire che amo le dolomiti e che il vostro è un pubblico meraviglioso? – chiosava schermendosi – no, verrò solo quando avrò davvero cose da dire e non banalità”.
Dire “non banalità” gli è riuscito per 63 anni. Ora, l’amatissimo Shakespeare è (quasi) solo per lui, là dove si trovano tutti e due.
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