Gesellschaft | Honduras
La memoria di Berta Cáceres
Foto: Francisco Mari
Quando assassinarono Berta Cáceres, sua madre, Laura Zuniga viveva in Argentina, con il fratello Salvador. Adolescenti, i genitori avevano deciso di allontanarli dall'Honduras perché dopo il colpo di Stato del 28 giugno 2009 per loro il Paese centroamericano era troppo pericoloso.
A giugno 2019, a tre anni e tre mesi dalla morte di Berta - avvenuta nella notta tra il 2 e il 3 marzo 2016 - Laura è in Italia, con la sorella Bertha, per tessere relazioni di solidarietà ed incontrare le organizzazioni e le istituzioni che sostengono il COPINH, l'organizzazione indigena lenca che la madre aveva contribuito a fondare nei primi anni Novanta, e di cui era coordinatrice generale al momento della morte. Le due ragazze hanno rispettivamente 26 e 28 anni. "Non sappiamo se abbiamo reso appieno la realtà e la violenza che si respita in un Paese dove si muore ogni giorno" hanno detto, chiudendo l'incontro pubblico che hanno tenuto a Milano giovedì 6 giugno, tre giorni dopo l'appuntamento di Bolzano, nell'ambito di una breve tournee italiana per tornare a chiedere giustizia piena e la condanna dei mandanti dell'omicidio della madre.
La tappa milanese, organizzata dal Collettivo Italia Centro America, associazione con sede a Bolzano, dal Comitato "Berta Vive" Milano e dal Festival dei diritti umani, è stata l'occasione di questa intervista, nel quale le due sorelle hanno ricordato il ruolo della società civile e dei media internazionali nel difficile processo di ricerca della giustizia.
A giugno 2019, a tre anni e tre mesi dalla morte di Berta - avvenuta nella notta tra il 2 e il 3 marzo 2016 - Laura è in Italia, con la sorella Bertha, per tessere relazioni di solidarietà ed incontrare le organizzazioni e le istituzioni che sostengono il COPINH, l'organizzazione indigena lenca che la madre aveva contribuito a fondare nei primi anni Novanta, e di cui era coordinatrice generale al momento della morte. Le due ragazze hanno rispettivamente 26 e 28 anni. "Non sappiamo se abbiamo reso appieno la realtà e la violenza che si respita in un Paese dove si muore ogni giorno" hanno detto, chiudendo l'incontro pubblico che hanno tenuto a Milano giovedì 6 giugno, tre giorni dopo l'appuntamento di Bolzano, nell'ambito di una breve tournee italiana per tornare a chiedere giustizia piena e la condanna dei mandanti dell'omicidio della madre.
La tappa milanese, organizzata dal Collettivo Italia Centro America, associazione con sede a Bolzano, dal Comitato "Berta Vive" Milano e dal Festival dei diritti umani, è stata l'occasione di questa intervista, nel quale le due sorelle hanno ricordato il ruolo della società civile e dei media internazionali nel difficile processo di ricerca della giustizia.
"È importante provare a conoscere quello che accade altrove, perché solo ciò che si conosce può genera empatia - spiega Laura -. Ci sono ovviamente tante manifestazioni della solidarietà, che passano dal dipingere murales e striscioni con un messaggio esplicito ('Justicia para Berta Cáceres', ad esempio, ndr), dall'organizzare sit in o manifestazioni, e arrivano all'invio di lettere e mail alle istituzioni dell'Honduras e alle Nazioni Unite, perché si sappia che ciò che sta accadendo nel Paese non passa sotto silenzio".
Aggiunge la sorella Bertha, che ha preso il posto della madre come coordinatrice generale del COPINH: "Viviamo una sorta di accerchiamento mediatico. Non si vuole riconoscere il valore di Berta, il suo ruolo nelle lotte indigene, per l'Honduras e non solo. Il COPINH stesso è criminalizzato, accusato di essere un'organizzazione contrario allo sviluppo, di opporsi a progetti 'buoni', perché legati alle energie rinnovabili. La società civile internazionale ha avuto un ruolo fondamentale in questi ultimi tre anni e mezzo, non solo le organizzazioni non governative, ma anche alcuni ambiti istituzionali, che ci hanno sostenuto nel portare avanti la nostra richiesta di giustizia".
Un esempio significativo di questo sostegno è quello del Comune di Padova: l'amministrazione ha infatti deciso di conferire il "sigillo della città" alla memoria di Berta Cáceres. Il riconoscimento è stato consegnato nelle mani di Bertha e Laura il 5 giugno 2019. "Il 2 marzo 2016 [Berta, ndr] venne assassinata per aver diretto e accompagnato la lotta in difesa del fiume Gualcarque, fonte di vita e sacro per le comunità lenca di Rio Blanco in Honduras" sottolinea un comunicato stampa del Comune patavino.
Salto.bz: A che punto è la richiesta di giustizia?
Bertha Zuniga: Il governo ha fatto di tutto per silenziare una richiesta contro l'ingiustizia e l'impunità che arriva da tutto il mondo. Rientra in questa strategia anche la condanna di 7 autori materiali dell'assassinio. Non potevano non farlo, perché quasto caso ha messo con le spalle al muro il governo honduregno, di fronte al tema della mancanza di giustizia. Sappiamo che questa condanna rappresenta un passo in avanti, in un Paese con livelli altissimi di impunità, ma la nostra esigenza di giustizia non è soddisfatta in alcun modo. Vogliamo i nomi degli esecutori materiali. È importante, però, sottolineare che la sentenza orale ha riconosciuto che nostra madre è stata assassinata per la sua lotta contro la diga di Agua Zarca, e perché difendeva i diritti della comunità indigene. Stiamo aspettando la sentenza scritta, e abbiamo iniziato il processo contro uno degli autori intellttuali, anche se appare evidente che a pianificare l'omicidio furono in molti. Vogliamo rompere il patto di impunità tra i poteri dello Stato, governo, esercito e magistratura.
In che contesto è maturato l'omicidio di Berta Cáceres?
Laura Zuniga: Il colpo di Stato del giugno 2009 ha acuito nel nostro Paese un sistema economico neoliberista di tipo estrattivista, legato al saccheggio, estremo e violento, delle risorse naturali. Un processo che vede attive imprese nazionali e multinazionali, con il sostegno degli Stati Uniti d'America e di alcuni Paesi dell'Unione europea, attraverso istituzioni finanziarie pubbliche e anche usando lo schermo della cooperazione istituzionale. Il colpo di Stato rappresenta uno strumento di controllo sul territorio, contro cui nostra madre si è sempre battuta.
Mentre voi siete in Italia, l'Honduras è in piazza. Che sta accadendo?
Bertha: Il governo sta procedendo a una riforma, così la definiscono, dei settori della salute e dell'istruzione. Noi sappiamo che è una privatizzazione. Intanto, si sta discutendo una legge che rende possibile il licenziamento senza giusta causa nei due ambiti, che garantiscono però l'accesso a diriti fondamentali. Questo ha portato ad una forte mobilitazione sociale, permanente, a proteste di massa con marcie che coinvolgono decine di migliaia di persone.
Il colpo di Stato rappresenta uno strumento di controllo sul territorio, contro cui nostra madre si è sempre battuta.
Negli ultimi mesi l'honduras ha conquistato l'attenzione dei media per le migrazioni di massa, in carovana, verso gli USA. Che cosa sta accadendo?
Bertha: Le carovane sono un'evidenza della situazione generalizzata di mancanza di speranza, perché in un Paese dove si è abituati a lottare mette tristezza vedere i nostri fratelli mettersi in pericolo per affrontare questo cammino. Significa, purtroppo, che è l'unico modo che resta loro per cercare di sognare un futuro migliore. Credo sia importante ciò che hanno ottenuto: la capacità di sensibilizzare una comunità internazionale normalmente cieca, e poi l'aver fatto arrabbiare moltissimo Donald Trump, che ha minacciato di cancellare gli aiuti militari all'Honduras.
Laura: I migranti stanno seguendo la stessa rotta delle nostra risorse naturali: questi processi sono parte del processo estrattivista. In questo caso, si "estrae" la popolazione, che può diventare manodopera a basso costo, disposta a lavorare in condizioni di semischiavità. Inoltre, in questo modo si pensa di poter svuotere le nostre comunità, e questo renderebbe più semplice realizzare progetti di depradazione delle risorse. È una strategia: se non ci fosse più gente a difendere questi territori, per il capitale tutto diventerebbe più semplice.
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