Insegnare a Unibz
Francesco Ricci ha vinto il "Best Teacher Award 2012" della facoltà di informatica e basta parlargli cinque minuti per capire che non è un caso. Perché si percepisce immediatamente il suo interesse per la trasmissione della conoscenza, caratteristica che dovrebbe essere tipica di ogni docente universitario, ma che troppo spesso viene oscurata da altri impegni: pubblicazioni, convegni o burocrazia. Ma non si pensi che Ricci sia il tipico "insegnante di una volta" anzi è ben attento a cogliere i cambiamenti nei suoi studenti e a trovare nuove metodologie per coinvolgerli, per questo abbiamo chiesto a lui di raccontarci com'è insegnare in una università come quella di Bolzano, piccola, trilingue e, a dire il vero, anche un po' troppo “comoda”. "In effetti – precisa Ricci - dover fare lezione al massimo a trenta studenti alla volta ha i suoi vantaggi ma anche alcuni svantaggi ma l'Università di Bolzano".
D'accordo, ma partiamo dai vantaggi
"Intanto, il numero esiguo di studenti permette un contatto diretto con loro e consente un collegamento molto forte tra didattica e attività di ricerca, ma mi permette anche di miscelare al meglio lezione teorica ed esercitazioni, con il vantaggio di tenere alta l'attenzione e verificare in tempi rapidi l'apprendimento".
Crede che la facoltà di informatica abbia caratteristiche particolari rispetto alle altre facoltà di Unibz?
"Non conosco bene le altre situazioni, ma è vero che ad informatica vi è una notevole diversificazione del corpo docente: c'è chi ha un curriculum tradizionale ma anche chi viene da esperienze industriali. Questo credo sia un vantaggio sia per la teoria che per l'applicazione, poi abbiamo docenti che vengono da diverse parti del mondo, il preside finlandese ma anche colleghi cinesi, tedeschi. Infine, il personale docente è mediamente giovane e questo permette di mettere in campo ottime energie e disponibilità"
Passiamo agli svantaggi...
"La vicinanza tra docente e studente, per esempio, fa sì che alcuni studenti si credano i pupilli dell'istituzione, che l'ateneo giri intorno a loro. Ora. chiaramente l'università è a misura di studente, ma allo scopo di trasferirgli molteplici competenze, non solo quelle che lo studente ritiene più importanti".
Il classico rovescio della medaglia, ci sono altri esempi?
"Sì, i nostri studenti trovano lavoro con grande facilità, alcuni lavorano già e quindi sono meno interessati a certi aspetti dell'insegnamento e questo può trasformarsi in un atteggiamento negativo. Capitano anche studenti che pensano di sapere meglio del docente cosa è richiesto dal mercato del lavoro, alcuni faticano a comprendere che non è sufficiente risolvere piccoli problemi o saper lavorare a piccoli progetti, serve anche la capacità di lavorare con costanza a progetti pluriennali e un apprendimento tale da risolvere anche i problemi più complessi".
Strana metamorfosi, fino a qualche anno fa i docenti erano contestati perché accusati di creare banali strumenti del mercato del lavoro. Ora vi si accusa di non farlo a sufficienza.
"Durante le mie lezioni cerco di stimolare lo spirito critico, credo che sia la parte più interessante, ma questo richiede da parte dello studente una partecipazione ed una volontà particolari. C'è chi, invece, preferisce imparare rapidamente le soluzioni dei singoli problemi".
Internet spinge a trovare soluzioni facili e rapide, ma senza spirito critico si rischiano cantonate...
"E' vero, il programmatore spesso fa prima a trovare la soluzione in rete piuttosto che attivarsi per risolvere da solo il problema. Così si privilegiano le soluzioni di qualcun altro e se ci si abitua non si combina molto. Gli studenti dovrebbe comprendere cosa c'è dietro alla soluzione, devono capire come si fa. Lo spirito critico non può che basarsi sulle competenze maturate in anni di conoscenza".
Perché non tutti i suoi colleghi sembrano mostrare la sua stessa attenzione alla parte didattica?
"Essenzialmente perché non viene valutata dal sistema accademico. Anche ora con i concorsi per l'abilitazione nazionale gli indicatori per la qualità del docente sono basati sulla produzione scientifica e l'attività di ricerca. La qualità didattica e la capacità di innovare non vengono presi in considerazione. Se un docente lo fa è per suoi motivi personali".
Per chiudere, come giudica il trilinguismo, croce e delizia di Unibz? Richiedere che i docenti siano in grado di insegnare in tre lingue non è un'utopia? Ma soprattutto non è inutile?
“Io credo che non sia ragionevole chiedere ad un docente di insegnare in tre lingue, sarebbe già un ottimo risultato che tutti i professori sapessero trasmettere in maniera efficace conoscenza nella propria lingua ed in inglese. Quello che forse e’ più controverso e delicato è il bilanciamento delle competenze linguistiche nel corpo docente. Su questo, sono categorico, non dobbiamo correre il rischio di fare selezione dei docenti sulle base delle conoscenze linguistiche. Sopratutto rispetto ai giovani ricercatori che subiscono già uno stress notevole perché dopo il dottorato devono produrre il massimo, ovvero pubblicazioni scientifiche e progetti, su cui vengono valutati dalla comunità scientifica e non hanno molto tempo da dedicare allo studio di una terza lingua che comunque faticherebbero a praticare. Certo per gli studenti uscire dall'Università sapendo tre lingue è un grosso vantaggio, tuttavia la competizione tra le università e’ oggi in chiave europea e non e’ certo pensabile focalizzarsi sul solo limitato bacino di utenza territoriale. Quindi, per competere al pari con gli altri non abbiamo altra scelta che applicare le regole delle altre università, che si limitano a richiedere all’ammissione un'ottima conoscenza dell’inglese e a sviluppare le altre lingue durante il corso di studio”.