Toteis
Il 16 marzo andrà in scena al Teatro Comunale di Bolzano, per la rassegna d’opera della Fondazione Haydn, la prima di “Toteis”, un’opera della compositrice altoatesina Manuela Kerer su libretto di Martin Plattner.
Kerer è una compositrice professionista che cerca nei timbri e nei suoni sperimentali il sale della nuova musica. Ha studiato composizione e violino ma anche giurisprudenza e psicologia. Le sue partiture sono state eseguite in diverse città come New York, Berlino, Vienna, Roma e Londra, e sono edite da Breitkopf&Härtel.
In questa nuova produzione si cimenta con la storia di Viktoria Savs, soprannominata “eroina delle Tre Cime”, un personaggio controverso che sotto le mentite spoglie di un soldato, Viktor, combatté sul fronte dolomitico nel 1915, dove all’eta di 17 anni perse una gamba tornando in patria come eroina di guerra. Rapidamente dimenticata Viktoria abbracciò nel 1933 l’ideologia nazista e durante la Seconda Guerra Mondiale lavorò a Belgrado per la Wehrmacht, rimanendo una fiera veterana fino alla morte.
Quest’opera prodotta dalla VBB e della Fondazione Orchestra Haydn racconta questa storia con un linguaggio contemporaneo, in un’atmosfera onirica dove i personaggi si muovono sospesi come in un sogno.
Abbiamo chiesto a Manuela Kerer di raccontarci la sua “Toteis”.
Salto.bz Non è scontato al giorno d’oggi avere una carriera nella musica classica, tanto meno come compositrice. Cosa significa essere una compositrice al giorno d’oggi, come si lavora?
Manuela Kerer: Innanzitutto devo dirti che non ho davvero cercato questa carriera, penso di aver avuto molta fortuna. Forse il mio curriculum è risultato interessante in certe situazioni dal momento che non ho studiato solo musica, ma anche cose che apparentemente con la musica non c’entrano, come giurisprudenza e psicologia. In realtà io sono convinta che tutti gli ambiti siano connessi e in alcune situazioni questi miei studi hanno suscitato l’interesse dei miei committenti.
Io sono cresciuta in una famiglia molto musicale ma anche pragmatica, che considerava la musica una cosa meravigliosa ma non un lavoro. Della musica non si vive. Ed io sono cresciuta pensando che da grande non avrei fatto la musicista. Per questo in modo un po’ fatalista dico sempre che non sono io che ho cercato la composizione ma è la composizione che ha cercato me. Poi ho capito che la sensazione che si prova nell’ascoltare un’orchestra che suona un tuo pezzo è per me l’esperienza più bella che esista, ed è per la musica che brucia il mio cuore.
Forse la mia fortuna è stata proprio non essere fissata con questo particolare obiettivo, sono anche io molto pragmatica e non vivo di sogni, sono realista e so cosa so fare bene e cosa no.
E rispetto al passato come è cambiata la figura del compositore?
Dipende con quale epoca storica ci confrontiamo. La differenza più evidente è che innanzitutto sono una donna, e come me ci sono moltissime donne che in questo periodo storico si affermano come compositrici, cosa prima impensabile.
Poi direi che rispetto a qualche decennio fa al momento si percepisce un grande sforzo nel promuovere musica contemporanea, e anche se alcuni colleghi forse pensano che sia ancora troppo poco io credo che comunque ci sia una crescente sensibilità nei confronti della musica contemporanea.
Per il resto alcune cose sono simili al passato altre un po’ diverse. Esistono ancora i mecenati privati che sostengono la musica ma per il resto la maggior parte dei finanziamenti vengono dalla mano pubblica, che non funziona ovunque altrettanto bene.
...innanzitutto sono una donna, e come me ci sono moltissime donne che in questo periodo storico si affermano come compositrici, cosa prima impensabile.
Come si lavora ad una produzione come “Toteis”? Immagino che vengano prima il libretto e alcune soluzioni sceniche e poi la musica?
Normalmente viene prima il libretto e poi la musica. Nel comporre la parte vocale è importante avere il testo e le sillabe. In questo caso però abbiamo lavorato insieme io e il librettista Martin Plattner fin dall’inizio del progetto nel 2015. Io non lo conoscevo, il che poteva essere molto rischioso, ma alla fine la collaborazione ha funzionato benissimo.
All’inizio abbiamo abbozzato delle idee senza avere un testo vero e proprio. Abbiamo solo pensato alle atmosfere e ad alcune scene che avremmo voluto, oppure nel mio caso alcune soluzioni musicali – ad esempio io volevo sin dall’inizio una parte nell’opera in cui ci fosse solo il coro invece che tutta l’orchestra. E così siamo andati avanti rimpallandoci alcune idee, ogni tanto lui mi spediva una parte di testo su cui lavorare e ogni tanto ero io a mandare qualcosa che avevo composto e che poteva ispirarlo.
Insieme abbiamo anche cominciato a farci un’idea di come volevamo che Viktoria, la protagonista, apparisse, e dell’atmosfera generale anche rispetto alle scenografie. Devo dire che la regista Mirella Weingarten, che è anche scenografa, ha interpretato perfettamente quello che avevamo immaginato, questa atmosfera da letteratura dell’orrore.
Nelle grandi opere del passato siamo abituati ad assistere a narrazioni che hanno uno sviluppo abbastanza preciso, con dei climax diciamo obbligati, a cui corrisponde naturalmente una certa scrittura musicale. È così anche in “Toteis”?
Premetto che avevo l’intenzione di scrivere un’opera classica. Nel corso degli anni ho fatto moltissime cose sperimentali, con spazzolini elettrici, cinque tube, musicisti tra il pubblico, pubblico in mezzo all’orchestra...questa volta volevo scrivere una cosa classica, con dei solisti sul palco, l’orchestra nella buca ed il pubblico in teatro.
Sicuramente però la figura della protagonista, Viktoria Savs, non è un personaggio tipico. Non ha uno sviluppo nella storia, è difficile identificarsi con lei o anche solo cercare un aspetto positivo in cui riconoscersi. Certe figure come Don Giovanni sono spesso degli anti-eroi, ma a seconda dell’interpretazione che ne viene data dal regista c’è sempre un aspetto per lo meno accattivante, in cui ci si può identificare o di cui si può ridere, uno sviluppo del personaggio nella storia. Invece non trovo nulla di affascinante in Viktoria, in nessun momento mi è simpatica, non ha nessuno sviluppo. Questa è stata una grande sfida per me perché sono stata impegnata quasi quattro anni nella scrittura. Da un punto di vista drammaturgico quindi il risultato senz’altro non è classico.
D’altra parte però il linguaggio del libretto è molto musicale. Pur essendo il primo lavoro in questo ambito di Martin Plattner, si vede che c’è dietro un grande studio della tradizione.
Mirella Weingarten, che è anche scenografa, ha interpretato perfettamente quello che avevamo immaginato per le scenografie, questa atmosfera da letteratura dell’orrore.
Se penso ad un compositore come Mozart o come Verdi, immagino che nello scrivere avessero in mente molto bene dove condurre il pubblico e come farlo. Sapevano quali espedienti musicali utilizzare per suscitare dei picchi d’emozione, anche perché il pubblico a quel linguaggio era piuttosto abituato. Molti linguaggi contemporanei apparentemente potrebbero sembrare meno adatti a produrre questo effetto. La musica assoluta in particolare non mi pare si preoccupi di codificare un linguaggio per così dire “emozionale”...
Io ho quasi 42 anni e una certa dose di autostima, quindi ti confesso che in questo pezzo me ne sono un po’ fregata di quella che è, per così dire, “la scena” della nuova musica. Per questo credo che ci siano anche dei momenti molto appaganti per l’ascoltatore. Ho anche inserito alcune citazioni dalla musica popolare, per esempio un piccolo yodel del mio bisnonno, che era un compositore. Ero un po’ in dubbio se inserirlo, anche perché c’è stata un’appropriazione di questa tradizione da parte di correnti nazionalistiche o di estrema destra. Mi interessava però molto usare queste musiche del tempo della guerra anche per la loro bellezza estetica.
D’altra parte personalmente certe scelte, come far grattare gli archi o fare emettere ai fiati solo suoni di aria hanno anche un valore estetico. Io trovo belli questi suoni, anche più belli di una melodia ben riuscita.
In sostanza penso di essere partita da una drammaturgia musicale classica ma pur sempre calata all’interno di un linguaggio contemporaneo.
E quali sono le caratteristiche di questo linguaggio?
Beh, per me sono molto importanti i timbri degli strumenti e cerco di utilizzare tecniche nuove per ottenere dei suoni diversi da quelli per cui gli strumenti originariamente erano pensati. Mi interessa la sperimentazione, cerco di guardare oltre gli schemi ma senza dimenticare anche il suono naturale dello strumento. Anche perché se non sai più qual è il suono originale per cui uno strumento è stato costruito è difficile godersi i suoni sperimentali.
Direi quindi che il linguaggio musicale di quest’opera è un linguaggio astratto, ma con qualche citazione di melodie storicamente pertinenti. Ho ascoltato molte delle musiche con cui “si andava alla guerra”. La musica nella Prima Guerra Mondiale è stata usata come un forte strumento di propaganda, per questo volevo assolutamente farla entrare in qualche modo nell’opera.
Hai accennato al fatto che Viktoria Savs non è un’eroina in questa storia e che non ha uno sviluppo. Ma quindi non c’è proprio uno spiraglio di “redenzione”? Che cosa resta alla fine di questa storia?
No beh, se non ci fosse stato probabilmente mi sarei sparata...oltre alla protagonista ci sono altre quattro figure principali sul palco, ed in particolare è Karola – la classica cameriera tirolese che trovi nei rifugi in montagna – che incarna i valori più umani, un filo di speranza a cui aggrapparsi. Diciamo che lo sviluppo che manca nella figura della protagonista si trova in questi personaggi.
E poi forse il punto centrale del racconto è proprio l’assoluta inconsistenza di questo personaggio, il suo essere nulla, a parte l’essere stata per un breve periodo celebrata per il suo presunto eroismo al fronte.
Quindi c’è comunque una dimensione tragica nella sua figura...
Sì ma si capisce chiaramente che lei non si rende neanche conto di questa dimensione tragica. Viktoria resta per tutta la vita una fiera veterana, al punto da farsi seppellire con la divisa, con tanto di mostrine e medaglie.
Zur Musik will ich mich nicht
Zur Musik will ich mich nicht äußern. Die Intention des Librettos ist aber haarsträubend, deshalb tut es mit Leid, dass sich die Manuela Kerer, der ich besseres Urteilsvermögen zugetraut hätte, auf eine solche Absurdität eingelassen hat. Da mögen sich alle Beteiligten nur schämen.
Antwort auf Zur Musik will ich mich nicht von Hartmuth Staffler
Mit Ihrer überheblichen
Mit Ihrer überheblichen Kritik muten Sie sich und den Lesern aber viel zu. Kunst lebt vom Freiraum, und Frau Kerer nutzt diesen souverän !
Antwort auf Mit Ihrer überheblichen von Karl Trojer
Sie haben meinen Kommentar
Sie haben meinen Kommentar nicht verstanden. Ich habe ausdrücklich erklärt, dass ich mich zur Musik von Manuela Kerer, die ich schätze, nicht äußern will, weil ich kein Musiksachverständiger bin. Das Libretto der Oper ist allerdings haarsträubend, und es tut mir Leid, dass Frau Kerer sich darauf eingelassen hat. Der Freiraum der Kunst sollte nicht genutzt werden, um Menschen, die sich nicht mehr wehren können, schlecht zu machen.
Il dialogo tra Kerer e
Il dialogo tra Kerer e Gelmini traccia una traiettoria interessante e profonda della cosiddetta opera lirica ai nostri giorni in Europa. La compositrice e l'intervistatore meritano perciò lodi e richieste di raccontarci ancora di più questa bella avventura prodotta dalla Haydn.