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Relazioni Visibili

L’arte come linguaggio della connessione. Un'intervista con Adriana Ghimp.
Adriana Ghimp
Foto: Tiberio Sorvillo
  • Adriana Ghimp, nata nel 1996 a Chișinău (Moldavia), è un’artista multidisciplinare che contribuisce attivamente alla vita culturale dell’Alto Adige e del Trentino. Nel 2020 ha conseguito la laurea in arti visive nella classe di Massimo Bartolini presso la Libera Università di Bolzano. Da allora, la sua pratica artistica si concentra sulla relazione tra materia fisica, suono ed emozione, che esplora attraverso metodi sperimentali e un forte focus sul corpo, tramite performance, suono e video. Un aspetto centrale del lavoro di Adriana Ghimp è la relazione e la dimensione comunitaria. Queste emergono sia nei temi delle sue opere sia nei contesti collettivi e interattivi in cui esse prendono forma. Ghimp è fondatrice dei collettivi “Sidewalk Trento” e “Sidewalk Bolzano” e partecipa attivamente a progetti collaborativi come il Trigger Collective e il progetto artistico Le Fate a Trento. Attualmente fa parte del consiglio direttivo della Biennale SMACH delle Dolomiti, dove promuove l’arte in dialogo con il territorio. Dal 2025 lavora inoltre come assistente curatoriale presso Kunst Meran. 


    SALTO ARTSTORE: Adriana, hai studiato a Bolzano con Massimo Bartolini. Cosa ti ha ispirato nel suo corso e cosa ti sei portata via da quell’esperienza?

    Adriana Ghimp: È la seconda volta che ci provo, e forse il modo migliore per rispondere è raccontare un aneddoto che lo faccia in modo implicito.

    Oggi sono stata al lago. Oltre a cibo, birre e coperte, ho portato dei pezzi di legno di recupero insieme ad alcuni attrezzi per lavorarli, pennarelli e gessetti.

    Alcuni giorni fa, mentre sperimentavo con dei microfoni a contatto e cercavo di fare rumore con oggetti random, mi sono caduti sott’occhio dei listelli di legno rettangolari e lisci che posavano sul mio davanzale. Li avevo recuperati da un mucchio di immondizia edile, proveniente dai lavori di ristrutturazione nel museo dove lavoro. Passo dei giorni a provare diversi oggetti e i listelli sto pensando di portali in Francia e usarli durante il prossimo concerto, che sarà a breve.

    Li ho portati anche al lago, dove avevo organizzato un picnic. Ho raccontato la loro storia alle mie amicə mentre tiravo fuori gli attrezzi, e loro hanno iniziato subito a intagliarli e modificarli. Mentre li guardavo, ho pensato che era proprio come facevo da bambina, con gli scarti di legno nel piccolo laboratorio di falegnameria di mio nonno.

    Un secondo pensiero è andato a uno dei primi assignment del corso di Massimo Bartolini, insieme a Luca Trevisani: costruire uno strumento. Ricordo che andai in falegnameria con alcune amiche a cercare pezzi di scarto. 

    Quegli oggetti sono ancora nella mia stanza. Uno è un blocco di abete inciso con la sega circolare: le strisce, di diverso spessore, producono suoni differenti se percosse o sfiorate. L’altro è un pezzo più lungo, tagliato al laser, che riproduce l’onda sonora di una scala di Do maggiore suonata al pianoforte — l’unica cosa che non dimenticherò mai delle mie lezioni di pianoforte.

     

    Cosa ti ha spinto a fondare i collettivi “Sidewalk Trento” e “Sidewalk Bolzano”? Come si sono evoluti nel tempo?

    Nel 2018 sono stata coinvolta nell'organizzazione dei primi eventi di Sidewalk Trento. Il collettivo nasceva da un'idea di Nicole Fersko, appena tornata da Parigi, dove aveva trascorso l’anno precedente. A Parigi, Nicole incontrò la sua amica Maysan Nasser, che la invitò a una serata open mic organizzata da Paris Lit Up, una comunità artistica transnazionale.

    Nicole mi raccontò che quella sera aveva trovato uno spazio in cui si sentiva a suo agio, poteva incontrare nuove persone e, ogni tanto, leggere qualche sua poesia che fino ad allora non aveva mai condiviso. 

    Al suo ritorno a Trento, Nicole desiderava ricreare uno spazio che celebra la diversità e cura spazi in cui persone di ogni genere, orientamento sessuale, età, etnia, credo, abilità e aspetto fisico si sentono accolte, rispettate e al sicuro.

    Nel novembre del 2017, Maysan Nasser aveva lanciato un’iniziativa gemella a Beirut, la sua città natale, chiamata Sidewalk Beirut, con l’intento di offrire alla sua comunità uno spazio stabile e affidabile per l’espressione personale. La sua iniziativa generò un effetto domino, dando vita a molte altre comunità Sidewalk, l’ultima delle quali è Sidewalk Cairo, recentemente inaugurata.

    Quando Nicole mi disse che stava organizzando il primo evento a Trento, mi sentii subito coinvolta. Rimasi colpita e ispirata dalla possibilità di creare uno spazio per l'espressione libera in tutte le sue forme.

    Attraverso gli eventi che abbiamo organizzato, Sidewalk è diventato un terreno fertile per nuove collaborazioni tra persone che praticano forme di espressione molto diverse tra loro. Man mano che Sidewalk Trento trovava sempre più case in città, divenne evidente che doveva nascere anche a Bolzano, dove vivevo all’epoca. Soprattutto perché ero circondata da persone con cui mi sentivo di poter costruire qualcosa di prezioso.

    Così, nel 2019, nasceva anche Sidewalk Bolzano. Da allora molte cose sono cambiate, e soprattutto è cambiato il contesto. All’epoca eravamo immerse nell’ambiente universitario ed eravamo molto legate alla città. Sentivamo un forte bisogno di spazi di contaminazione ed espressione.

    Oggi il collettivo ha attraversato diverse “costellazioni” e si trova in una fase in cui quella attuale si sta ridefinendo. Parallelamente, sto portando avanti molti altri progetti e, per vari motivi, non sono più così presente nella città di Bolzano. Anche per questo sentiamo il bisogno di lasciare spazio a nuove energie. C’è il desiderio profondo di trasmettere ciò che abbiamo costruito finora, accogliere nuove idee, visioni e sensibilità, e favorire nuove contaminazioni.

     

    Lavori spesso in contesti collettivi e comunitari: come cambia per te il processo creativo quando è condiviso?

    Penso che ci sia una sorta di magia che si attiva quando il processo creativo viene condiviso. Anche quando è ancora allo stadio di pensiero, parola o racconto, il solo fatto di portarlo fuori da sé lo rende più reale, più tangibile. E proprio perché diventa tangibile, diventa anche modellabile, aperto, suscettibile alle sensibilità altrui — e continua a mutare.

    Se prima il processo cambiava all’interno di un solo individuo, dopo la condivisione si espande in modo esponenziale, perché le persone iniziano a entrarci in relazione, a risuonare, a trasformarlo con il proprio vissuto e il proprio immaginario.

    Per me, personalmente, quando il processo è condiviso è anche più gioioso. Inserisco qui una citazione che mi è capitata sotto mano oggi: There is nothing more intimate in life than simply being understood. 

    C’è qualcosa di profondamente toccante nell’essere davvero accolti, nel sentire che il senso di ciò che stai dicendo viene compreso. Poi, attraverso la molteplicità di soggettività, il pensiero si sviluppa in modo rizomatico — si espande, si dirama — e a volte si intreccia di nuovo con il tuo e ti accorgi che sei vista, e che anche tu riesci a vedere gli altri in profondità.

    E’ molto importante per me ciò che nasce da questi contesti: reti di affetti, supporto, la possibilità di  imparare l’unə dall’altrə. A livello più pratico e anche più politico, lavorare in contesti collettivi vuol dire avere accesso anche a più saperi, strumenti e risorse. Poi quando succede che un pensiero, un approccio, un intuizione, un tema ecc. è condiviso questo viene inevitabilmente amplificato.


    Sei molto attiva nella scena culturale dell’Alto Adige e del Trentino. Percepisci delle differenze tra queste due regioni? Qual è la tua visione per questi territori – come ti piacerebbe viverli e contribuire a plasmarli?

    Le differenze si percepiscono molto, certo. Forse è anche per questo che sono attiva in entrambe le regioni.

    A Trento vivo una dimensione più intima, sia nei rapporti con le persone sia nella mia pratica artistica. Trento è casa: c’è il mio studio, le amicizie più strette, la sala prove, lo skatepark… È una città fatta di pochi spazi, piccoli e preziosi, spesso autogestiti, costruiti con cura  e fatica da chi li vive. Quando li frequento, sono circondata da amichə, ed è tutto molto orizzontale, spontaneo. Le cose succedono perché c’è un’urgenza, e allora ci si mette il cuore, il tempo, le proprie capacità per farle accadere, con gli strumenti che abbiamo, senza molti fondi né strutture pubbliche.

    Bolzano e l’Alto Adige, invece, rappresentano per me una dimensione più legata al lavoro, in senso professionale. È iniziato tutto durante i miei anni di studio, poi si è evoluto. Le realtà con cui collaboro sono più strutturate, pubblicamente riconosciute. C’è più continuità, più strumenti. Ma anche regole più rigide, tempi più lunghi, un certo linguaggio da decifrare per poter accedere e partecipare. È un contesto che mi ha permesso di crescere come professionista, ma anche di confrontarmi con i limiti della cultura ufficiale, con le sue logiche spesso escludenti. 

    Mi muovo tra queste due realtà come tra due polarità complementari: una più viscerale, istintiva, legata al bisogno e alla complicità; l’altra alla progettualità, al lavoro con le istituzioni.

    In generale, vorrei che ci fossero più spazi che nascono dal basso e che vengano riconosciuti, senza dover sempre rincorrere legittimazioni. Allo stesso tempo, credo serva uno sguardo più attento anche da parte delle istituzioni: un lavoro di cura verso chi crea e vive gli spazi, anche attraverso contaminazioni con luoghi lontani.

     

    Nella tua pratica artistica esplori le relazioni umane. Potresti raccontarmi di più? Ti riferisci soprattutto alle relazioni interpersonali, oppure anche a quelle che intratteniamo con luoghi, spazi o ricordi?

    Ogni essere e ogni cosa, ogni sostanza organica possiede dei trasmettitori e dei ricevitori — alcuni di questi li riconosciamo, altri agiscono sotto la soglia della nostra consapevolezza. 

    Quando parlo di relazioni, lo faccio dal punto di vista di una soggettività dotata di ricevitori: una realtà porosa, in continua trasformazione. Mi riferisco alle relazioni tra persone e ancora più spesso alle relazioni delle persone con la materia. 

    Con materia intendo qualsiasi sostanza, organica o inorganica, che entra in contatto con noi, che attraversiamo o da cui siamo attraversatə, questa può essere anche un’immagine o un ricordo. Anche se non sempre riconosciamo in essa dei trasmettitori attivi, siamo noi a proiettarvi significati, a creare senso a partire da quel contatto.

    Mi affascina questo scambio incessante, spesso invisibile ma costante. Accade anche se non lo vogliamo, anche se cerchiamo di schermarci: siamo sempre in relazione. Sempre attraversatə, sempre modificate da ciò che ci circonda. 

    Adoro osservare come si plasmano le relazioni, provare a decifrarle, a intuire l’informazione che si muove tra i corpi, e che esiste nello spazio condiviso.

    Scelgo di parlare soprattutto di relazioni umane perché è da lì che parte la mia esperienza, il mio sentire. Ma credo anche che tutto abbia, o sia, una forma di soggettività, e che quindi tutto entri in relazione.

     

    Sul SALTO Artstore è possibile acquistare la tua opera Untitled 5 della serie Conjured Rhythms. Cosa vorresti raccontare alla futura acquirente o al futuro acquirente di questo lavoro? C’è qualcosa che per te è particolarmente importante in quest’opera?

    Untitled 5 è una traccia visiva di un processo che coinvolge il corpo, il suono e la materia in una dinamica costante. È il risultato di una relazione tra gesti, percezioni e suoni che si influenzano reciprocamente. In particolare, quest’opera è legata a una sessione in cui l’ascolto del suono – anche quello generato dai miei stessi movimenti – ha guidato l’andamento della composizione.

    L’opera fa parte della serie Conjured Rhythms, un ciclo di lavori nati da pratiche performative in cui il disegno diventa parte di un sistema di feedback continuo tra corpo, spazio e suono. Durante queste sessioni, il mio corpo si muove nello spazio lasciando tracce guidate sia da impulsi interni che da stimoli esterni, in particolare sonori. Alcuni suoni sono generati direttamente dal contatto tra corpo, strumenti e superfici; e in alcune sessioni vengono anche modulati, registrati, rielaborati.

    Questa pratica mi accompagna da tempo ed è diventata per me uno spazio di ascolto e trasformazione. Un momento particolarmente significativo è stato quando ho proposto questo processo come laboratorio in una scuola primaria, condividendo il disegno come pratica quotidiana, simile alla meditazione o al journaling. In quell'occasione è nata anche una traccia sonora, registrazione di una jam session disegnata e suonata, che si può ascoltare qui:
     https://soundcloud.com/adrianaghimp/workshop-disegno-sonoro-centrale-fies

    Questo laboratorio ha approfondito le connessioni tra percezione uditiva, espressione corporea e segno grafico. Abbiamo esplorato come ogni gesto, ogni frizione tra strumento e superficie, generi un suono e come questi suoni possano trasformarsi in ritmo, in melodia, in relazione. I movimenti diventano una forma di scrittura sonora, e la superficie di disegno un territorio sensibile in cui si sedimentano emozioni, impulsi, pause e intensità.

    Per me, Untitled 5 porta con sé tutto questo: è la traccia tangibile di un'esperienza effimera, ma profondamente incarnata. Chi la acquista entra in relazione con un'opera che è parte di una pratica organica, che non nasce in studio, ma nel gesto, nel movimento, nell’ascolto attivo del mondo. È un’opera che per me continua a risuonare.

  • Untitled 5: Installation view, courtesy of Galleria Doris Ghetta Foto: Tiberio Sorvillo
  • Scheda dell'opera

    Artista: Adriana Ghimp
    Titolo: Untitled 5
    Materiale: pastello a cera, grafite, inchiostro, pennarello su carta, plexiglass, cavi d'acciaio
    Dimensioni: 46 x 38 cm
    Anno: 2024
    Edizione: pezzo unico
    Prezzo: 900€
    Crediti fotografici: Tiberio Sorvillo

  • SALTO ha realizzato tramite questa galleria digitale uno spazio speciale dedicato alle artiste e agli artisti della Zona Euregio-Tirolo.
    Le opere d’arte vengono presentate in via esclusiva sull’Artstore di SALTO

    Artstore è un progetto sviluppato dall'associazione culturale BAU. Quest'anno la curatela è nelle mani di Eau&Gaz, un programma di residenza per artisti, curatori e altri operatori del settore culturale. Dal 2022 organizza anche il programma culturale e didattico a Castel Gandegg ad Appiano. Per l'Artstore, il team di Eau&Gaz ha deciso di presentare posizioni artistiche che si possono trovare nelle mostre altoatesine di quest'anno. Eau&Gaz è curata da Kathrin e Sarah Oberrauch e da Johannes Nowak.

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