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Gesellschaft | kalašnikov&valeriana

Di motivi umanamente comprensibili

Riconoscere e condannare la violenza domestica in ogni sua forma senza scivolare in comodi e ben conosciuti schemi patriarcali.
  • Conoscete quella sensazione di incredulità che rischia di lasciarvi a bocca aperta mentre scuotete la testa cercando di farvi una ragione di qualcosa che una ragione non ce l'ha, non ce la può avere? Ecco cosa mi è successo l'altro giorno quando ho letto della sentenza in una causa per duplice femminicidio. Salvatore Montefusco aveva ucciso la sua compagna Gabriella Trafandir e la figlia di lei Renata Trafandir. Non è stato condannato all'ergastolo, ma a una pena di trent'anni. La sentenza del Tribunale di Modena, riportato dall’Ansa, dice: “in ragione della comprensibilità umana dei motivi che hanno spinto l’autore a commettere il fatto reato”. 

    Lo so, non è né la prima né l'ultima volta che in caso di femminicidio si adotti in tutto e per tutto il punto di vista del femminicida, quindi del criminale. Lo si comprende, lo si asseconda e addirittura si usano le sue parole per definire le sue vittime: “mantenute”. Perché questo pare siano le donne che svolgono il lavoro di cura e domestico. Non vi è nessun accenno alla dipendenza economica usata come ricatto o alla trappola della violenza economica atta a esercitare controllo sulla partner. A proposito di controllo, Montefusco controllava persino i movimenti di Trafandir con un rilevatore GPS. La donna era talmente libera da poter uscire la sera senza dare spiegazioni (ma localizzata). La dedizione alla famiglia di lui viene contrapposta alla libertà di lei. E quindi le paure delle due donne vengono banalizzate e poco considerate. Si parla di “vaghe minacce” e si sminuisce un pericolo evidente, senza considerare le numerose armi in possesso dell'uomo. 

    In poche parole, si tratta di un caso di violenza domestica da manuale completo di controllo e asimmetria di potere, culminato in un femminicidio, anzi in due femminicidi. Ma questo, nel tribunale di Modena, così come avviene in molti altri, non è stato considerato. Anzi. Gira e rigira, alla fine il femminicida ci viene raccontato come il bravo uomo dal quale mai ci si sarebbe aspettati un tale gesto di violenza; per forza le donne in un modo o nell'altro devono averlo provocato, essersela cercata, no? Tutto sommato il gesto di uccidere, annientare due persone, pare un gesto umanamente comprensibile.

    Se la CEDU (Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo) ha condannato in passato l’Italia per la resistenza di stereotipi e pregiudizi di stampo sessista e per un linguaggio che non riconosce i diritti delle donne e rappresenta le relazioni tra uomini e donne secondo schemi patriarcali che dovrebbero essere superati, forse una domanda potremmo iniziare a porcela: quanto vogliamo attendere ancora una formazione necessaria e indispensabile di tutti gli addetti ai lavori, affinché siano finalmente in grado di riconoscere e condannare la violenza domestica in ogni sua forma e prevenire i femminicidi? Se all'epoca delle (quattro!) denunce il Tribunale di Modena avesse fatto un ordine di allontanamento invece di chiedere l'archiviazione, forse Gabriella e Renata Trafandir sarebbero ancora vive e noi non ci interrogheremmo su motivi umanamente comprensibili.