Il sabato del silenzio
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La chiamarono “giornata del silenzio”. Per descrivere le 24 ore che precedevano l’apertura dei seggi elettorali i giornalisti, innamorati come sempre dei clichés, parlavano quasi sempre di “pausa di riflessione”.
In realtà il divieto di tenere manifestazioni elettorali nell’immediata vigilia del voto si afferma, nel dopoguerra, con motivazioni che riguardano soprattutto l’ordine pubblico.
Si pensi, ad esempio, all’infuocata campagna per le politiche dell’aprile 1948, quelle della scelta fatale tra la Democrazia Cristiana e il Fronte socialcomunista. Una battaglia politica combattuta soprattutto nelle piazze, a suon di comizi che non di rado vedevano tra la folla la presenza di attivisti della parte avversa a quella di chi parlava dal podio. Gli oratori venivano interrotti con il famoso contraddittorio, scoppiavano risse verbali che avevano la tendenza, non di rado, a sfociare anche in qualche ruvido confronto fisico.
Gli animi erano surriscaldati e si pensò bene di imporre il limite di questo giorno del silenzio per evitare che lo scontro tracimasse sin sulla soglia delle sezioni dove gli elettori sarebbero andati a deporre nell’urna il loro voto. La misura sortì l’effetto sperato ed entrò a far parte stabile della liturgia elettorale italiana.
Erano gli anni nei quali la comunicazione politica passava sostanzialmente attraverso le manifestazioni pubbliche di cui si è detto, la tendenza a tappezzare città e paesi con una quantità di manifesti assolutamente sovrabbondante, la distribuzione di volantini ed altro materiale di propaganda. Anni nei quali l’orientamento degli elettori passava in buona sostanza quasi unicamente attraverso la lettura dei giornali, di partito o più o meno indipendenti.
Da allora sono passati tre quarti di secolo e il mondo, anche quello che ruota attorno al rito elettorale del nostro paese, è abbastanza cambiato. Gli strumenti di comunicazione si sono moltiplicati e l’avvento della rete, nelle sue varie articolazioni ha finito per creare un sistema parallelo a quello tradizionale nel quale le regole e le pause non sembrano aver più soverchio significato.
Ricordo, mi si perdoni la citazione personale, la cura con la quale, assieme ai colleghi della Rai, ci imponevamo di mandare in onda il riassunto delle manifestazioni elettorali di chiusura entro la mezzanotte del venerdì, evitando in ogni modo che i servizi potessero essere replicati il giorno successivo. Oggi ogni telegiornale o giornale radio entra di diritto a far parte di un archivio liberamente consultabile in ogni modo e ogni momento.
Resta il divieto delle manifestazioni pubbliche che comunque, come ha dimostrato anche questa campagna elettorale per le provinciali altoatesine, non sono più il core business delle strategie di partiti e movimenti.
La pausa dunque si è liquefatta nel nuovo sistema dei media. Resta, o almeno così si spera, il tempo della riflessione.