“Medicina di genere, facciamo chiarezza”
salto.bz: Elida Della Lucia, componente del sindacato pensionati Cgil-Agb e responsabile del coordinamento donne Spi/Lgr, innanzitutto cos’è realmente la medicina di genere?
Elida Della Lucia: diciamo prima di tutto che la medicina di genere non riguarda esclusivamente le donne. Al contrario è una branca della medicina rivolta sia alle persone di sesso femminile che a quelle di sesso maschile, quindi a tutta la popolazione. Una visione capace di differenziare sia l’osservazione dei sintomi che la successiva risposta di cura a seconda del sesso di appartenenza, ovvero se il paziente è uomo o donna.
La premessa è naturalmente a livello scientifico l’attenzione alle differenze biologiche attribuite al genere, oltre che ai fattori psico-sociali connessi. È così?
Sì. Tanti anni fa una cardiologa americana si rese conto come l’infarto miocardico nella donna avesse dei sintomi completamente diversi rispetto a quelli dell’uomo. Da lì si è partiti per un percorso che ha portato oggi non ad una medicina riservata esclusivamente alle donne, ma ad una prospettiva comprensiva di ambo i sessi.
In che modo la Cgil-Agb ha iniziato ad interessarsi all’argomento?
Si tratta di un ambito che fin da subito abbiamo ritenuto importante e del quale ci siamo interessate sia nelle politiche di genere della Cgil-Agb che come coordinamento donne del sindacato pensionati, a livello nazionale ed anche locale. Abbiamo seguito le tappe del percorso, che in Italia è culminato con l’approvazione, nella primavera 2018, della prima legge in Europa sul tema, mentre nel 2019 sono stati portati avanti i decreti attuativi. Il cammino intrapreso grazie soprattutto alla volontà della dottoressa Giovannella Baggio, docente di medicina di genere all’università di Padova, ha visto il coinvolgimento di tante Regioni, con i tecnici inviati all’Istituto superiore di sanità per tenere un filo diretto con le esperienze territoriali.
L’obiettivo a livello nazionale è restituire una completezza di visione nella scienza medica e nella sanità territoriale, giusto?
La finalità è questa. Partiamo dal principio di base che ci ha portato a capire che la medicina, per come è stata interpretata, ha sempre osservato il maschio nei suoi sintomi e cure. Invece il nuovo approccio, in cui noi crediamo, prevede che venga portata avanti una visione diversa, che coinvolga le due prospettive. È una medicina di genere quella che riconosce le differenze già dai sintomi, che secondo gli esperti se non riconosciuti possono avere conseguenze anche fatali, prendiamo l’esempio dell’infarto miocardico. L’obiettivo finale è sempre la salute delle persone e una risposta più efficace dell’offerta medica.
Alla medicina “gender-specific” il coordinamento donne e lo Spi della Cgil-Agb credono fermamente, non è vero?
Cerchiamo di approfondire il tema e di far sì che possa crescere la consapevolezza nella popolazione. Se in Alto Adige parli generalmente con le persone, anche i giovani, chiedono “cos’è la medicina di genere?” e spesso la confondono appunto con una medicina per le donne. Non è così e proprio per questo abbiamo fatto un convegno qui a Bolzano.
Come si è svolto l’incontro?
L’appuntamento di carattere informativo e di sensibilizzazione si è svolto alla Kolping a Bolzano, l’11 dicembre scorso, lo abbiamo organizzato assieme alla Ripartizione salute della Provincia di Bolzano, con Irene Unterhofer, responsabile a livello locale nell’ambito della gender medicine.
Con la partecipazione della dottoressa Franca di Nuovo, tecnico della Regione Lombardia presso l’Istituto superiore della sanità e del Ministero della Salute, di un medico di base e di un farmacista.
Volevamo aggiungere qualcosa nell’informazione, sapere cosa si fa in Alto Adige sotto questo aspetto. La cosa che mi piaceva più di tutte è sfatare il luogo comune: “Ah, è una cosa delle donne”. Allora anche negli inviti abbiamo detto: “Venite anche vuoi uomini, è una cosa che riguarda entrambi i generi, tutta la popolazione”.
In Alto Adige si fa abbastanza a suo avviso?
Direi che si è cominciato, ma c’è ancora poca consapevolezza perché i cittadini sono poco informati, escluso l’ambito dell’infarto miocardico. Ma ci sono altri ambiti, l’osteoporosi per esempio che colpisce anche gli uomini. La ricerca farmaceutica e medica in passato ha avuto come soggetto privilegiato di studio i pazienti maschi, anche perché la donna era meno disponibile ai test e alle sperimentazioni visto che deve procreare e ci sono maggiori rischi per le conseguenze per l’uso di farmaci sperimentali sull’apparato riproduttivo.
Cosa manca ancora?
L’importante, anche nella nostra provincia, è proseguire nella direzione intrapresa. Hanno già iniziato ad esempio a formare medici e infermieri nell’ottica di valorizzare la prospettiva di genere. La Provincia ha tutto l’interesse a formare gli operatori. Anche la Claudiana potrebbe organizzare corsi su questa specializzazione. Perfino noi sindacati dovremmo chiedere conto all’amministrazione provinciale di come la legge nazionale viene portata sul territorio locale.
Insomma la gender medicine è una delle direzioni per il futuro del welfare locale a cui è attento il sindacato?
Certamente. Ritengo sia molto importante che ci si faccia delle domande e si sia curiosi sull’argomento. Spero che chi ha partecipato al convegno sia uscito più informato e possa a sua volta diffondere le informazioni con i propri cari, gli amici. In sintesi mi piacerebbe che le donne e gli uomini in Alto Adige possano chiedere di saperne di più, anche solo quando vanno dal loro medico di base.