Il distratto osservatore che compulsasse gli archivi ancor freschi d'inchiostro della recente campagna elettorale in Alto Adige, non potrebbe che concludere, tra l'altro, che per l'autonomia, intesa come mito fondante della società politica locale, i tempi non sono mai stati così floridi e propizi. Tutti si dicono autonomisti ed anzi tra gli eredi (politici) di coloro che per decenni decorarono l' autonomia di solenni contumelie vi è stato persino qualcuno che si è impancato a far da giudice dell'autonomismo altrui.
Sembrerebbe dunque che questa nostra autonomia goda di una salute così eccellente da non aver bisogno di medici. Accade però che l'irresistibile tentazione a guardare le cose un po' più nel profondo faccia venir fuori a volte una realtà un po' diversa e assai meno rosea.
A dimostrare la verità del detto secondo il quale Belzebù si annida nei dettagli è proprio il ragionamento che vorrei sottoporre ai lettori di queste note e che prende spunto da un'osservazione assolutamente casuale. Nei giorni in cui stanno prendendo quota rievocazioni storiche e giornalistiche in occasione dei quarant'anni trascorsi dal rapimento e dall'assassinio di Aldo Moro, mi è capitato di osservare come Bolzano sia probabilmente una delle poche città italiane che allo statista ucciso dalle Brigate Rosse non hanno dedicato né una piazza, né una via, né una scuola o un altro edificio pubblico.
Era un'impressione superficiale e ho voluto consultare, sul sito del Comune, lo stradario ufficiale per esser sicuro di non sbagliare. Non sbagliavo. A questa prima riflessione se n'è aggiunta, subitanea, un'altra. C'è un altro personaggio che ha ricevuto eguale trattamento: Alcide Degasperi. Anche in questo caso rapido controllo. Nessun risultato. A Bolzano i nomi dei due statisti risultano non pervenuti.
Eppure, nel resto d'Italia, le cose vanno molto, molto diversamente. Un'interessante studio pubblicato qualche anno fa sul supplemento letterario del Corriere della Sera ci dice che Degasperi e Moro sono tra i nomi più gettonati dalle amministrazioni comunali italiane. In vetta alla classifica, c'è ovviamente il nome Roma, seguito, ed anche questo non stupisce, da Garibaldi, Marconi, Mazzini, Dante Alighieri, Cavour, Matteotti e Verdi. Aldo Moro è buon quattordicesimo e batte di un'incollatura Antonio Gramsci. Alcide Degasperi è diciannovesimo.
Quasi ovunque, così sembra, il loro nome è stato in qualche modo ricordato, ma a Bolzano no. Per trovare una piccola menzione occorre uscire dal territorio comunale ed entrare in quello di Laives, nella frazione di Pineta per la precisione, dove un vicolo a ridosso della montagna porta il nome dello statista pugliese.
Arrivato sin qui il lettore potrebbe ragionevolmente domandarsi il senso di tutto il ragionamento precedente. A Bolzano, come in altri luoghi, gli stradari non possono contemplare l'universo mondo dei personaggi più o meno illustri che hanno calpestato la nostra ed altre terre. Abbiamo in città una via Crispi, ma ci manca probabilmente Giolitti, abbiamo (con molte contestazioni) Cadorna, ma non abbiamo La Marmora e così avanti. Viviamo felici lo stesso.
Solo che, e qui ritorna il ragionamento sull'autonomia col quale abbiamo aperto queste poche righe, Moro e Degasperi, a Bolzano, non sono due personaggi qualunque. Attraverso l'opera politica dell'uno e dell'altro passa quel filo rosso che, nel secondo dopoguerra, ha portato alla costruzione dell'assetto autonomistico altoatesino così come esso si presenta oggi. Degasperi è l'uomo che, sfidando l'impopolarità e le critiche quasi generali dei suoi stessi collaboratori politici e diplomatici impone, nel settembre del 1946 l'ipotesi di un'intesa con l'Austria che affidi il futuro della minoranza sudtirolese in Italia al rapporto politico tra i due Stati. Ne nasce una prima autonomia, quella regionale, che si incaglia ben presto sui bassi fondali dell'incapacità politica di guardare oltre le convenienze di parte e i rigurgiti del mai domo centralismo romano. L'architettura istituzionale voluta da Degasperi nel 1948 si frantuma nel giro di qualche anno, ma l'intuizione originaria, quella che vede nel dialogo e nell'intesa politica tra Roma e Vienna l'unica soluzione possibile, resta assolutamente valida, totalmente originale anche perché adottata in un quadro europeo che ai problemi delle minoranze delle nazionalità dava in quegli stessi anni risposte ben diverse: esilio, pulizia etnica, oppressione, sterminio.
È un'idea, quella degasperiana, che Aldo Moro riprende e fa sua a metà degli anni 60, quando la crisi della prima autonomia sembra aver imboccato una strada opposta a quella del dialogo e dell'intesa politica. A recitare da protagonisti, sulla scena altoatesina, sono i signori delle bombe che vogliono sollecitare la repressione per suscitare la rivolta, i servizi segreti più o meno deviati, i fautori della linea dura e della politica fatta solo con le manette.
Aldo Moro persegue con pazienza un altro obiettivo e porta in fondo il suo progetto politico, che trova sostanza ultima con le leggi che, all'inizio degli anni 70, creano il secondo Statuto.
Questa, in poche righe, la motivazione per la quale questi due personaggi politici, in Alto Adige, sono qualcosa di più di una fotografia e qualche riga biografica nei libri di storia. È probabilmente anche il motivo ultimo per il quale si è preferito dimenticarli.
Non ci si poteva davvero attendere che, a proporne in qualche modo il ricordo, fosse il mondo politico o culturale sudtirolese. Da quelle parti, tanto per essere chiari, Degasperi ha una fama sinistra. Rammento ancora la rabbia appena trattenuta di Silvius Magnago quando gli si chiedeva cosa pensasse dell'iniziativa di beatificare lo statista trentino. Per i sudtirolesi, allora e probabilmente ancor oggi, Degasperi è il vecchio avversario che chiuse loro la porta dell'autodecisione e li consegnò ad una prima autonomia dominata da Trento. Per Moro il discorso è indubbiamente diverso, ma anche in questo caso il giudizio resta quello che accomuna un po' tutti i politici italiani con i quali i sudtirolesi hanno trattato nelle diverse epoche storiche. Pur riconoscendo la maggior disponibilità all'ascolto da parte di alcuni di essi, il giudizio complessivo resta ancorato a un profondo senso di diffidenza. Al di là delle belle parole che vengono pronunciate ogni anno il 6 settembre, quando viene fatta l'apologia dell'Accordo e dei suoi artefici e si sorvola anche sul sonoro schiaffone assestato in una via centrale di Innsbruck al povero Karl Gruber, la lettura storica che va per la maggiore resta sempre quella di un'autonomia strappata, con tanta tenacia e con qualche bomba, dalle grinfie dell'oppressiva Italia.
Non che, spostandosi nel campo italiano, le cose migliorino poi di molto. Per motivi eguali ed opposti Degasperi e Moro sono oggetto di un sordo rancore da parte di tutto quel mondo che ha vissuto non solo la seconda ma anche la prima autonomia come un drammatico cedimento alle istanze dei sudtirolesi, come un tradimento dei diritti e delle attese di tutti quegli italiani che in Alto Adige erano venuti ad occupare una terra conquistata. Ho ben presenti, nel ricordo, i commenti feroci che ebbi modo di sentire a Bolzano, in certi ambienti, quando fu trovato il cadavere di Aldo Moro. Parole di odio puro pronunciate non tanto da parte degli avversari politici, che furono oltremodo rispettosi, quanto da parte di esponenti della sedicente società civile che sfogavano in quel modo un rancore profondo e probabilmente inestinguibile ancor oggi. Moro e Degasperi sono accomunati dalla fama di aver tradito e venduto, per ignavia o interesse politico, gli italiani dell'Alto Adige alla SVP. Non è da questa parte, non certo minoritaria, del mondo italiano che può quindi arrivare l'iniziativa di ricordare in qualche modo i due statisti.
Quel che stupisce, però, è che l'oblio, voluto o casuale che esso sia, abbia coinvolto anche coloro che appartengono all'area politica che questa autonomia ha voluto e ha difeso politicamente e culturalmente, pur criticandone a volte alcuni aspetti. Parrebbe naturale, da parte di queste forze, rivendicare il merito di aver seguito la strada più difficile, pagando un prezzo politico molto elevato per questo, e onorando in qualche modo coloro che ne sono stati gli artefici principali. Capisco la difficoltà di intitolare una strada ad una personalità ancora così controversa come Giulio Andreotti, che pure nelle vicende altoatesine ha recitato anch'egli un ruolo da protagonista, ma la "damnatio memoriae" che colpisce Moro e Degasperi è puro autolesionismo.
Negli ultimi anni Bolzano ha intitolato a personaggi tra i più diversi non solo le nuove strade aperte nelle varie zone di espansione della città, ma anche frammenti a volte minuscoli del suo tessuto urbano. Si è dato un nome a slarghi, piazzette, androni e rotonde. Si sono così onorati personaggi diversissimi fra loro.
L'assenza nell'elenco di due padri dell'autonomia, mi duole farlo notare, pesa come un macigno.