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Il paradiso ferroviario

"Entrando in un vagone si incrocia lo sguardo di quella metà dei passeggeri seduti di fronte a te"
Claudia Aquilini
Foto: Claudia Aquilini
  • “Annuncio ritardo. Il treno regionale veloce 3848 di Trenitalia proveniente da Bologna Centrale e diretto a Brennero delle ore diciotto e ventisei arriverà al binario uno con un ritardo previsto di venti minuti per un ritardo nella preparazione del treno”. A volte i viaggi in treno cominciano con un fastidioso prurito, una sorta di orticaria. Ferma in una stazione di periferia ti chiedi cosa significhi un ritardo previsto e soprattutto cosa si intenda per preparazione di un treno. Attanagliata da tali dubbi rimani in attesa sulla banchina ferroviaria al freddo o sotto un sole cocente. 

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    Per ammazzare il tempo osservi gli altri passeggeri per vedere se incroci lo sguardo di qualcuno con cui fare due chiacchiere e, in assenza di complicità inizi a interessarti ai binari, conti le traversine, ti chiedi quanto pesino, ti occupi dei segnali fissi e mobili, luminosi o meno, li fotografi, quando, all’improvviso, una voce metallica stridula, anticipata da un campanello che ti trafigge il timpano, ti avvisa del transito di un convoglio e ti avverte di allontanarti dalla linea gialla. Memore del racconto di un tuo amico cui lo spostamento d’aria aveva risucchiato la valigia, sparpagliandone il contenuto sui binari, ti ritrai velocemente ancor prima di udire il fischio del treno sfrecciante carico di container navali. Nella velocità del passaggio riesci a intravedere la scritta MSC Mediterranean Shipping Company e la mente vola al mare, alle vacanze della scorsa estate. Sei quasi felice quando un altro annuncio ti comunica che il ritardo ora è di trenta minuti. Ti guardi attorno per vedere la reazione degli altri viaggiatori. I più fortunati sono seduti su quelle due uniche panchine da otto sedili l’una, molti lo sguardo fisso sul cellulare, il viso illuminato di un verdastro simile al livor mortis. Ti ostini a non voler prendere il telefonino e vaghi ancora con lo sguardo alla ricerca di altre distrazioni. Ispezioni i cestini dei rifiuti per verificare se effettivamente la raccolta differenziata carta, plastica e vetro è rispettata, conti i mozziconi di sigarette e li suddividi in base a tracce di rossetto o meno, controlli il monitor arrivi/partenze che ti ribadisce i trenta minuti di ritardo e, nel tuo intimo, supplichi gli dei che la contabilità del ritardo rimanga invariata, altrimenti perdi con assoluta certezza l’ultima coincidenza. Cammini lungo la banchina alla ricerca di ulteriori passatempi e ti accorgi che tra i binari spuntano alcune piantine di pomodoro. Ti auguri di essere sul treno prima della maturazione dei succulenti San Marzano. Altro annuncio, tremi. E’ andata bene. 
     

    Un treno è un paese in movimento.

  • Foto: Claudia Aquilini

    La voce metallica scandisce il passaggio, sul binario opposto, di un Frecciarossa. Il treno, nonostante i frequenti disservizi, resta un ottimo mezzo di trasporto che unisce città, paesi e località minori. Il viaggio rimane, in ogni caso, un’avventura sotto varie latitudini. Sui regionali e regionali veloci, laddove non è mai necessario prenotare il posto a sedere ci si può, quando possibile, prendere la libertà di accomodarsi accanto a chi si vuole. Entrando in un vagone si incrocia lo sguardo di quella metà dei passeggeri seduti di fronte a te. Mentre avanzi scandagli persone e situazioni per scovare la tua zona d’agio. Il posto che ti consentirà forse di scambiare due parole, di alzarti senza disturbare, di posizionare la tua valigia senza urtare qualcuno, la sfortuna è massima se sei di bassa statura, hai una valigia che non riesci nemmeno a sollevare e, nel vagone, tutti sono alti quanto te. Circostanza stuzzicante è quando sei tu a porti nella condizione di voler essere scelta. Ti trovi un posto circondato di posti liberi. Improvvisamente ti ritrovi accanto tre giovani studentesse, munite di abbonamento che non hanno fatto in tempo a convalidare, arrivate trafelate per aver corso a più non posso. Sprofondano sui sedili esauste e, alla vista del controllore, peraltro ancora lontano, paventano l’idea di rinchiudersi nel bagno non avendo i due euro e cinquanta per acquistare il biglietto. Intervieni dicendo che lo puoi pagare tu per loro e che non è necessario stiparsi in tre in una maleodorante toilette. Scorgi uno sguardo perplesso e grato. Poi proseguono nelle chiacchiere incuranti della tua presenza. Prima di scendere, scampato il pericolo, ti salutano con la freschezza della giovinezza, educate e rumorose. Quella più loquace con gli occhiali a goccia doveva essere sicuramente la capobanda. Sui treni veloci la prenotazione obbligatoria ti vincola a una non scelta del posto. Una sorta di roulette della seduta. Ti becchi chi ti capita. Quando il vicino non ti aggrada puoi sempre immergerti nella lettura di un libro, guardare il paesaggio o cercare di riposare. Dormire? Non se ne parla nemmeno! Da qualche tempo vi sono annunci martellanti che ti informano rispetto alle varie modalità di validazione del biglietto, ti comunicano il passaggio del carrellino minibar, della possibilità di rimborso secondo la legge tal dei tali, di avviso fermata, ti raccomandano prudenza nella discesa, ti indicano la carrozza bar. 

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    Tutto ciò almeno in due lingue. A volte il volume degli avvisi è così basso da risultare solo un fastidioso ronzio senza alcuna utilità. Sui treni in ambito provinciale è frequente la sovrapposizione del tedesco e dell’italiano a creare una comica cacofonia. Su qualche regionale mi è capitato di sentire annunci in arabo o spaventosi versi animaleschi. Il burlone di turno s’impossessa del microfono e lo usa a suo piacimento. Gratificherebbe molto anche me avere tra le mani quel fantastico megafono! Vagabondando con la mente, ricordi che in passato era forse il capostazione che operava gli annunci e azionava il tintinnio delle due fatate campanelline sotto le quali, a segnalare la provenienza del treno, vi erano la scritta Verona/Brennero con rispettiva freccia direzionale. Da viaggiatrice assidua riuscivi a indovinare le stazioni dal timbro della voce del capostazione. Gli edifici ferroviari, anche quelli minori, erano presidiati e curati. Avevano una loro identità architettonica. Dal finestrino osservavi gli orti ordinati dei ferrovieri, le file di rose. Ti rimandavano una cartolina d’altri tempi, un paesaggio agreste, quieto. Ma il gusto agrodolce di un viaggio in treno, seppur mitigato in tempi recenti da numerosi disservizi rimane una valida alternativa all’uso dell’automobile. Un viaggiare ancora sociale, ecologico, un villaggio su rotaia dal miscuglio di lingue diverse, un crocevia umano, ciascuno con la propria storia, il proprio vissuto. Cerchi di indovinare la vita delle persone dai visi, dal bagaglio, dalle acconciature, dall’abbigliamento, dalla parlata, dalle destinazioni. Un treno è un paese in movimento. Nella composizione più lunga può ospitare circa millequattrocento persone con oltre settecento sedute. Attualmente rimangono due classi e varie sfumature d’anglicismo Premium Economy, Economy, Business Class. Le italiote categorie dei treni erano rapido, direttissimo, accelerato, omnibus, locale, misto, espresso; definizioni chiare, poetiche. Costretta ad una coincidenza con cambio, salgo su un treno svizzero proveniente da Zurigo con destinazione Venezia. Mi ritrovo catapultata in un altro mondo, il paradiso ferroviario.

  • Foto: Claudia Aquilini