Gente di frontiera
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Anche qui siamo gente di frontiera.
Nel basso Piemonte, tutta la zona pedemontana odora di Francia. Non c’è famiglia che non abbia legami con l’Exagone. Tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, le pratiche transnazionali erano all’ordine del giorno, tra le valli alpine cuneesi e torinesi e le corrispettive francesi.
Si partiva come pastori transumanti tra Camargue, Provenza e Alpi, come braccianti nelle serre e nei vivai della Costa Azzurra, come nutrici (lasciando i figli a balia da altre donne), come ambulanti e girovaghi (nell’opera imprescindibile di Nuto Revelli, “Il mondo dei vinti”, si parla di bambini che facevano ballare le marmotte sulla Promenade des Anglais a Nizza), e altro ancora.
Poi, molti scelsero di fermarsi in Francia. E se vi capita di fare un giro nella regione PACA (Provence Alpes Côte d’Azur), compresa tra Lione, Nizza e Marsiglia, vedrete che un cognome su cinque è italiano, spesso piemontese.
Ogni famiglia, o quasi, nel Piemonte sudoccidentale, ha parenti al di là delle Alpi. Il francese si è sempre studiato a scuola, molto più dell’inglese (fino agli anni Ottanta, almeno, quando la supremazia della lingua della Regina divenne inequivocabile).
Qui, quando si va in vacanza, si va in Francia. Mentone e Nizza sono state “comprate” dai cuneesi (più di recente dai russi, ma è un’altra storia).
Da noi “prendere e andare” al mare significa Liguria, certo, ma anche e sempre più spesso Costa Azzurra.
Ci andiamo per acquistare i medicinali, che costano un terzo rispetto all’Italia. Ci andiamo perché ci piace l’aria del Midi, perché è il nostro sud a portata di mano: terrone il giusto, e anche un po’ africano.
E lo scambio non è a senso unico. Noi, l’estate, prendiamo il caffè nei dehors, non sulle terrazze, e nei bar chiediamo il croissant (se dici cornetto a un barista di Cuneo, quello minimo pensa che sei un napoletano che gioca al lotto), beviamo il panaché (che è uno strano intruglio di birra e gazzosa), e nelle nostre valli è la norma il Pastis come aperitivo.
Quando ci chiedete qualcosa e noi ve lo porgiamo, vi diciamo voilà, e se fate i grandiosi, vi sfottiamo con un parbleu. Nel dialetto arcaico piemontese il prosciutto si chiamava “jambun” (da jambon) e la matita “craiun”(da crayon).
Poi se proprio esagerate e ci stupite, replichiamo con un parlapà. E che non se ne parli più.