Gesellschaft | Schule

“Unerziehbares Kind” ?

Il 6 ottobre i genitori di una classe terza di una scuola primaria di Merano hanno tenuto i loro figli a casa per "sciopero". La causa? La presenza di un nuovo alunno.
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  • “Bambino terribile” provoca sciopero degli alunni in una scuola di Merano. Alcune riflessioni tra teoria e esperienza professionale

    “Angst führt zu Schulstreik” è il titolo della notizia locale del 06/10/2023 (https://www.rainews.it/tgr/tagesschau/video/2023/10/angst-fuehrt-zu-schulstreik--04afa326-fa0f-4b72-ba27-25ed48f204c6.html).

    “Ein Mitschüler angreift und bedroht“, riporta rainews. Si tratta di un alunno che provoca, scappa, disturba, chiede troppo spesso di andare in bagno. Si ferisce da solo, morde gli adulti che tentano di trattenerlo, si nasconde sotto al banco e emette versi da animale. Il bambino, 9 anni, terza elementare, sembra, insomma, un "bambino terribile", impossibile da educare.

    La reazione dei genitori degli altri alunni di quella classe è stata comprensibilmente semplice, e per questo assai riduttiva: “O lui in classe, o i nostri bambini.” Un entweder-oder che rivela una reazione di pancia, più che di testa. Un gioco a somma negativa, dove tutti perdono.

    La posizione della Dirigente scolastica ha saputo andare molto oltre: nella scuola che presiede, così come dovrebbe essere nella Scuola con la S maiuscola, c’è posto per tutti. Il personale scolastico si sta occupando del caso, investendo tempo e non poche energie, con la convinzione che anche quell’alunno ce la farà.

    Dato che con quel bambino e con la sua famiglia ci sto lavorando da un anno, la mia riflessione in merito vuole andare ancora più a fondo:

    Cosa sta accadendo all’interno di questo bambino di 9 anni, nella sua anima o, più specificatamente, nel suo inconscio? Perché deve comportarsi sempre in modo così plateale? Perché aggredisce? Cosa sta cercando? Cosa ci vuole comunicare? 

    Queste sono probabilmente le domande che si sono posti tutti gli onesti educatori e le oneste educatrici, che sono venute in contatto con il bambino.

    Di seguito riporto alcune riflessioni sul caso, che provo a riassumere alla luce della mia esperienza come mediatrice educativo-interculturale e della lettura di un sempre attualissimo Winnicott.

     

    Fin dall’inizio dell’anno scolastico, l’alunno si comporta in modo infantile. Come un bambino piccolo, supera tutti i limiti. Mette alla prova la sua forza per rompere, distruggere, spaventare, logorare, sciupare, imbrogliare e appropriarsi delle cose. In poche parole: mette alla prova l’ambiente. Come un bambino alle prime fasi dello sviluppo emozionale, è una persona piena di conflitti e di potenziale distruttività. Non è ancora in grado di farsi un’idea della cornice ambientale che lo circonda e gli pone limiti. Questo bambino cerca stabilità, ma probabilmente la sta cercando da 9 anni, e non l’ha ancora trovata.

    Ci troviamo evidentemente di fronte a un bambino deprivato[1]: un bambino sofferente, che nel corso della propria vita ha esperito importanti forme di perdita.

    “Un bambino diventa deprivato quando gli vengono a mancare certe caratteristiche essenziali della vita familiare. Si manifesta allora, in una certa misura, ciò che potremmo chiamare il ‘complesso di deprivazione’. Il comportamento antisociale si manifesta in casa o in un ambiente più allargato. A causa della tendenza antisociale il bambino può essere in seguito giudicato disadattato (…), oppure può essere ritenuto incontrollabile. Il bambino (…) riceve allora una punizione (…)” (Winnicott, Il bambino deprivato, cit., pp. 155-156).

    “Ein Kind wird zu einem deprivierten Kind, wenn ihm bestimmte wesentliche Bedingungen zu Hause verlorengegangene sind. Als Folge davon manifestiert sich in mehr oder weniger starkem Ausmaß das, was man den ‘Deprivations-Komplex’ nennen könnte. Antisoziales Verhalten tritt zu Hause oder im weiteren Umfeld auf. Wegen dieser antisozialen Tendenz muss das Kind möglicherweise als unangepasst eingestuft werden (…), oder es wird als unerziehbar gestellt. Das Kind (…) wird eine Strafe bekommen (…)” (Winnicott, Aggression, cit., S. 160-161).

    Queste frasi non sembrano forse tracciare un perfetto ritratto del nostro alunno “inadeguato”, che per “punizione” ha visto assentarsi l’intera classe in un presunto “Schulstreik” a causa sua? 

    Così continua l’Autore: 

    “Quando esiste una tendenza antisociale significa che vi è stata una vera deprivazione (non una semplice deprivazione); vi è stata cioè la perdita di qualcosa di buono che ha svolto un ruolo positivo nell’esperienza del bambino fino a un certo momento e che è stato poi ritirato” (p. 157).

    “Das Vorhandensein der antisozialen Tendenz bedeutet, dass ein wirklicher Verlust (Deprivation) stattgefunden hat (nicht ein einfacher Mangel); das heißt, etwas Gutes, das das Kind bis zu einem bestimmten Zeitpunkt positiv erlebt hat, ist ihm entzogen worden” (S. 162).

    Effettivamente, il nostro bambino ha vissuto diverse vere deprivazioni: a 3 anni ha perso la mamma; a 6 anni non aveva più una casa (viveva con il padre e i tre fratelli in una baracca alla periferia di una grande città); poco dopo è fuggito con il padre e il fratellino minore, ha lasciato i due fratelli maggiori e tutto l’ambiente da lui conosciuto. E’ vissuto per un anno in un Aufnahme- und Rückführungseinrichtung (Centro di Identificazione ed Espulsione) in Germania, dove ogni giorno vi erano tensioni, dove vigeva la disperazione e morivano le persone davanti ai suoi occhi, dove i bambini non erano tenuti a frequentare la scuola[2].

    E’ piuttosto comprensibile che un bambino con queste esperienze di deprivazione, il cui ambiente non è mai stato in grado di trasmettergli sicurezza, vada in cerca una stabilità esterna, senza la quale può impazzire. Si tratta di un bambino che ha ancora speranza, che cerca la stabilità di cui ha bisogno per poter elaborare i primi importantissimi stadi della propria crescita emozionale (v. Il bambino deprivato, p. 147. S. Aggression, S. 151).

    Siamo di fronte a un bambino “malato”? Da diagnosticare? Secondo Winnicott, un comportamento antisociale non è necessariamente espressione di una malattia. Tali atteggiamenti spesso non hanno a che vedere con la diagnosi psichiatrica dell’interessato. Non sono altro che una richiesta di aiuto per ottenere il controllo da parte di persone forti, amorevoli e sicure (p. 148; S. 153).

    Qui sta la chiave di lettura: non si tratta di un bambino malato, bensì di un bambino che desidera e spera di migliorare la propria condizione.

    La tendenza antisociale implica la speranza. La mancanza di speranza è il tratto fondamentale del bambino deprivato che, ovviamente, non è costantemente antisociale. E’ nel periodo della speranza che il bambino manifesta la tendenza antisociale” (p. 156). 

    Die antisoziale Tendenz ist ein Hinwies auf Hoffnung. Hoffnungslosigkeit ist das Wesensmerkmal des depriviertes Kindes, das sich natürlich nicht ständig antisozial verhält. In Phasen von Hoffnung jedoch handelt das Kind antisozial” (S. 161). 

    Ciò che caratterizza la tendenza antisociale è un elemento che costringe l’ambiente a essere importante. Le pulsioni inconsce del bambino obbligano qualcuno a occuparsi di lui. E’ compito degli educatori lasciarsi coinvolgere da questa pulsione inconscia, e il loro lavoro consiste, sempre secondo Winnicott, nel seguire il bambino con tolleranza e comprensione.

    “Alla base della tendenza antisociale vi è una buona esperienza primitiva che è andata perduta. E’ certamente un tratto essenziale della tendenza antisociale la capacità acquisita dal bambino di percepire che la causa del disastro risiede in una carenza dell’ambiente. Il fatto di sapere che in realtà la causa della depressione o della disintegrazione è esterna, e non interna, provoca la distorsione della personalità e la spinta a cercare un rimedio in un nuovo apporto dell’ambiente” (pp. 163-164).

    „Die Grundlage der antisozialen Tendenz ist eine frühe gute Erfahrung, die verlorengegangen ist. Das Kind hat die Fähigkeit entwickelt, wahrzunehmen, dass der Grund für die Katastrophe in einem Versagen der Umwelt liegt. Das – zutreffende – Wisse darum, dass der Grund für die Depression oder für die Desintegration ein äußerer und nicht innerer ist, ist verantwortlich für die Verformung der Persönlichkeit und den Drang, in neuen Umweltbedingungen eine Heilung zu suchen“ (SS. 168-169). 

    Il nostro bambino e la sua famiglia si trovano effettivamente in un ambiente che fornisce loro nuovi apporti: sono giunti sul territorio da poco, hanno una nuova abitazione, lui frequenta una nuova scuola. Soprattutto qui, a scuola, il bambino percepisce elementi di attendibilità e fiducia, e per questo motivo prova una pulsione alla ricerca, prova speranza.

    A questo punto però, il bambino 

    “percepisce che la crudeltà sta per diventare una caratteristica, e di conseguenza sollecita l’ambiente immediato affinché stia all’erta e si organizzi per sopportare il danno. Se la situazione regge, il bambino deve continuamente mettere alla prova l’ambiente per verificare se è capace di tollerare l’aggressione, di prevenire o di riparare la distruzione, di sopportare il danno, di riconoscere l’elemento positivo della tendenza antisociale, di procurare e salvaguardare l’oggetto che bisogna cercare e trovare. In caso favorevole, (…), le condizioni propizie possono con il tempo permettere al bambino di trovare e amare una persona, invece che continuare a cercare. Nello stadio successivo il bambino deve essere in grado di provare, in un rapporto, la disperazione e non più soltanto la speranza. E’ al di là di questo stadio che si trova una vera e propria possibilità di vita per il bambino.” (p. 164).

    „Es spürt, dass Rücksichtslosigkeit sich in ihm breit macht, und deshalb versetzt es seine unmittelbare Umgebung in Aufruhr, um sie vor der Gefahr zu warnen und dazu zu bringen, sich auf die Provokation einzustellen. Wenn die Situation standhält, so muss die Umwelt immer wieder daraufhin getestet werden, ob sie die Fähigkeit hat, die Aggression auszuhalten, die Zerstörung zu verhindern oder zu reparieren, die Störung zu ertragen, die positiven Elemente in der antisozialen Tendenz zu erkennen und ein Objekt zur Verfügung zu stellen und zu schützen, das gesucht und gefunden werden kann. In günstigen Fällen, (…), können die günstigen Bedingungen dem Kind im Lauf der Zeit dazu verhelfen, einen Menschen zu finden und zu lieben, statt die Suche dadurch fortzusetzen. Im nächsten Stadium benötigt das Kind die Fähigkeit, in einer Beziehung auch Verzweiflung zu erleben, nicht nur Hoffnung. Erst dann kann das Kind wirklich leben“ (SS. 169-170).

    Dunque, il nostro bambino non vive ancora appieno. E’ alla ricerca del suo oggetto salvifico e vive momenti di speranza. Ha bisogno di una terapia che lo conduca attraverso tutti gli stadi appena descritti.

    La scuola come ambiente accogliente assume qui un ruolo di grandissima importanza:

    “E’ la stabilità fornita dal nuovo apporto ambientale che ha valore terapeutico. (…) E’ l’ambiente che deve offrire una nuova occasione alle relazioni dell’Io [del bambino]” (pp. 165-166).

    „Es ist die Stabilität der neuen Versorgung durch die Umwelt, die die therapeutische Wirkung ausmacht. (…) Es ist die Umwelt, die eine Möglichkeit für den Kontakt mit dem Ich [des Kindes] bereitstellen muss“ (SS. 170-171).

    Questi paragrafi ci riportano a una profonda e non facile verità: l’aggressività, le provocazioni, che pongono un serio problema di controllo alle insegnanti, sono quasi sempre 

    la drammatizzazione di una realtà interna troppo cattiva per essere tollerata come tale (p. 112).” 

    „ein In-Szene-Setzen der inneren Realität, die zu schlimm ist, um ertragen werden zu können“ (S. 119). 

     Sono manifestazioni di speranza: l’aspettativa che, con l’aiuto di un ambiente sano (quale la scuola), questa realtà interna possa cambiare. 

    “Il bambino non ha ancora imparato a sopportare e ad affrontare gli istinti. Egli può giungere a governare queste cose, e tanto più se l’ambiente è stabile e personale” (p. 146).

    “Das Kind hat noch nicht gelernt, seine Triebe zu tolerieren und mit ihnen umzugehen. Mit all dem – und mit noch mehr – kann es fertig werden, wenn seine Umgebung ihm stabile und persönliche Beziehungen zu Verfügung stellt” (S. 151).

    Questo è il tipo di e-ducazione che i bambini come il nostro cercano e si aspettano: ci sbattono in faccia in tutti i modi il loro desiderio di essere condotti fuori (e-dotti, e-ducati) dalla loro insopportabile realtà.

    “Nel trattamento di bambini con tendenza antisociale è di vitale importanza comprendere che l’atto antisociale è una manifestazione di speranza. Troppe volte si vede questo momento di speranza andare perso o sciupato per un’errata conduzione del caso o per intolleranza. (…) La terapia adatta alla tendenza antisociale è un trattamento che va incontro a questo momento di speranza, e lo accompagna (pp. 156-157)”. 

    “In der Behandlung von Kindern mit antisozialer Tendenz ist das Verständnis dafür, dass die antisoziale Tat ein Ausdruck von Hoffnung ist, entscheidend. Immer und immer wieder erlebt man, wie der Augenblick der Hoffnung zunichte gemacht wird oder ungenutzt verstreicht, weil man falsch oder intolerant reagiert. (…) Die richtige Behandlung der antisozialen Tendenz ist, angemessene Betreuung und das Erkennen und Nutzen der Momente, in denen Hoffnung aufkommt” (S. 162). 

    Ciò significa com-patire nel senso di condividere la sofferenza, accompagnare il bambino fino nel profondo della suo sé interiore, per poterlo veramente e-ducare, e-ducere, tirare fuori da quella situazione dolorosa. 

    La scuola in cui il bambino è inserito è pronta a sostenere questo percorso, e la sua Dirigente lo ha affermato pubblicamente. L’azione dei genitori della classe “in sciopero” ha scelto invece la strada più semplice: ha chiesto di respingere il nostro bambino assieme al suo dolore e alla sua speranza: “O lui, o in nostri figli”.

    Nulla di maggiormente irresponsabile, dato che, purtroppo, il passaggio da bambino deprivato alla tendenza antisociale, fino alla vera e propria delinquenza sono facili e lineari. Ma è senz’altro possibile interrompere questa linearità agendo a livello di comunità accogliente.

    Affinché questo bambino, e gli altri come lui, possano avere un futuro, come i nostri figli.

     

     

     

     


     

    [1] Cfr.D. W. WINNICOTT, Il bambino deprivato. Le origini della tendenza antisociale, Raffaello Cortina Editore, Milano 1986 (in particolare la parte seconda: Natura e origini della tendenza antisociale, pp. 99 – 199). Auf Deutsch, D. W. WINNICOTT, Aggression. Versagen der Umwelt und antisoziale Tendenz, Klett-Cotta, Stuttgart, 1988 (in besonders Teil II: Wesen und Ursprung der antisozialen Tendenz , SS. 107-203).

    [2]https://archiv.fluechtlingsrat-bayern.de/bamberger-abschiebelager.html

     

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Christian I Do., 19.10.2023 - 14:05

Per fortuna ci sono ancora persone che pensano e che si fanno delle domande: "Cosa sta accadendo all’interno di questo bambino di 9 anni, nella sua anima..."
Grazie

Do., 19.10.2023 - 14:05 Permalink
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Peter Gasser Fr., 20.10.2023 - 08:29

Ich möchte hier auf einen wesentlichen Umstand hinweisen:
meiner Ansicht und meiner Erfahrung nach haben Lehrer („Lehrer“: sind für die ganze Klasse und primär für die Wissensbildung verantwortlich, also weder für Erziehung noch psychologische Betreuung im engeren Sinne - beides muss primär außerhalb der Schule geleistet werden) in dieser Situation nur unter mehreren Voraussetzungen eine gute Chance, den „normalen“ Lehrbetrieb in der Klasse zu bewältigen, und auch dieses Kind zu fördern und zu integrieren.
- diese Kind benötigt eine zugeteilte Integrationslehrkraft (diese darf bei Krankheit oder Urlaub anderer Lehrer nicht für deren Ersatz zweckentfremdet, also vom Kind abgezogen werden);
- diese Kind benötigt eine engmaschige psychologische Betreuung (mindestens 1 Termin pro Woche, eher mehr)
- diese Familie benötigt ebenfalls engmaschige soziale und psychologische Betreuung.

Dass Lehrkräfte im normalen Schulbetrieb diese Situation zum Wohle des Kindes und aller Kinder alleine bewältigen (ohne AUSREICHEND Integrationslehrkräfte, Sozialassistenten, Psychologen...), ist eine pure Illusion - dieses Kind (und sein Umfeld) muss über Jahre (!) psychologisch betreut werden, das schafft kein noch so engagiertes Lehrerteam eigenständig und im laufenden Schulbetrieb.

Ich sehe die nötigen Integrationslehrkräfte, Sozialassistenten und Psychologen im öffentlichen Dienst zur Bewältigung solcher Situationen leider nicht.

Fr., 20.10.2023 - 08:29 Permalink