Gesellschaft | disabilità

“Non si tratta solo di sesso”

Max Ulivieri, attivista per il diritto all'affettività delle persone con disabilità, racconta le battaglie e le iniziative del comitato Lovegiver.
Maximiliano Ulivieri
Foto: maximilianoulivieri.it

La disabilità è circondata da stereotipi. Tristi, sofferenti e soprattutto asessuate le persone con disabilità vengono raccontate attraverso i filtri che altri impongono, mentre il tema della loro sessualità rimane sospeso, o meglio, nascosto alle prime pagine. Eppure il diritto ad una sana sessualità è ormai entrato nel novero dei diritti umani e mentre spesso si finge di ignorare realtà emotive e sessuali considerate inconsuete nascono associazioni che, oltre a battersi per queste istanze, promuovono corsi, seminari e formazione sul tema. Come nel caso del comitato Lovegiver, che da quasi dieci anni fornisce assistenza emotiva, affettiva e sessuale alle persone con disabilità e promuove la figura del O.E.A.S (operatore per l’emotività, l’affettività e la sessualità). Nel 2014 poi il suo fondatore e presidente Maximiliano Ulivieri ha presentato un disegno di legge per ottenere un riconoscimento normativo degli O.E.A.S., la proposta però giace ancora in Parlamento. Noi di salto.bz abbiamo chiesto a Maximiliano Ulivieri di illustrare il mondo dei Lovegiver e di raccontare il percorso che in questi anni hanno deciso costruire. 

 

salto.bz: Maximiliano Ulivieri, il comitato Lovegiver è stato fondato nel 2013, in questi anni l’attenzione è cambiata? 

Max Ulivieri: A dispetto dell’impressione generale, l’argomento suscita interesse: nel tempo ho partecipato a circa 200 convegni e promosso le nostre attività attraverso vari canali, è andato in onda anche un documentario su RAI3, dal titolo Lovegiver. Nonostante queste iniziative il tema non è comunque all’ordine del giorno e le emergenze degli ultimi anni non hanno aiutato a sviluppare un dibattito più ampio. Le nostre iniziative però continuano, a volte anche con il coinvolgimento delle istituzioni, per esempio in Emilia-Romagna ho collaborato con l’Università di Bologna e ho avuto dei riscontri anche dal sindaco della città. 

Il disegno di legge però non ha avuto seguito…

Lo abbiamo presentato nel 2014 e 3 anni fa Aldo Penna ha integrato la proposta iniziale, ispirandosi anche all’esperienza del comitato. Si tratta di un ddl piuttosto agile, non troppo lungo, ma esaustivo e ha l’obiettivo di riconoscere per via normativa la figura del lovegiver, un professionista che si prende cura della sfera emotiva e sessuale delle persone con disabilità. In altri Stati questa figura è già presente, non con un riferimento legislativo preciso, ma rientra nella categoria più ampia dei sexworker. In Germania e Austria si può quindi già accedere a questo tipo di servizi, mentre in Francia stanno lavorando ad una proposta simile alla nostra. 

Di cosa si occupa la figura del O.E.A.S? 

L’acronimo vuol dire operatore all’emotività, all’affettività e alla sessualità, pensiamo infatti che parlare solo di sessualità sia estremamente riduttivo, il lavoro dell’O.E.A.S non riguarda solo il sesso, ma la sfera corporea ed emotiva in generale, attraverso diverse attività si tende a far scoprire il proprio corpo e il corpo dell’altro. Gli O.E.A.S. sono operatori preparati e formati per interagire con persone che presentano diversi tipi e livelli di disabilità, possiedono infatti un  background psicologico-educativo, che permette loro di aiutare le persone con disabilità ad acquisire consapevolezza ed autostima. 

Come sono organizzati i corsi per diventare O.E.A.S? 

Per accedere ci si deve sottoporre ad un test gratuito, eseguito dai nostri psicologi, se si risulta idonei si è ammessi al corso, che prevede una parte teorica di 200 ore, con lezioni riguardanti diversi aspetti, da quello normativo e medico a quello deontologico ed etico. Sono previste poi 100 ore di tirocinio nelle associazioni che hanno aderito all’osservatorio nazionale del comitato Lovegiver o presso delle famiglie in cui ci sono persone con disabilità.

il lavoro dell’O.E.A.S non riguarda solo il sesso, ma la sfera corporea ed emotiva in generale, attraverso diverse attività si tende a far scoprire il proprio corpo e il corpo dell’altro

I vostri operatori ricevono molte richieste? 

Dal 2013 abbiamo ricevuto un numero crescente di richieste, la maggior parte arrivano da famiglie con figli con disturbi nello spettro dell’autismo, ma offriamo il nostro supporto sia per chi presenta delle disabilità cognitive che fisiche o motorie. Cerchiamo di coprire l’intero territorio nazionale, le domande si concentrano soprattutto al centro-nord, al sud il discorso diventa un po’ più complicato, ma stiamo lavorando per aumentare la nostra presenza. 

Il vostro lavoro coinvolge spesso anche accompagnatori e famiglie?

Capita che a chiamarci siano le famiglie stesse e questo è un buon segnale perché indica un’ apertura verso questi temi da parte di genitori, parenti o, più in generale, da parte di coloro che vivono con le persone con disabilità. Per chi necessita della nostra assistenza non è sempre facile trovare spazi di autonomia e il supporto delle famiglie si rivela fondamentale. 

Per coloro che appartengono alla comunità LGBTQ+ il rapporto con la famiglia può essere ancora più problematico, perché possono trovarsi nella condizione di non essere accettati nel loro orientamento e avere più difficoltà a contattarvi…

Sicuramente questo può essere uno scoglio ulteriore. I nostri operatori sono formati per occuparsi anche di persone omosessuali, ma devo dire che non riceviamo moltissime richieste. 

Ci sono delle buone prospettive per l’approvazione di una legge che disciplini la figura dell’O.E.A.S? 

Non è facile dirlo, a livello nazionale al momento mi sento di escludere ulteriori sviluppi. A livello locale però le cose si stanno muovendo: c’è stata una petizione in Emilia Romagna che è stata discussa in commissione, il comune di Firenze sta organizzando delle iniziative interessanti e anche il sindaco di Bologna si è dimostrato attento a queste istanze. Noi cerchiamo di essere presenti sul territorio e speriamo che il nostro lavoro costante possa spingere verso un riconoscimento normativo più generale.