Donne, storie da non dimenticare
Pavanello, si avvicina la data dell’8 marzo, una domanda su tutte: abbiamo bisogno di una “Festa della donna”?
Io credo di sì, la Giornata Internazionale della Donna è un’occasione per ricordare tutti i problemi esistenti, innestati nel tessuto sociale sul fronte della parità di genere, e in generale per alzare l’attenzione su tutto ciò che c’è ancora da fare.
Ma qual è il significato oggi di una Giornata della donna, al di là della ritualità della ricorrenza, degli usi simbolici e del folclore a cui spesso viene ridotta?
Il folclore in parte neutralizza i forti messaggi che ci sono dietro questo evento, è vero. Dobbiamo ricordare che si tratta di una ricorrenza legata soprattutto al lavoro delle donne, lavoro che oggi si fa fatica non solo a trovare ma anche a qualificare. Penso ai part-time involontari, al sotto-mansionamento, al divario di retribuzione fra uomo e donna a parità di orario e di inquadramento contrattuale. Se solo pensiamo che secondo l’Onu la parità di genere si raggiungerà fra 200 anni…
Soffermiamoci dunque sull’importanza della Festa per il sindacato.
Dato che il nostro ambito è il lavoro vorrei porre l’attenzione su un punto, lo status quo: ci sono ancora imprese, per esempio, che durante i colloqui per la selezione del personale chiedono alle donne informazioni sul loro stato sentimentale o se nel prossimo futuro prevedono di avere un figlio. Con una mentalità del genere è evidente che bisogna scavare a fondo nel sostrato culturale per liberarci di questa impostazione patriarcale. La conciliazione lavoro-famiglia non può essere ancora un tema che riguarda esclusivamente le donne. I rami su cui incidere sono molti. Nella situazione data, per fare un altro esempio, non abbiamo dato un giudizio granché positivo sugli sgravi contributivi per le imprese che assumono donne, perché nella nostra esperienza questo tipo di misure non hanno generalmente il risultato sperato.
Cosa vuol dire combattere oggi a favore dei diritti delle donne?
Vuol dire armarsi di pazienza e coraggio. Gli stessi datori di lavoro dovrebbero tenere a mente che il divario di genere ogni anno fa perdere all’Italia 8 punti di Pil. Significa anche cercare di abbattere molte porte, fare rete con organizzazioni e associazioni che si occupano di diritti delle donne, parlare alle orecchie sensibili in Parlamento per portare a casa qualche provvedimento utile ad accelerare il processo verso la parità. Significa ascoltare le donne sulle loro situazioni lavorative ma anche di discriminazione (esplicita o velata), di molestie e violenza. Significa contrastare gli stereotipi di genere ancora radicati nella società, nelle aziende e nelle famiglie, e scalfire le resistenze culturali per realizzare la parità di opportunità e di diritti in diversi ambiti compreso quello dell’istruzione e della formazione. Bisogna però anche sottolineare che qualcosa si muove finalmente nella giusta direzione con le nuove generazioni.
La conciliazione lavoro-famiglia non può essere ancora un tema che riguarda esclusivamente le donne
La Cgil promuove lo spettacolo teatrale “Le Portatrici - Una Storia dimenticata” scritto e interpretato da Barbara Fingerle. Perché questo sodalizio?
Per vari motivi, innanzitutto volevamo dare continuità a un’iniziativa partita già da qualche anno per la ricorrenza dell’8 marzo, cioè quella di accendere i riflettori sui talenti delle donne in ogni campo. Un esempio è stato il video-spettacolo dell’autrice e attrice altoatesina Barbara Fingerle, intitolato “NobElle - Storie di Donne e di Nobel” e trasmesso lo scorso anno su YouTube. Come Cgil, poi, ci siamo presi l’impegno, nei limiti delle nostre possibilità finanziarie, di sostenere la cultura e in particolare il teatro, uno dei settori più penalizzati dalle contingenze pandemiche. Quest’anno per riscoprire ruoli poco valorizzati delle donne nella Storia volevamo ricordare, con un’opera teatrale e ancora con Barbara Fingerle, le figure delle portatrici, che hanno provveduto al sostentamento degli Alpini dislocati lungo la linea del fronte carsico durante la Prima Guerra Mondiale garantendone la sopravvivenza. Erano queste donne a portare i rifornimenti agli uomini attraverso lunghe camminate, sotto il peso delle gerle piene, tra gli impervi sentieri di montagna caratterizzati da dislivelli notevoli. Proprio a una di queste portatrici, Maria Plotzner Mentil, è stata intitolata una caserma, a Paluzza, l’unica dedicata in Italia a una donna. Plotzner Mentil è stata sepolta con onori militari nel tempio ossario di Timau, tra 1763 caduti sul fronte carnico. Possiamo dire, ecco, che la fatica e il sacrificio di queste portatrici rappresentano simbolicamente il peso di ciò che ancora oggi viene caricato sulle spalle delle donne.
Fingerle, come nasce quest’opera teatrale?
Mi sono imbattuta in una pagina di Storia sconosciuta ai più, e ho voluto approfondire l’argomento. Ne sono rimasta affascinata perché è una incredibile storia di resistenza, quella delle portatrici carniche. Ho pensato quindi che sarebbe stato interessante farci uno spettacolo teatrale, anche per contribuire a non far sprofondare questi accadimenti e queste figure nell’oblio.
È una incredibile storia di resistenza
Sono donne che ebbero del resto un ruolo determinante durante la Prima Guerra Mondiale.
Infatti. Venne chiesto loro di aiutare i soldati al fronte che avevano bisogno di munizioni, artiglieria, viveri, vestiti perché i depositi erano lontani, a fondovalle, e queste donne non si tirarono indietro. Da paesi vicini come Paluzza e Timau partivano con gerle piene e pesantissime. Arrivavano anche a portare 40 chili sulle spalle affrontando mille metri di dislivello. Conoscevano molto bene quelle montagne così aspre e sapevano come muoversi, indossavano gli scarpetz, delle scarpe di stoffa leggera e corda per non farsi sentire dai soldati austriaci. Per distrarsi, durante la salita, cantavano e lavoravano a maglia così da non “perdere la mano”.
Pensi che venivano pagate una lira e mezzo per ogni viaggio ma non lo facevano solo per i soldi, di cui avevano ovviamente bisogno, ma dietro quell’atto c’era solidarietà, coraggio e determinazione. Lo facevano per quegli uomini, che le trattavano come loro pari.
Cosa vedremo in scena?
Sul palco saremo in tre: io, la cantante Monika Callegaro che ha curato le musiche dello spettacolo, e Manuel Mazzocchi alla chitarra.
Senza svelare troppo possiamo dire che si parte da una soffitta dove sono stipati oggetti come gli scarpetz e le gerle delle portatrici, da lì si dipana il racconto che ho scritto prendendo spunto dalla letteratura che ho potuto recuperare sul tema.
Dietro quell’atto c’era solidarietà, coraggio e determinazione
Trova che lo spazio nell’industria teatrale per le donne sia ancora troppo limitato?
Secondo la mia esperienza in generale per chi non ha alle spalle una grande compagnia ci sono inevitabilmente difficoltà a livello di risorse economiche. C’è molta offerta e quindi farsi conoscere non è semplice. Senza contare che gli ultimi due anni sono stati devastanti, certamente per tutti e in particolare per la cultura. Bisogna sempre lottare, inventarsi, ingegnarsi. Ma si può fare, io ci credo.