Sinner-Alcaraz, che sfida a Londra

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Una delle prime cose che ha detto Jannik Sinner, ancora sul campo centrale di Wimbledon dopo la vittoria contro la leggenda Novak Djokovic che gli ha aperto per la prima volta la porta della finale, è stata: “Sono contento che ci siano qui mio padre e mio fratello”.
Un po’, la presenza del padre Hanspeter e la sua esperienza culinaria devono essere rassicuranti per Jannik. Nei giorni scorsi, il numero uno del mondo, che con tutto il suo entourage ha affittato una casa poco lontano dall’All England Club, ha rivelato che "per lo più, in casa cucina Simone Vagnozzi (il suo allenatore, ndr). Qualche volta, mi ci metto anch’io. Più che altro facciamo cose semplici, per essere sicuri di sopravvivere". Con Hanspeter, almeno questo aspetto della preparazione alla finale di oggi contro Carlos Alcaraz dovrebbe essere a posto. Quanto al fratello Mark, è noto quanto lui e Jannik siano legati. La mamma Siglinde, che a Parigi, durante a finale del Roland Garros, quando il figlio aveva avuto tre match point ma aveva poi perso contro Alcaraz, aveva vissuto un’altalena emozionale e nervosismo e aveva più volte dovuto abbandonare la poltrona in tribuna, per ora a Londra non si è vista.
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Una rivalità che segnerà il tennis per i prossimi anni
Le parole di Sinner sul Centre Court sono però soprattutto rivelatrici della formazione ricevuta e di un senso della famiglia che senza dubbio hanno molto a che fare con le sue radici. Del resto, dopo la sconfitta di Parigi, Jannik si era rifugiato a Sesto per stare con i suoi, “fare un barbecue e giocare un po’ a pingpong con gli amici”. E dalla sua famiglia e dalle sue origini sudtirolesi si porta in giro per il mondo un’etica del lavoro che non lo abbandona mai. Da quando è diventato numero 1 del mondo, non dimentica mai di ripetere a chiunque glielo chieda, e di ripetere anzi tutto a sé stesso, che bisogna lavorare ogni giorno per continuare a migliorare. “Le giovani generazioni – dice, alla veneranda età di 23 anni (ne compie 24 il 16 agosto) – ci raggiungeranno se non continuiamo a migliorare”.
Su una cosa lui e Alcaraz sono d’accordo: insieme possono dare vita a un’altra età dell’oro del tennis come quella appena vissuta e illuminata dalle stelle di Roger Federer, Rafael Nadal e Djokovic. “Abbiamo davanti altri 5-10 anni”, ha detto con caratteristica baldanza il campione spagnolo. Sinner, come sempre, è stato più cauto: “Andiamoci piano – ha dichiarato – i Big Tre hanno vinto quasi tutto per 15 anni. Io e Carlitos abbiamo vinto gli ultimi sei tornei del Grande Slam, il che vuol dire un anno e mezzo. Vediamo fra tre-quattro anni”. I due concordano che la loro rivalità, già ribattezzata "Sincaraz" dalla stampa anglosassone farà bene alla popolarità del tennis, come quelle fra Borg e McEnroe, Becker e Edberg, Sampras e Agassi, senza citare i tre grandi dell’era più recente.
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Dall'esordio sull'erba alla finale di oggi
Del fatto che il lavoro paghi e che giorno per giorno si possa mettere un altro mattoncino sui risultati futuri, la storia di Sinner a Wimbledon è un esempio lampante. Al suo esordio nel 2021 sull’erba londinese, una superficie che può essere traditrice e su cui si giocano solo pochi tornei l’anno, il campione azzurro raccolse appena un set al primo turno contro l’ungherese Fucsovics, un onesto mestierante che ora vede lontano nel retrovisore. Il 2022 ha cominciato a far intravedere i primi segni della Sinner-mania, con i folkloristici “carota boys”, tutti vestiti di arancione in mezzo al pubblico di solito assai più compassato dell’All England Club: sulle prime, Jannik, un tipo certamente piuttosto timido e non incline all’ostentazione, diede l’impressione di non sapere se essere compiaciuto o imbarazzato. Ai quarti di finale, dopo aver eliminato al turno precedente proprio Alcaraz, uscì contro Djokovic, allora numero 1 del mondo, dopo aver vinto i primi due set, ma dimostrando di non essere ancora all’altezza dei primissimi.
Lavorare, lavorare, lavorare. L’anno dopo, un passetto in più, fuori in semifinale ancora contro Djokovic, stavolta una sconfitta secca in tre set. Nel 2024, un passo indietro, eliminato ai quarti da Daniil Medvedev, ma soprattutto da un malessere che gli impedì di esibirsi al meglio.
Ha imparato a muoversi sull’erba, dice Alcaraz, uno che ne sa qualcosa, dato che è stato il vincitore degli ultimi due titoli: “Scivola bene come se fosse sulla terra rossa”. Qualcuno attribuisce a Sinner questa dote di equilibrio grazie al suo passato di piccolo campione di sci sulle piste di casa. Certo, queste sono un altro luogo del cuore al quale Jannik ama tornare d’inverno, incurante del fatto che lo sci dovrebbe essere tabù per chi usa gambe e braccia con così tanto profitto in un altro sport.
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In buona compagnia
Ora, dopo aver condotto la squadra azzurra a due vittorie in Coppa Davis (le prime da quella storica del 1976), il successo alle Finals della ATP che riuniscono gli otto migliori del mondo, tre tornei del Grande Slam (due in Australia e uno negli Stati Uniti), Jannik è arrivato all’ultimo atto a Wimbledon, dove può essere il primo campione italiano della storia. Solo Matteo Berrettini, nel 2021, ci è arrivato così vicino. In mezzo a tutti questi trionfi, i mesi difficili dell’inchiesta per doping, la sospensione, il patteggiamento, i ricambi nel suo staff. Attorno a lui, c’è un nucleo compatto che lo ha accompagnato nel lavoro di questi anni: il coach Simone Vagnozzi (subentrato al mentore Riccardo Piatti), il supercoach Darren Cahill, che ha annunciato di voler chiudere alla fine di quest’anno per passare più tempo con la sua famiglia, ma che Jannik spera di convincere a continuare, il manager Alex Vittur, anche lui sudtirolese.
Pochi prima di lui si sono qualificati per la finale in tutti e quattro gli Slam
A Wimbledon c’è stato anche un piccolo giallo, con un infortunio al gomito destro in un match che Jannik ha rischiato di perdere contro il classico Grigor Dimitrov, che era in vantaggio di due set a zero quando a sua volta si è infortunato. Il giorno dopo, Sinner ha fatto perdere le proprie tracce ai giornalisti di tutto il mondo, andando a farsi esaminare e poi ad allenarsi lontano da occhi indiscreti. È poi riapparso, imperturbabile come sempre, per vincere quarto di finale e semifinale. E quando gli è stato ricordato che pochi negli anni recenti, cioè Federer, Nadal, Djokovic e Andy Murray, prima di lui sono stati in grado di qualificarsi per la finale in tutti e quattro i tornei del Grande Slam (oltre a Wimbledon, i “majors” del tennis sono l’Australian Open, il Roland Garros e lo US Open), ha osservato con il suo senso dell’umorismo asciutto: “Sono in buona compagnia”. Ma se qualcuno pensa che abbia intenzione di fermarsi qui, non lo conosce.
Lavorare, lavorare, lavorare.
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L'autore
Alessandro Merli scrive per Il Tennis Italiano, www.tennisitaliano.it, la rivista di tennis più antica del mondo, ed è titolare della rubrica “Serve and Money”. Ha lavorato per molti anni per Il Sole 24 Ore, tra l’altro come corrispondente da Londra e dalla Germania. Segue Wimbledon dal 1987, da dove ci ha inviato questo contributo occasionale.
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