Kultur | Intervista

“Una sfida visionaria”

Marco Angius dirigerà l'opera "Falcone, il tempo sospeso del volo" con modalità del tutto inedite: "Sarà un esperimento di teatro musicale contemporaneo impegnato".
Angius, Marco
Foto: Silvia Lelli

Una nuova, inedita produzione e edizione di Falcone, il tempo sospeso del volo - Teatro musicale della nostra storia (musica di Nicola Sani, libretto di Franco Ripa di Meana, direzione di Marco Angius) è in piena sessione di prove a Trento e a Bolzano per andare in scena il 12 e il 13 marzo al teatro Sociale di Trento, coprodotta da Fondazione Haydn e dal teatro Comunale di Bologna
Il 23 maggio cade il trentesimo anniversario della strage di Capaci. Vi persero la vita giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. E il 10 ottobre 2007 a Reggio Emilia è la data della prima messa in scena dell’opera (dieci anni dopo toccò all’allestimento alla Staatsoper di Berlino) che ora ripercorre con diciotto strumenti, tre cantanti, due attori, coro femminile e live-electronics la vicenda umana e professionale del magistrato nato a Palermo il 18 maggio 1939. 
Marco Angius dirigerà l’opera, come vedremo con modalità inedite e complesse. Le musiche sono state composte da Nicola Sani, che ha rilasciato a chi scrive una intervista esclusiva per “la Lettura” del Corriere della Sera, in edicola fino a sabato 12. 
“L’orchestra sarà dietro il palco e il direttore si vedrà solo in parte – anticipa Angius – perché il cratere che occupa la scena lascia intravvedere l’ultima propaggine dell’orchestra. Un gioco di luci che fa apparire e scomparire il retropalco permette di vedere ogni tanto anche chi dirige. E il gesto musicale, vedrete, mette in azione anche altri elementi che non sono strettamente musicali (luci, elettronica)”. 


Angius, ormai residente a Padova dove sta alimentando e sviluppando alcuni progetti orchestrali e anche di sperimentazione e di registrazioni discografiche, ha diretto molte tra le più prestigiose orchestre italiane ed estere, tra cui l’Orchestra del Teatro La Fenice, il Maggio Musicale Fiorentino, l’Orchestra Haydn di  Bolzano e Trento, l’Orchestra Sinfonica Giuseppe Verdi di Milano, l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI – con la quale ha inciso tutta l’opera per violino e orchestra di Ivan Fedele, dando vita al CD Mixtim con cui ha vinto il Premio Amadeus (2007) - la London Sinfonietta, la Tokyo Philharmonic Orchestra, l’Orchestra della Svizzera Italiana.


Molte le opere che ha diretto, tra cui Aquagranda (Filippo Perocco, Premio Abbiati 2017) per l’inaugurazione della Stagione 2016/2017 del Teatro La Fenice. E poi Kát’a Kabanová e La volpe astuta (Janáček), Prometeo (Nono), Aspern (Sciarrino), Don Perlimplin (Maderna), L’Italia del destino (Mosca), La metamorfosi (Colasanti), Alfred, Alfred (Donatoni), e Il diario di Nijinsky (Glanert). Già direttore principale dell’Ensemble Bernasconi dell’Accademia Teatro alla Scala, dal settembre 2015 è direttore musicale e artistico dell’Orchestra di Padova e del Veneto, con la quale ha inciso l'integrale delle sinfonie di Beethoven.
Oltre a questo ha all’attivo una nutrita discografia, fortemente incentrata sul Novecento musicale.
In aprile di quest’anno e fino a giugno è confermata a Padova la nuova edizione di “Veneto Contemporanea”, una rassegna ideata e diretta da Angius.

 

salto.bz: Maestro Angius, quali sono i momenti più intensi di questi giorni di prove di “Falcone. Il tempo sospeso del volo”?

Marco Angius: Una delle caratteristiche di quest’opera è che si svolge in quasi tutti gli spazi del teatro. Normalmente, nell’opera lirica abbiamo il pubblico in platea, la scena sul palcoscenico e la “buca” dell’orchestra. In questo caso platea e palcoscenico sono invece collegati da una sorta di penisola in cui il palco si estende verso la platea. Dove anche i cantanti agiscono, in alcuni momenti. L’orchestra che io dirigo si trova dietro il palco, dietro la scena. Tutto questo obbliga il direttore ad avere un controllo molto differente del solito della scena.

Come nella sua direzione del “Prometeo” di Luigi Nono quasi cinque anni fa?

Direi proprio di sì, come esperienza complessiva e con le dovute differenze. In “Falcone” il pubblico viene assorbito e inglobato nella musica stessa. Le sorgenti sonore sono disperse nello spazio e per il direttore significa avere una condizione non comune. La mia gestione - e direzione - avviene tramite alcuni monitor e questo porta a una sorta di teatro totale. Dove le componenti musicale, vocale, elettronica e la recitazione sono tutti elementi in un’opera d’arte totale. Una opera che ha un soggetto sociale e storico molto “forte”. E il pubblico entra in questa vicenda visionaria in modo non consueto.

Tutto questo è sulle sue spalle, artisticamente e professionalmente molto solide. Ma le sue emozioni?

L’aspetto emotivo è forte. Ed è anche una sfida, per me: significa gestire eventi standovi però lateralmente, non al centro. Un centro invisibile, oltre tutto. Esempio: il coro sarà nel loggione, in pratica dietro il pubblico. 

 

L’autore delle musiche Nicola Sani le ha affidato la partitura da dirigere, in un gioco di complicità intellettuale, artistica, anche amicale. E la visione del direttore?

Un’opera molto allucinata, visionaria. Il carattere che emerge dalla mia lettura è quella di mostrare l’aspetto, appunto, visionario che non banalizzi gli eventi accaduti trent’anni fa. La mia concertazione tende a mostrare l’aspetto “allucinato” della musica che si svela attraverso tante piccole scene. La caratteristica di “Falcone” è che è composta da ventisei momenti. Più che scene sono visioni, momenti diversi che accadono negli ultimi dieci anni della vita di Giovanni Falcone. E accadono come in sogno. Ho lavorato sul tempo e sul suono per trasformarli in elementi drammaturgici, elementi di drammaturgia musicale. Il resto lo scopriranno gli spettatori. 

Angius, che cosa crede rappresenterà il vostro “Falcone” negli anni a venire, sul piano storico-musicale e non solo?

Rappresenterà secondo me un esperimento di teatro musicale contemporaneo e anche di musica diciamo “impegnata”. L’opera lirica attuale non ha, almeno in Italia, una connotazione di ricerca sperimentale vera e propria.