Chronik | Il caso

Clamoroso a Livorno

Il M5S espugna la città considerata una roccaforte inalienabile della sinistra. Sicuri, però, che abbia perso davvero la sinistra?

Filippo Nogarin è il nuovo sindaco di Livorno. Ci è riuscito battendo al ballottaggio Marco Ruggeri, candidato e uomo di apparato del Pd. Un sindaco targato M5S, evento che di per sé desta sempre un certo clamore, a capo di un municipio come Livorno non è però una notizia come le altre. La città toscana infatti era una di quelle considerate inespugnabili per qualsiasi partito o movimento distante dalle radici “comuniste”, radici che furono gettate proprio nel terreno che circonda i Quattro Mori, quasi cento anni fa. Un predominio durato poi per 68 anni, cioè in pratica dal dopoguerra e senza soluzione di continuità. Sufficienti a generare l'impressione che le cose non sarebbero mai cambiate, a prescindere dalla qualità dell'amministrazione fornita. Qui, insomma, non occorreva neppure turarsi il naso: era proprio la puzza a non essere più neppure avvertita.

Invece le cose sono cambiate. E in un modo che, per l'appunto, ha del sensazionale. Non pochi osservatori – ancorché assai superficiali – hanno visto la svolta dell'8 giugno persino come un voto di “destra”, paventando che nella “rossa Livorno”, da ora in poi, vengano scacciati gli immigrati dalle panchine. Osservazioni superficiali, come detto, giacché non solo l'identificazione tra il Pd e il comunismo è manifestamente assurda, ma è soprattutto l'interpretazione complementare, che cioè il voto dei livornesi al M5S non sia da considerare di “sinistra”, a non cogliere l'evento nelle sue effettive proporzioni.

 

Prendiamo ad esempio il bel titolo del Manifesto di oggi (10 giugno). Sopra la faccia sorridente del pentastellato Nogarin la scritta: “Il marziano”. Senza dubbio, rispetto alle logiche consuete con le quali a Livorno il potere è stato conservato e trasmesso, l'exploit dell'ingegnere aerospaziale assomiglia alla discesa di un extraterrestre. Bisogna però capire che il senso di soffocamento e di insofferenza nei confronti di una classe politica sclerotizzata e, a detta di tutti (persino di chi avrebbe dovuto riabilitarla dall'interno, adottando lo slogan “punto e a capo”, al quale in pochi però hanno creduto) inefficiente, ha creato ampiamente le condizioni per l'apparizione eclatante. Ne ha colto il segnale l'altra formazione di sinistra (guarda caso fermamente contraria al Pd) uscita meglio dalle urne, Buongiorno Livorno, che infatti ha sostenuto al ballottaggio Nogarin, contrastando in questo modo la tendenza ad esprimere una scelta meramente ideologica, ed esprimendo un'istanza di rinnovamento coraggiosa, sospesa tra gesto temerario e gusto situazionista.

Dunque si è trattato, dopo tutto, di un voto di sinistra? La sensazione che, riferendoci a questo modo di leggere le cose, non si colga comunque l'essenziale è molto forte. Del resto il M5S rivendica una peculiare indeterminatezza rispetto alla questione e può declinarsi in vario modo, a seconda della sua differente percezione territoriale. A patto però che sia proprio il territorio a poter emergere, senza rischiare di essere travolto dal suo burrascoso leader, sempre più visto non solo come risorsa o tamburo mediatico, ma anche come problema. Accadde a Parma, è accaduto a Livorno. E la ricetta potrebbe funzionare di nuovo, dove i vecchi punti di riferimento ideologici servono solo per ricoprire le incrostazioni del potere (azzardiamo e chiediamo: potrebbe funzionare anche in Sudtirolo?).

Forse alla fine il consuntivo migliore l'ha tirato Matteo Renzi, alfiere di un Pd senza dubbio post-ideologico. Un Renzi che, guarda caso, proprio a Livorno non ha goduto finora di soverchia popolarità all'interno del “suo” partito, e quindi magari può considerarsi più libero di esprimere certi giudizi: “Ormai non esistono rendite di posizione consolidate”. Se fosse vero, è anche un modo per dire – sinistra o meno – che ha vinto la democrazia.