Gesellschaft | Intervista

“Povertà: non si rincorre, si previene”

Cristina Masera, segretaria generale della Cgil/Agb, sprona la Provincia ad attuare interventi più strategici per contrastare le situazioni di disagio.
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Cristina Masera
Foto: Salto.bz

In un anno tragico tanto sul fronte della salute quanto dell’economia, e alla vigilia di un 2021 che potrebbe essere segnato già in primavera da licenziamenti di massa e attività che chiudono, il tema della lotta alla povertà deve diventare il primo punto dell’agenda politica, a livello locale e nazionale. Ne è convinta la segretaria generale della Cgil/Agb di Bolzano, Cristina Masera. “Un punto però deve essere chiaro: non possiamo limitarci a tamponare situazioni già disastrose, ma dobbiamo far sì che meno persone possibile si trovino a dover chiedere aiuti, integrazioni al reddito, sussidi: dobbiamo innescare un meccanismo virtuoso nella società, per cui ognuno è in grado di farcela con le sue forze”.

 

Masera, parlare di povertà in un territorio ricco come l’Alto Adige può apparentemente sembrare un controsenso. A che punto siamo e qual è la reale situazione a Bolzano e provincia?
Io credo che la ricchezza, da sola, conti relativamente e non significhi che non esistano situazioni di indigenza. Nel nostro territorio non c’è una distribuzione equa delle risorse, e in un anno come questo lo si è visto in modo particolare: le situazioni di disagio sono aumentate, il lavoro è diminuito e situazioni già sul filo si sono esacerbate.

 

Chi sono i poveri, oggi, in Alto Adige?
Abbiamo purtroppo decine e decine di persone senza fissa dimora, che vivono in condizioni estreme, ma spesso si tratta anche di lavoratori: persone che hanno un impiego ma che guadagnano davvero troppo poco per riuscire a sopravvivere dignitosamente. Pur lavorando e avendo un salario, insomma, continui a esser povero.

 

Qual è il settore più critico?
Le pulizie, senza ombra di dubbio. Hanno un contratto che prevede retribuzioni bassissime, sono tutti appalti che funzionano quasi sempre con la logica per cui vince chi paga di meno. Poi ci sono ovviamente i rider, tanti che hanno contratti a tempo determinato, stagionali non sempre coperti da disoccupazione. Le situazioni difficili sono tante. Però io dico: chi si occupa delle pulizie negli uffici pubblici, perché non può essere reinternalizzato? Questi servizi sono stati esternalizzati tanti anni fa con l’illusione che si sarebbe speso meno e che i lavoratori non avrebbero avuto problemi, ma oggi vediamo che non è così e che a pagare questo presunto risparmio sono proprio i dipendenti. Se la Provincia decidesse di riassorbire il servizio al proprio interno sarebbe un segnale importante.

 

Queste esternalizzazioni cosa hanno portato, oltre alla diminuzione dei salari?
Prendendo sempre ad esempio le pulizie, i lavoratori e le lavoratrici in poche ore devono pulire sterminate praterie di uffici: questo vuol dire che anche la qualità del lavoro si è abbassata. Poi il problema è che nel settore lavorano quasi esclusivamente donne e quindi va ad aggiungersi anche il tema della povertà del lavoro femminile: basse retribuzioni oggi vogliono anche dire pensioni esigue domani. 

 

Il rischio quindi è che quello che l’ente pubblico risparmia oggi lo debba spendere domani in sussidi?
Esatto. Questo è un controsenso, perché alla fine la Provincia dovrà intervenire in qualche modo erogando aiuti. Se invece desse un buon lavoro, pagato il giusto e garantito, alla fine le persone sarebbero facilitate in tante cose, in primis a trovare una casa. Sarebbe una spirale virtuosa, invece oggi per sostenere questi lavoratori adottiamo soluzioni che tamponano ma non risolvono il problema. A chi gestirà il bilancio provinciale 2021 mi sentirei davvero di chiedere che si iniziasse a ragionare in questo modo almeno per qualche categoria. Iniziamo a invertire la rotta.

 

 

Come detto, resta poi irrisolto il tema dei senza fissa dimora. Anche lì la Provincia sta rincorrendo e non risolvendo?
Il pubblico non riesce a imparare dalle esperienze pregresse: lo scorso anno un privato ha messo a disposizione un edificio, quest’anno eccoci punto e a capo con tante, troppe persone in strada. Mi chiedo come la politica abbia potuto pensare che con l’arrivo dell’inverno, e in un anno come questo, non ci fosse bisogno di nulla. Oggi ci troviamo a dover rimediare di corsa, sempre tamponando. Il lavoro dell’associazionismo è bellissimo, c’è un mondo solidale che si muove con passione ma anche in modo variegato ed eclettico. La politica dovrebbe però fare qualcosa di più del finanziare associazioni, contando che proprio poco tempo fa si era palesato il rischio di una riduzione dei contributi a questo settore.

 

Larrivo del Recovery Fund apre qualche spiraglio nella lotta alla povertà?
Sono fondi che dovranno andare a chi ha più bisogno e l’Europa non a casa ci ha già detto chi saranno i destinatari almeno di una parte di essi: giovani e donne, in particolare per incentivare il lavoro femminile. È ormai evidente come le donne soprattutto abbiano pagato un prezzo più alto, soprattutto a livello occupazionale. Già considerando che nella coppia spesso è la donna che rimane a casa e che comunque è più soggetta al precariato. A livello locale mi sento di dire che se Kompatscher vuole confermare l’intenzione di rimanere uniti e di compiere un percorso di unità sociale allora deve considerarci interlocutori a tutti gli effetti.

 

Poniamo che ci siano davvero un po’ di soldi disponibili per intervenire, come ci si dovrebbe muovere?
Migliorare il lavoro di rete, far sì che non sia finalizzato ad alleviare l’emergenza ma a capire davvero come aiutare le persone a uscire dalla povertà in modo definitivo. Costruire quindi progetti che possano innescare un cambiamento di vita. E poi evitare che aumentino le povertà, quindi affrontare subito il tema di lavoratori e lavoratrici indigenti. In ultimo, qualsiasi percorso si attui, bisogna considerare dei momenti di verifica, fare monitoraggio per capire se in un dato arco di tempo la situazione è davvero cambiata oppure no.

 

Il timore e la prospettiva concreta è che a marzo 2021, con lo sblocco dei licenziamenti, migliaia di lavoratori rimangano a casa definitivamente. Come è la situazione in Alto Adige?
Stiamo iniziando ad indagare con le nostre delegate e delegati per capire quali sono le situazioni che non riusciranno a farcela. Ci preoccupano in particolare quelle imprese che dall’inizio della pandemia hanno utilizzato tutte le settimane possibili di cassa integrazione. Per fortuna buona parte delle aziende hanno usato circa metà delle settimane disponibili.

 

Per evitare che a marzo ci sia davvero un’emorragia di posti di lavoro, voi cosa proponete?
Chiediamo che si modifichi l’atto costitutivo del Fondo territoriale: vogliamo che si usi per l’accompagnamento alla pensione, per la formazione per il ricollocamento, quindi per favorire anche il turn over. A gennaio c’è un tavolo tecnico, vedremo se le aziende parteciperanno. Abbiamo per ora lappoggio della Provincia ma serve che firmino anche i datori di lavoro.
Ricordo infine che ci sono anche i fondi europei che possono dare aiuti sulla formazione, però se ti formi per una professione per la quale non c’è richiesta il percorso diventa frustrante. Noi chiediamo che vengano messe in campo le competenze di tutti per capire come poter arrivare davvero a trovare un lavoro. Tutti i contributi che arriveranno dall’Europa dovranno essere spesi in modo strategico: dare contributi a pioggia per aziende che chiuderanno non ha senso, dobbiamo invece aiutare creando lavoro e ottenendo un effetto moltiplicatore.