Mai più Invisibili: storie di Hikikomori
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A seguito del grande successo per la proiezione del film “La Chiocciola”, in prima visione presso il Filmclub Capitol a Bolzano nel mese di marzo , si è sollevata l'attenzione per la tematica esplorata all'interno del film: il ritiro sociale. Un fenomeno che spesso sfugge all'attenzione pubblica, ma di cui iniziano a registrarsi numeri importanti anche sul nostro territorio. Grazie al progetto “Invisibili” dell'associazione “La Strada-Der Weg” e alla realizzazione del film “La Chiocciola”, si è iniziato a fare un po' di luce sulle esperienze di ritiro sociale che molti/e giovani vivono nella loro quotidianità. Ce ne parla Alberto Malfatti, psicologo-psicoterapeuta-musicoterapeuta e coordinatore del progetto “Invisibili” de “LaStrada-derWeg”.
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SALTO: Come nasce l’idea del progetto e a chi è rivolto ?
Alberto Malfatti: Il progetto Invisibili nasce più di dieci anni fa da un’intuizione di Claudio Ansaloni, uno dei responsabili di Area dell’Associazione “LaStrada-derWeg”. Esistevano varie situazioni di difficile presa in carico dove non c’era una diagnosi certa, chiara, in grado di attivare le giuste risorse. Ma non solo, in altri casi i Servizi allora esistenti sul territorio non riuscivano a trovare la giusta modalità per arrivare ai/lle giovani per proporre percorsi utili e formativi. Erano pochi e rari casi di giovani disorientati, disillusi e poco inclini ad essere avvicinati dalle istituzioni, tutti comunque con varie forme di compromissioni sociale. Durante il Covid – continua il dottor Malfatti - Claudio ed io abbiamo ragionato sulla possibilità di specializzare questo progetto verso il fenomeno sempre più emergente del ritiro sociale, i cosiddetti Hikikomori, ragazzi/e che si isolano e si autorecludono nella propria abitazione. Questo perché in quel periodo tantissimi/e di loro, che già prima del Lockdown facevano una gran fatica ad uscire di casa, alle prime riaperture manifestavano forme importanti di ansia, paura, angoscia e poca fiducia verso il futuro e/o la società in generale. Infatti, il progetto si rivolge proprio ad adolescenti e pre-adolescenti con varie forme di compromissione socio-relazione e si pone l’obiettivo di attivare il lavoro di rete sul territorio, il potenziamento di risorse sia interne ed esterne all’individuo, e che tutto questo possa essere in grado poi di favorire una riabilitazione pro-sociale e graduale. Vengono perciò creati dei progetti ad hoc per varie situazioni-limite che possano accompagnare il/la giovane nelle varie fasi e nei vari ambiti, sia su un piano terapeutico-riabilitativo, che su quello educativo. In questi anni abbiamo creato un team multidisciplinare in grado di andare a casa delle utenze e, con la giusta sensibilità, portare il/la giovane fuori da sé e dalla propria casa verso una risocializzazione graduale.
Come si manifesta questo tipo di problematica e quali sono i segnali a cui prestare attenzione?
Il termine “Hikikomori” è nato in Giappone e significa “stare in disparte”. Il ritiro sociale è una sindrome nuova, individuata in Italia non più di quindici anni fa e rappresenta uno stile adolescenziale nuovo che consiste nel sottrarre il proprio corpo alle relazioni. In pratica, questi ragazzi non vanno più a scuola, non frequentano amici, non frequentano persone dell’altro sesso e si rinchiudono sempre di più nella loro stanza, arrivando nei casi più gravi, a rifiutare anche i contatti con i propri famigliari. Spesso arrivano ad invertire il ritmo circadiano tra giorno e notte e quindi se ne stanno svegli di notte e dormono di giorno. Quando sono rinchiusi fanno diverse cose per passare il tempo (sia in internet ma non solo), tutte attività che comunque preferiscono al contatto umano. I primi segnali a cui fare particolare attenzione a casa sono: la fatica di mantenere impegni (scolastici o extrascolastici), a mantenere amicizie e incontri relazionali, preoccupazione e ansia ad andare a scuola (anche con sintomi somatici), aumento importante di attività solitarie, isolarsi in casa con la fatica di esprimere il proprio stato d’animo e i propri pensieri, saltare i pasti o modificare il ritmo sonno-veglia. A scuola invece possono presentarsi improvvisamente o maggiormente come: introversi, silenziosi, disinteressati, manifestare disagio ad esporsi in situazioni di gruppo, evitare situazioni di aggregazione (gite, pause, ecc.), tendenza ad isolarsi in momenti di socializzazione, aumento di assenze strategiche. Inoltre, essere vittime di prese in giro o di vero e proprio bullismo, aumentano in maniera considerevole la probabilità al possibile ritiro sociale come soluzione per attenuare la sofferenza psicologica.
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Dal punto di vista dei numeri e delle statistiche, come è la situazione nel nostro territorio riguardo ragazzi/e che manifestano questo tipo di problematica?
Nel 2021 l’associazione LaStrada-derWeg, in collaborazione con il CRAIS (coordinamento strutture socio-pedagogiche della provincia di Bolzano) e sotto la supervisione dell’università di Bolzano, ha intrapreso una ricerca qualitativa sul territorio di Bolzano intervistando professionisti, osservatori privilegiati, che sono in contatto con questa realtà del ritiro sociale (scuola in primis, servizi di psicologia/psicoterapia, neuropsichiatria infantile, consultori,...). Da questa ricerca sono emersi elementi importanti per capire meglio il fenomeno, ma allo stesso tempo la difficoltà nel dare un numero realistico di quanti casi di ritiro sociale potessero esserci sul nostro territorio. Ci sono stime che parlano di 800/1000 possibili casi in Provincia di Bolzano, ma non è un numero facile da interpretare perché non tutti sono concordi sulla definizione che si può dare di “ritiro sociale”. Per questo è diventato sempre più importante fare informazione e sensibilizzazione su questa tematica, che comunque è indubbiamente in una fase di crescita anche sul nostro territorio – sottolinea il Dottor Malfatti - Un altro aspetto importante è quello della prevenzione che diventa fondamentale per poter anticipare un ritiro vero e proprio, provando ad aiutare la persona nella prima fase della sintomatologia e diminuendo così la pressione sui servizi sanitari. Un ultimo aspetto emerso da questa ricerca riguarda la fondamentale importanza del lavoro di rete: per un problema così complesso e variegato è impensabile che qualche singolo servizio riesca a farsi carico di tutti i bisogni dell’utenza che spesso sono medici, psicologici ed educativi. Ogni istituzione può però fornire aiuti specialistici in fasi diverse del percorso di benessere, che purtroppo in questi casi è anche piuttosto lungo.
Come è nata l’idea di collaborare per la realizzazione del film “La Chiocciola”? Come è stato accolto in sala?
Tra le iniziative di sensibilizzazione del progetto “Invisibili” ve ne è stata una in particolare che ha riscosso particolare successo ed interesse: abbiamo gestito alcune performance all’interno del Cubo Garutti in collaborazione con la fondazione Museion di Bolzano. Dalla pubblicizzazione di queste iniziative, la casa di produzione di film “35 millimetri” ci ha contattati per iniziare una collaborazione di consulenza che riguardava la nostra esperienza con questo tipo di utenza. La mia consulenza clinica e specialistica ha permesso al regista, Roberto Gasparro, di entrare maggiormente in questa tematica e poter sviluppare una rappresentazione credibile, coerente e scientificamente validata di questo fenomeno ancora troppo poco conosciuto. Il film è stato girato sulla base di queste nostre osservazioni e la nostra esperienze sul campo è servita anche ad attori e attrici per immedesimarsi nella parte. Il film ha riscosso un buonissimo successo in sala, superando attualmente le 200 proiezioni in tutta Italia, mentre a Bolzano abbiamo registrato il tutto esaurito. Nella serata del 6 marzo di cui abbiamo curato l'organizzazione, hanno partecipato esponenti di diverse cariche istituzionali e sanitarie e, soprattutto, famiglie di ragazzi/e in ritiro sociale. Il film ha vinto anche nel Dicembre 2023 il premio della critica al festival internazionale del film di Salerno.
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Il Film
Torino. Vittoria, 15 anni, è chiusa nella sua stanza da trentatré giorni. Ha interrotto ogni contatto con il mondo esterno e trascorre tutte le sue giornate lì dentro. La madre Stefania, imprenditrice di successo nel mondo della moda, non sa darsi pace e ormai non sa più cosa inventarsi quando un suo insegnante le telefona per sapere perché la ragazza non va più a scuola. I rapporti con la figlia sono inesistenti, soprattutto da quando il padre se ne è andato via di casa. Nei suoi confronti è spesso stata ingombrante: l'ha iscritta a esclusivi corsi di nuoto agonistico e tennis e le ha fatto fare dei video per la sua società.
L'unica persona di cui la ragazza si fida è suo nonno Francesco, un botanico che vive isolato nella natura a Cuccaro Vetere (un paesino del Cilento) impegnato nella difesa della biodiversità che ha trascorso molto tempo nella tribù dei Nativi Americani da cui ha preso come modello alcune delle loro tecniche dell'agricoltura. L'uomo cerca di mettersi in contatto con la nipote in ogni modo. Non riceve però più nessuna risposta alle sue lettere e così decide di raggiungerla a Torino per portarla via con sé. -
Dottor Malfatti, potrebbe fornire alcuni consigli per le famiglie che si trovano in questa situazione con i/le propri/e figli/e? C’è un modo per prevenire questo fenomeno ?
Ai genitori che sperimentano questa situazione possiamo solo dire di riconoscere la sofferenza del/la proprio/a figlio/a e di lasciarsi aiutare. Solo attraverso l’aiuto di professionisti ed educatori c’è la possibilità di fare passi avanti e non permettere che la condizione psicologica diventi ancora più critica. I genitori sono i primi ad accorgersi dei segnali, a riconoscerli e quindi a cercare aiuto. Solo però se non si bloccano di fronte al sentimento della vergogna. Sui social network o nel sito del LaStrada-derWeg, possono trovare tutti i nostri riferimenti di contatto.