Andreotti al confine
Proprio nei giorni in cui viene cadere il sessantesimo anniversario del discorso tenuto da Silvius Magnago a Castelfirmiano, mi accadde di notare, sugli scaffali di una libreria, un volume che racconta un pezzo di storia altoatesina relativo agli anni che precedettero quel famoso raduno del popolo sudtirolese e agli avvenimenti che ne furono causa diretta e indiretta. Il libro s'intitola "Andreotti e l'Italia di confine", non è di stampa recentissima, è uscito infatti nel 2015, ed è stato scritto da due professori di storia, Paolo Gheda, ordinario presso l'Università della Valle d'Aosta e Federico Robbe, titolare di un incarico presso l'Ateneo di Bergamo.
Il volume è sostanzialmente basato sull'analisi dei documenti emersi alla luce da non molto tempo, dopo un'avventurosa vicenda di archeologia archivistica, e relativi a quell'Ufficio Zone di Confine (UZC in sigla) che operò nel secondo dopoguerra come diretta articolazione del Governo nelle regioni del nord Italia dove più acuti, anche se in maniera diversa, si manifestavano quegli anni sintomi di grave malessere politico: la Venezia Giulia, il Trentino Alto Adige e la Valle d'Aosta.
Va subito premesso che per quanto riguarda la nostra regione e il complesso teatro del confine orientale l'attività dell'UZC è stata analizzata in maniera molto approfondita anche da un "pool" di storici di Bolzano e Trieste, il cui lavoro è condensato nell'ampia monografia intitolata "La difesa dell'italianità. L'Ufficio per le zone di confine a Bolzano, Trento e Trieste" a cura di Diego D'Amelio, Andrea Di Michele e Giorgio Mezzalira. Il volume non aggiunge in realtà elementi di clamorosa novità a quanto già conosciuto. Dai fascicoli dell'UZC arriva la conferma che, a Bolzano come a Trieste, l'Ufficio, diretto con chiari criteri politici dall'ex prefetto di Bolzano Silvio Innocenti, operò in modo da sostenere, direttamente e indirettamente, l'italianità delle terre di confine nelle quali la sovranità di Roma veniva ad essere posta in discussione sia pur in maniere completamente diverse. Così se nella Trieste ancora sottratta al pieno governo italiano e minacciata costantemente dall'espansionismo della Jugoslavia di Tito, l'UZC canalizzò finanziamenti che andarono a sostenere in diversi casi anche gruppi paramilitari di estrema destra, nel quadro assai diverso di un Alto Adige nel quale l'autonomia regionale voluta nel 1948 da Alcide Degasperi mostrava ogni giorno di più chiari segni di precoce logoramento di fronte alle richieste della minoranza sudtirolese, il sostegno all'italianità seguì percorsi diversi.
Il libro di Gheda e Robbe ripercorre, sul filo dei documenti venuti alla luce, tutti i vari canali di intervento effettuati, a Trento ma soprattutto a Bolzano, per sostenere realtà economiche in difficoltà, associazioni, strutture parrocchiali e mondo dell'informazione. Due esempi per tutti gli altri: la lunga querelle tra i vari ministeri sollecitati a predisporre l'acquisto di un forte numero di camion militari prodotti dalla fabbrica Lancia di Bolzano per evitare il licenziamento di parecchi operai e la difficile mediazione tra democristiani di Bolzano e di Trento allineati su opposti fronti per difendere i finanziamenti ai rispettivi giornali, l'Alto Adige el'Adige.
Sul piano più squisitamente politico ampio è lo spazio dedicato alla complessa questione delle riopzioni di cittadinanza, procedimento amministrativo ideato per sanare gli effetti dell'accordo tra Hitler e Mussolini dal giugno 1939, e sul quale si innestò la volontà politica di evitare che potessero far ritorno in Alto Adige e riconquistare la cittadinanza italiana personaggi sudtirolesi considerati compromessi con il nazismo ma soprattutto ferventi sostenitori della linea più estremistica nei confronti di Roma.
Alle questioni di fondo, nel mare magnum degli archivi dellUZC si alternano i problemi di maggior leggerezza. Sembra quasi tratto da un racconto di Cechov l'episodio della cittadina di Merano, messa in subbuglio con grandi preparativi in vista di una visita di Andreotti, mai programmata e ovviamente mai avvenuta, con il Sottosegretario che chiede infuriato spiegazioni alla Prefettura.
Dall'analisi delle situazioni di Trieste, Trento e Bolzano, cui si aggiunge un breve capitolo relativo al territorio assai meno controverso e delicato della Valle d'Aosta, gli autori, e qui si giustifica il titolo del volume, giungono a voler tracciare un profilo della personalità politica di Giulio Andreotti in relazione ai problemi delle zone di confine. Secondo gli autori i due valori cui l'uomo politico romano si ispirò la sua azione in questo settore furono quello dell'interesse nazionale, attraverso una capillare opera di propaganda tesa alla "nazionalizzazione delle masse" e alla diffusione del patriottismo e quello della responsabilità "intesa - scrivono - come richiamo alla responsabilità della politica generale, intesa più in generale come richiamo al senso delle istituzioni e all'interesse nazionale di cui si è detto. Si potrebbe anche dire che richiamo alla responsabilità sia una declinazione dell'interesse nazionale".
Per quel che riguarda lo specifico della situazione altoatesina, ma probabilmente un discorso del genere potrebbe essere fatto anche per Trieste, l'aver analizzato solo i documenti dell'UZC che conclude la sua attività negli anni 50, ha impedito probabilmente di formulare un giudizio più ampio complesso su un rapporto politico, quello tra Giulio Andreotti e la questione altoatesina, che si colloca su orizzonti temporali ben più ampi. C'è, è vero, l'Andreotti che si muove per sostenere l'italianità nella Bolzano degli anni 50 e per rinsaldare il rapporto con il Trentino di Degasperi, alle prese con il difficile ruolo di leadership regionale, ma c'è anche l'Andreotti che, assieme ad Aldo Moro, qualche anno più tardi collabora in modo decisivo per dare una soluzione politica alla pesantissima crisi della prima autonomia. C'è infine l'Andreotti che, nel 1992, riesce a chiudere la vertenza internazionale sull'Alto Adige un attimo prima che, col suo ultimo governo, crolli anche la Prima Repubblica.
Il personaggio è complesso e multiforme, ma non dovrebbe essere difficile rintracciare un filo conduttore comune che lo leghi a tutte queste vicende e a tutte queste scelte politiche.