La valanga e la croce
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Succedeva una, forse due volte l’anno, in occasione delle festività religiose più importanti. Succedeva nella piccola chiesa di Solda. Il Parroco don Josef Hurton celebrava la messa solenne per la Pasqua o il Ferragosto e una voce, limpida e sublime, intonava alcune delle arie più celebri della lirica sacra. La voce, un vero e proprio miracolo della natura, apparteneva ad un’ultranovantenne. Magda Olivero, una delle cantanti liriche più importanti del novecento, in Italia e nel mondo, che, anni ed anni dopo il ritiro dalle scene, aveva conservato il suo dono. In quelle occasioni (qui un piccolo frammento) lo restituiva intatto ad un luogo che amava più di ogni altro e ad un sacerdote con il quale aveva intessuto un profondo rapporto spirituale.
Erano, quelle messe meravigliosamente cantate, uno dei tanti piccoli avvenimenti che la persona di don Josef Hurton, morto nei giorni scorsi all’età di 95 anni, riusciva a creare sul palcoscenico naturale di quella conca adagiata ai piedi delle montagne più alte.
C’era arrivato quasi per caso, negli anni 60, dopo un lungo peregrinare in un’Europa segnata dalla guerra e dalle dittature. Lui, nato in uno stato che allora si chiamava Cecoslovacchia, aveva visto d’occupazione dei nazisti, poi l’arrivo dei russi, la nascita di uno stato comunista che, per chi come lui aveva deciso di rispondere alla vocazione sacerdotale, poteva riservare un destino triste e oscuro. Quindi il viaggio verso occidente, verso la Chiesa di Roma, gli studi, l’attesa di una destinazione che, dentro di sé, vedeva lontana dalle accademie teologiche, in mezzo alla gente, da pastore di anime.
A decidere, ancora una volta, la montagna che travolge con una valanga il vecchio parroco del paese. Nessuno vuole prenderne il posto ed allora il Vescovo Gargitter si ricorda di quel giovane esule. Don Josef Hurton accetta, arriva in un posto dove non conosce nessuno e nessuno lo conosce, non passerà molto tempo prima che, nel cuore di tutti, diventi der Pfarrer, il Parroco e tale è rimasto anche dopo aver lasciato, alle soglie del nuovo millennio, la cura d’anime.
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Con l’arrivo a Solda scoppia anche l’amore, potente, per le montagne che chiudono questa piccola valle nella quale si giunge percorrendo una strada segnata, per molto tempo, dalla caduta delle valanghe e delle frane. Il prete-alpinista, però, non basta a sé stesso. Quando vede che, allora come oggi, troppo spesso quelle cime diventano il teatro di disgrazie, decide che, prima di salvare le anime occorre darsi da fare per portare a valle, più o meno intatti, anche i corpi. Nasce il soccorso alpino di cui Hurton diventa il capo riconosciuto. Nascono, in un tempo successivo anche i primi corsi per i cani da valanga, ausilio indispensabile, ancor oggi nell’era degli strumenti tecnologici, nella lotta contro il tempo per riportare alla luce i sepolti vivi.
È in prima linea nei salvataggi e, quando la sorte è contraria, la sua benedizione alle salme delle vittime arriva ancora quando sono nel luogo in cui le ha precipitate la montagna. Fa molte cose, ma ancora non gli basta. Vorrebbe raccontare quelle montagne e coloro che vi abita con uno strumento che gli sembra affascinante: quello delle riprese in pellicola.
Quando gli chiedevi che cosa l’avesse spinto a diventare un cineamatore provetto ti forniva una giustificazione del tutto particolare. “Questi turisti – diceva - arrivavano in paese ma a venire in chiesa la domenica erano in pochi e allora io ho pensato che se avessi avuto dei bei film sulla montagna da proiettare per loro poi magari mi avrebbero ascoltato anche mentre parlavo loro di Dio”.
Non ho mai capito bene quanto lui stesso fosse convinto di questa sorta di missione evangelica attraverso quelle serate cinematografiche, ma tant’è. Voleva imparare a filmare da professionista e ci riuscì andando a bussare alla porta della Rai di Bolzano, ricevendo lezioni gratuite conquistandosi amicizie fedeli nel tempo. Le sue pellicole sono testimonianze preziose di un mondo e di un’epoca e bene farebbe la Rai, se ancora le ha in archivio, a riproporle.
A Solda don Josef Hurton era ormai diventato qualcosa di più del prete di paese che si prendeva cura dei suoi parrocchiani. D’estate e d’inverno i turisti arrivavano sempre più numerosi. La cartolina in bianco e nero che coglie l’immagine della conca negli anni in cui don Josef arrivò in paese diventava l’immagine a colori di uno dei centri più rinomati delle Alpi. Arrivavano anche i nomi illustri. Ogni anno Reinhold Messner conduceva a passo lento verso gli alpeggi in quota la sua mandria di Yak. Una visita al parroco alpinista era d’obbligo. In anni più recenti, seduta all’angolo della piccola stube, nell’appartamento dove Hurton era andato a vivere, potevi trovare Angela Merkel. Mi sono chiesto che cosa accomunasse il profugo ceco divenuto pastore d’anime e soccorritore di alpinisti e la figlia del teologo luterano. Forse il fatto che attraverso percorsi profondamente diversi tutti e due erano arrivati a superare il mondo all’incontrario chiuso da una cortina di ferro. O forse l’amore per la montagna e per la gente che ci abita. Inutile chiederlo a lui. L’oggetto delle conversazioni con la Cancelliera era coperto da un segreto non meno vincolante di quello della confessione. Sorrideva e si passava oltre.
Dopo la caduta del muro don Josef Hurton era tornato nella sua terra d’origine. Aveva rivisto parenti e vecchi amici. Poi, però, era sempre ritornato nella piccola valle ai piedi dell’Ortles dove aveva scelto di vivere e di morire.
Adesso lo seppelliranno nel piccolo cimitero attorno alla chiesa, quella stessa, raccontava, che una volta fu investita da una valanga terrificante. La neve però si fermò proprio sulla soglia, come a voler risparmiare qualcosa o qualcuno.