Cosa vuole dire essere donna?
Sarà l’emozione, sarà un po’ il timore di non riuscire ad essere all’altezza del momento, quando la vedo, la saluto quasi sottotono, anche se dentro di me avrei voluto abbracciarla forte. Tanto forte.
Selay Ghaffar - i capelli neri lunghi le cadono sulle spalle e brillano come pietra preziosa - tiene in mano uno zainetto fiorito, è incinta al sesto mese. È una donna. È afghana. È portavoce di Hambastagi, il “Solidarity Party of Afghanistan”. È la speranza in persona, per molte, moltissime donne che quotidianamente, ogni dannato minuto del giorno e della notte, in Afghanistan subiscono violenza e assenza totale dei più fondamentali diritti umani.
Davanti a un pubblico di circa 40 persone, in un’atmosfera di grande emozione, Selay ci racconta della sua terra, dell’Afghanistan, di come da oltre 30 anni sia il parco giochi per le guerre delle grandi potenze del mondo. Di quanto dal 2001 ad oggi, da parco giochi si sia trasformata in cimitero di civili innocenti, a causa dei continui attentati, dei continui bombardamenti, dei continui missili lanciati da lontano e da meno lontano, delle guerre tra gruppi etnici incentivate dai più potenti signori della guerra, sostenuti dagli Stati Uniti d’America e dagli alleati NATO, perché più è instabile il paese, più loro, quei gran bugiardi, possono farne ciò che vogliono. Possono tirare le fila più o meno invisibili dei loro governi fantoccio. Possono rinnegare colpe e responsabilità, quasi fossimo all’asilo:”Non sono stato io!”, quando invece sono stati loro, siamo stati noi a continuare a infliggere ferite profonde, a mettere le dita nelle piaghe, a fare a pezzi ogni minimo spiraglio di pace. Quando l’Iran e gli Stati Uniti si scontrano, il campo di battaglia è l’Afghanistan. Quando la Russia e gli Stati Uniti lottano per il potere, il campo di battaglia è l’Afghanistan. Quando la tensione tra Stati Uniti e Cina sale, le basi americane in Afghanistan sono lì, pronte a ostentare l’autoproclamata supremazia mondiale: “occhio che se fai un passo falso, sono qui, alle porte di casa tua pronta per attaccare”.
Selay fa parte della “war-generation”, quella generazione di afghani che è nata nella guerra e che per tutta la vita, non ha conosciuto altro che la guerra. Figlia di attivisti, già da piccola, al tavolo di famiglia si discuteva di questioni politiche, di valori: la libertà, i diritti, l’emancipazione. “Per me era normale”, dice. È stata rifugiata in Pakistan e in Iran, è tornata a casa. “Sentivo, che il mio paese aveva bisogno di noi.” Quando mi parla, mi guarda dritto negli occhi, i suoi profondamente neri, di una forza difficile da spiegare; quella corazza forte e solida, schiva, a tratti timida forse, ma se ti prendi la responsabilità di voler capire cosa c’è dietro, scopri un amore profondo per la vita. Il coraggio. Così profondo, così sicuro, così privo di compromessi, da mozzartile parole.
Ora si sta parlando di dialoghi di pace con i Talebani, i più criminali e terroristi tra le parti, quando migliaia sono state le vite perse a causa loro, quando continuano ancora oggi gli attacchi omicidi e le violenze. Non può esserci pace senza giustizia. Non può esserci pace, finché non se ne va l’invasore.
“Dove vivi?”, “A Kabul.” Il figlio di cinque anni è a casa, con il marito, che la sostiene in tutto e per tutto. Quando racconta della sua famiglia, si capisce che è da lì, dalle persone a lei vicine, dalle persone che credono in lei, che prende la forza. “Mi aiuta tanto,” racconta. Femminismo significa difendere quelli che sono i valori femminili; in Europa c’è una concezione di emancipazione che invece sembra volersene privare: “Essere femminista non significa rinunciare all’essere donna, è proprio il contrario; significa prendere coscienza di ciò che vuol dire essere donna, dargli valore, tenergli fede, essere coerenti e fiere di essere ciò che siamo. La donna porta la vita, dà la vita. Non è debolezza, è forza.” Lo dice con un po’ di meraviglia, di fronte all’assenza di valori con cui, nel mondo occidentale si tende ad affrontare la questione dei diritti femminili. Cosa vuol dire essere donna? Quando i diritti fondamentali sembrano essere scontati, succede che non ci poniamo più le domande più importanti: il pericolo è la perdita di coscienza per se stessi, la perdita del rispetto per la persona, donna, uomo, bambino. E me ne rendo conto, quando ascolto le parole dirette di Selay, a tratti crude, piene di pathos e di sentimento: “Le donne in Afghanistan, vengono trattate peggio di un animale. Quando violentare una donna diventa normale, quando le botte sono il meno peggio che ti può succedere, quando le bimbe di 8 anni sono costrette in sposa a saldo dei debiti della propria famiglia, neanche fossero oggetti di valore da dare in pegno.” Quando alle donne si tagliano il naso, le orecchie, per essere uscite di casa senza il consenso di un famigliare maschio. Quando la donna viene lapidata per aver fatto l’amore. Quando a dodici anni devi partorire e non sai quale di quegli uomini, che ogni giorno entrano ed escono da casa, che ogni giorno ti violentano per fare guadagnare tuo marito, è il padre.
Le scuole femminili continuano a essere bombardate. Secondo il "world report" di HRW nel 2018 il 60% delle bambine afghane in età scolare, non frequentava una scuola. L’alfabetizzazione femminile in Afghanistan è al 16%, molto probabilmente anche meno. Private di ogni strumento di difesa, all’ombra del burqa. Quando l’unico spiraglio di libertà diventa proprio lui, il tessuto azzurro imbevuto di benzina e infuocato. Sono migliaia le donne che continuano ad immolarsi, cercando così la libertà. Quando la via di fuga dalla costante violenza, diventa la violenza su se stessa, per porre finalmente fine all’inferno in terra.
La bella notizia è che di donne coraggiose come Selay ce ne sono tante, e a sostenerle altrettanti uomini coraggiosi che credono nei valori umani della solidarietà, del rispetto, dell’amore. La bella notizia è che l’unione fa la forza e che la fiducia in un Afghanistan migliore e libero, continua a non volersi spegnere, è resiliente.
Grazie Selay, grazie a tutte coloro e tutti coloro che non accettano, si indignano e lottano per i diritti delle donne in Afghanistan e nel mondo.
*Selay Ghaffar è stata ospite d’onore alla serata di beneficenza della Costa Family Foundation, a Corvara. La Costa Family Foundation insieme a RAWA sostiene progetti di empowerment femminile in Afghanistan.
Ammiro il coraggio e la
Ammiro il coraggio e la dedizione di chi lotta per la liberazione del proprio popolo - iniziando giustamente dalle donne e soprattutto dalle bambine - dal dominio dell'ignoranza e della sottomissione ai signori della guerra e agli integralisti religiosi manovrati e foraggiati da interessi stranieri, che vedono questa terra - e molti altri territori - come un gioco di strategia geopolitica, fregandosene di vite umane massacrate ed esistenze oltre ogni limite immaginabile. Potessero esperire solo un millesimo di tutto ciò, mi sa che impazzirebbero. O forse tornerebbero alla ragione. Ma ciò non è realistico.
Purtroppo sono irraggiungibili, godono di appoggio e legittimazione da parte della nostra società tecnologicamente così all'avanguardia, ma umanamente così miope e superficiale. Ed è proprio qui che io mi incaxxo con me stesso e con gli altri quando mi accorgo quanto egoista ed ipocrita sia la nostra vita, condizionata da millenni di mala educazione.
Tutto ciò persone come Selay lo sanno, sanno capire che noi siamo limitati dalla nostra percezione distante, magari siamo colpiti e afflitti da sensi di colpa, o peggio vogliamo apparire compassionevoli, ma possiamo tornare ad una normalità che per chi vive in Afghanistan può solo sembrare paradisiaca. Penso però che sappia anche distinguere, che a qualcuno importi parecchio della sua lotta per un futuro migliore per il proprio popolo, che inizia dalle bambine. La lotta non finisce mai.
Grazie per lottare, lo state facendo anche per noi.