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Molti sono i 'chiamati', ma pochi gli 'eletti'

Sembra facile diventare consigliere comunale a Bolzano. Ma si tratta invece di una sorta di Marcialonga dal percorso ridotto e con la partenza in linea.

L'obiezione viene spontanea ancor prima di iniziare a leggere. Nelle prime due puntate di questa storia si afferma, sia pur in chiave ironica, che non è poi così difficile diventare sindaco di Bolzano e adesso invece pare sia complicato conquistare anche uno solo dei cinquanta seggi a disposizione in consiglio.

La contraddizione è solo apparente. Quella per la poltrona di sindaco è una sorta di gara a eliminazione. Una volta passate le prime selezioni ci si trova a gareggiare in due o tre al massimo e a quel punto basta convincere gli elettori di essere un pochino più simpatico degli altri e il gioco è fatto. Quella per il consiglio, se ci si passa il paragone, è come una Marcialonga, ma col percorso ridotto a un centinaio di metri e la partenza in linea. Una sorta di zuffa collettiva, una baraonda senza esclusione di colpi.
Andiamo a spiegare.

Le cifre sembrerebbero, a prima vista, dar ragione a chi sostiene che non è poi così complesso conquistare uno o più seggi nella sala foderata di legno, al secondo piano del palazzo di Piazza del Municipio. In occasione delle ultime elezioni comunali, nella primavera del 2010, il Partito Radicale è riuscito ad assicurarsi l'ultimo dei posti disponibili con appena 464 voti. Una miseria si dirà, ma è una miseria che comunque bisogna conquistare e chiunque negli ultimi decenni si sia cimentato nella battaglia per le amministrative vi potrà confermare che quei voti bisogna sudarseli uno per uno.

La storia recente e lontana delle comunali è costellata di piccoli e grandi fallimenti che stanno a dimostrare la giustezza di questa tesi. Gruppi più o meno coesi di validi e motivati cittadini si sono presentati alle elezioni con la convinzione precisa di avere in tasca non solo uno ma più mandati già conquistati. A urne aperte e a conteggi effettuati sono rimasti con un pugno di voti in mano. Il fenomeno che spiega questi abbagli collettivi potrebbe essere denominato "dell'eco". Le consorterie che si apprestano alla battaglia elettorale tendono spesso a rinchiudersi in un dialogo interno e del tutto autoreferenziale, nel quale ciascuno ripete continuamente agli altri tutti gli ottimi motivi per i quali le elezioni saranno vinte a mani basse. Oggi poi il fenomeno è amplificato dall'uso dei cosiddetti "social media". Alla fine questo continuo rassicurarsi vicendevole crea una sorta di rimbombo, che illude chi ascolta di sentire le voci di centinaia o addirittura migliaia di cittadini ed elettori entusiasti. Lo spoglio delle urne fa giustizia di tutto ciò.

Un fenomeno, analogo ma leggermente diverso riguarda invece la situazione dei singoli candidati. Sempre nella primavera del 2010, alle ultime comunali bolzanine, si sono presentati 538 candidati. Uno ogni 158 abitanti del capoluogo, neonati compresi. Il che vuol dire che se in quel periodo si saliva su un autobus c'erano buone possibilità di pestare prima o poi il piede ad un aspirante consigliere o, nelle corsie di un supermercato, di fregare l'ultimo barattolo di nutella ad un candidato. Una massa enorme di aspiranti politici, tutti più o meno convinti di poter contare su un luminoso successo. Non bisogna badare troppo, infatti, alle affermazioni di chi sostiene di aver presentato la candidatura solo per disciplina di partito, per fare un favore a un amico, per aiutare un collega. Tutti, nel momento in cui accettano la candidatura, accarezzano il sogno di iniziare una luminosa carriera politica.

E iniziano a far di conto. Scoprono, ad esempio, che, sempre nel 2010, il consigliere eletto, che ce l'ha fatta col minor numero di preferenze è stato il rappresentante della Lista Di Pietro, Matteo degli Agostini, che ha portato a casa il seggio con soli 68 "mi piace". A questo punto sorridono soddisfatti pensando che l'impresa è tutt'altro che impossibile ed iniziano a scrivere la lista dei parenti, degli amici, dei condomini, dei colleghi d'ufficio, dei compagni nella squadra di calcetto, cui rivolgersi per un sostegno.
È il secondo tragico errore.

I voti del proprio "cerchio magico" sono, per esperienza comune, i più difficili da conquistare, proprio perché chi li esprime vede in genere la persona come parente, amico collega eccetera, ma non come futuro brillante amministratore della città. A testimoniare quest'amara verità le lunghe liste di candidati che, anche alle ultime comunali, hanno ottenuto dei risultati davvero sconfortanti. Ben otto di essi, nel 2010, non hanno preso nemmeno un voto, il che dimostra almeno la suprema onestà di non essersi voluti votare. È molto più lunga, però, la lista di chi è uscito dalle urne con appena uno o due consensi.

La verità è che i voti occorre andarli a cercare al di fuori della propria cerchia di conoscenze, così come i partiti, in specie quelli di nuova creazione, devono spezzare il cerchio autoreferenziale e viaggiare nel mare aperto della popolazione cittadina.

Si tratta in sostanza di conoscere gente, presentarsi, stringere mani e distribuire volantini, spiegare le proprie ragioni e cercare di demolire quelle altrui. Operazione dispendiosa in termini di tempo di fatica, ma una scorciatoia, per chi può disporre di qualche risorsa finanziaria, è quella di utilizzare la pubblicità televisiva o radiofonica, mentre l'uso di Internet è essenziale per raggiungere alcuni tipi di target come quello giovanile. E' enormemente facilitato, ovviamente, chi, potendo disporre di una posizione di potere politico già consolidata, può attuare quel sistema che, dai tempi dell'antica Roma, viene denominato clientelare.

Si narra infine che esista, celato in antiche pergamene conservate nella biblioteca di qualche abbazia, il segreto di un sistema antico per il quale nell'ultimo mese di campagna elettorale ci si limita a raccogliere i frutti di un lavoro impostato per tutti e cinque gli anni precedenti, incontrando i cittadini, facendosi carico dei loro bisogni ma anche delle loro indicazioni, riferendo a essi periodicamente del proprio lavoro. Si chiamava "fare politica", ma di esso, ai tempi nostri, si è persa ogni traccia.

Un cenno, infine, ad alcune tra le caratteristiche fondamentali di una battaglia elettorale combattuta, nel caso delle comunali bolzanine, con il sistema proporzionale puro. La prima regola, spesso ignorata a causa di richiami all'unità e alla coesione, è quella secondo la quale normalmente, con il sistema proporzionale, uniti si perde e divisi si vince. Sono innumerevoli i casi in cui partiti e movimenti diversi, una volta presentatisi assieme agli elettori, hanno scoperto, con amara sorpresa, di aver totalizzato assai meno voti di quelli che avrebbero avuto da soli. Non è certamente questo un fattore che aiuti la governabilità, ma così è, salvo ovviamente le eccezioni che esistono sempre.

Una campagna elettorale con sistema proporzionale assomiglia poi più a una guerra civile che a un conflitto tradizionale. I partiti si contendono i voti degli elettori, ma lo scontro più feroce resta quello tra i candidati di una stessa lista per le preferenze. Anche qui una lunga esperienza ha indicato alcuni sistemi per farsi strada con qualche successo in questa giungla. Ai tempi della prima Repubblica erano in gran voga, ad esempio, i cosiddetti "santini", nei quali agli elettori veniva raccomandata una terna o una quaterna di candidati, uno dei quali, solitamente un "big" del partito, trascinava al successo personaggi di minore caratura i quali in cambio gli garantivano il loro appoggio. La storia delle elezioni è costellata di tradimenti e voltafaccia, immortalati proprio da quei quadratini di carta. 

Il personaggio da cui guardarsi, in questa situazione, è in genere costituito da un politico dotato di un proprio  robusto pacchetto di preferenze, non abbastanza cospicuo, però, da permettergli di conquistare un seggio con le proprie forze. Costui, lanciando in genere appassionati proclami in favore dell'unità tra forze diverse, cerca di installarsi, come il cuculo, nel nido di un altro partito. Unendo le forze, il seggio è conquistato e, grazie al pacchetto di preferenze, l'eletto è in genere il nostro furbacchione, il quale, subito dopo le elezioni, non ha difficoltà a salutare i compagni di strada e a continuare da solo senza vincoli di sorta, il suo percorso.
Sembrerebbero trappole facili da evitare, ma la storia antica e recente delle elezioni altoatesine, comprese quelle per il comune di Bolzano, riporta parecchi di questi casi.

Molti sono i chiamati, si diceva, ma pochi, alla fine, saranno eletti.