Donare Meraviglia
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Nella picaresca trama di ricordi familiari e di avvenimenti che abbracciano l'Africa Orientale e l'Italia, raccolti da Saba Anglana nel suo primo romanzo La signora Meraviglia, appena uscito nel marzo 2024 per l'editore Sellerio e presentato di recente anche a Bolzano alla Nuova Libreria Cappelli, la meraviglia la fa da padrone.
Non solo nel titolo, che ha una doppia spiegazione. Da una parte, ‘la signora Meraviglia’ è il nomignolo che in famiglia danno alla agognata cittadinanza italiana, che Dighei, la zia di Saba Anglana, di nazionalità etiope, anche se in Etiopia non ha mai vissuto e invece da quarant’anni vive in Italia insieme al resto della famiglia, si trova a dover richiedere, costretta dalle nuove norme restrittive per gli stranieri imposte dal governo italiano. ‘Signora Meraviglia’ è anche la traduzione letterale del nome di Wezero Dinkinesh, una donna pratica di spiriti e riti magici, che decenni prima in Somalia aiuta Abebech, nonna dell’autrice del romanzo, a combattere lo spirito inquietante che la tormenta.
Il romanzo si muove su due filoni narrativi. Nel passato, a ricostruire le vicissitudini della nonna Abebech tra Eritrea e Somalia, e soprattutto a Mogadiscio, dove anche Saba Anglana poi è nata, da una delle figlie di Abebech, Nina la bella, e dal padre italiano. E nel presente, negli scorci di Ostia, dove vivono ora le anziane sorelle, la madre Nina e la zia Dighei, che la nipote aiuta a districarsi negli infiniti meandri della burocrazia romana, in un iter pieno di ostacoli e paradossi per ottenere la cittadinanza.
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Nell'abile tessitura del romanzo che mischia il tempo degli avvenimenti, le tradizioni e le culture, le pagine sono permeate dai colori delle vesti delle donne, dagli aromi speziati e dai riti crudeli dell’Africa, dalle ombre e dalla luce, dal respiro dell’Oceano Indiano e la sua forza, su cui si affaccia il biancore della vecchia città di Mogadiscio, poi travolta e cancellata da decenni di dittatura e guerra civile, dopo il germe violento del colonialismo. Da una folla di personaggi che popolano il passato e quelli del presente, e sono soprattutto i loro sguardi a sillabare le tragedie in cui si trovano immersi, oppure l’ottusità che oggi attanaglia alcuni nei meccanismi del rifiuto e dell’indifferenza.
E negli interstizi del racconto, nelle fessure della psiche, nei varchi tra passato e presente, si manifesta con insistenza lo spirito esigente degli antenati, che possiede e affligge le persone. Come un’inguaribile malattia, come un trauma irrisolto, come un’ossessione, che esige rispetto e “Probabilmente si placa solo attraverso un riconoscimento, un perdono, un rito”.
Il suo nome in amarico ricorre spesso nel romanzo: Wukabi è lo spirito che prostra per prima Abebech, ma i discendenti non ne sono immuni. “Si è travestito, ci ha seguiti qui in Italia. Il Wukabi te lo porti in valigia, il Wukabi ama viaggiare”.
In fondo coincide con l’elaborazione di un dolore indicibile, che sia di un singolo, di una stirpe o di un popolo. Così la scrittura di Saba Anglana, che si muove in una terra di mezzo, con radici etiopi e italiane, è anche una forma di esorcismo, che quelle radici mette a nudo e a confronto.
“La sorprendente felicità di raccontare con allegria tutta la brutalità e la meraviglia del nostro tempo”, scrive a proposito del romanzo Marino Sinibaldi nella quarta di copertina del libro.
Con la resistenza indomita di un sorriso, Saba Anglana, che lo aveva già cantato nelle sue canzoni e rappresentato nei suoi spettacoli teatrali, riesce mirabilmente in questo romanzo a placare il suo Wukabi, e a invitare indirettamente noi lettori italiani a scoprire il nostro Wukabi.
Solo prendendone coscienza, compreso il passato coloniale italiano e le sue nefandezze, possiamo affrontare il presente, e riconoscere la farsa crudele con cui continuiamo a volerci distinguere dall’altro, dallo straniero di turno.
Senza riconoscere, anche a costo di esserne tormentati, quello spirito che appartiene alle radici di ciascuno di noi, siamo invece in balia degli slogan che imbrattano il presente, delle paure coltivate ad arte e, soprattutto, siamo condannati a infliggere altro dolore a chi ne ha fatto un fardello di ricchezza, che a volte prende la forma di un romanzo e con ‘La signora Meraviglia’ di Saba Anglana diventa incantevole letteratura italiana.