Kultur | Rapporto sociale

Il teatro, un'istituzione Stabile

La ricerca dell'Unibz. Riccioni: "Da parte della cittadinanza c'è una risposta molto viva e interessata. C'è un forte rapporto con il territorio".  
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Wordbox - Exodus
Foto: teatro stabile

Non solo un luogo di fruizione culturale ma, in primis, istituzione cittadina e del territorio: così i bolzanini vivono e vedono il teatro Stabile di Bolzano, al centro di una ricerca condotta dalla professoressa Ilaria Riccioni, docente di Sociologia dell’Unibz. Dall’analisi di questionari e interviste emerge dunque un rapporto molto stretto tra il teatro e la città.

 

unibzone: Professoressa Riccioni, quando e come siete partiti?

Illaria Riccioni: Il lavoro di ricerca è iniziato a fine 2018 e abbiamo concluso il rilevamento dei dati nel mese di marzo 2020, dunque siamo riusciti a concludere giusto in tempo prima dell'inizio dell'emergenza Covid. 

Il teatro è al centro di una relazione complessa tra realtà sociale, culturale e politica di una comunità. Ha radici profonde nel significato simbolico della cultura dalla quale emerge, nella storia e nella sua assimilazione in termini di coscienza collettiva, dunque la ricerca sociologica ha potuto sviluppare più aspetti: il teatro come istituzione culturale; il teatro come istituzione che si rapporta col territorio e il teatro come spazio culturale nel rapporto con gli spettatori, sia nella dimensione culturale nazionale, che nella dimensione locale con le diversità linguistiche presenti in Alto Adige. In questo senso, dal punto di vista metodologico si è adottato il mix-methods per avere più prospettive di osservazione. 

 

Nello specifico come si è articolata la ricerca?

La ricerca, come dicevo poc'anzi, è stata di tipo sia qualitativo che quantitativo, abbiamo rilevato 105 interviste biografiche in profondità e poi raccolto 215 questionari. Gli intervistati sono stati individuati tramite offerta libera, lasciando la possibilità di offrirsi spontaneamente agli spettatori (prima di alcuni spettacoli abbiamo raccolto nominativi di chi potenzialmente fosse interessato) ma abbiamo coinvolto anche persone esterne tramite passaparola. Il metodo viene definito anche "grappolo" dove gli intervistati forniscono altri nominativi di loro conoscenza potenzialmente interessati e disponibili per un'intervista. Ovviamente abbiamo intervistato spettatori, ma anche attori e membri del cda del teatro, che conoscono bene la storia e le vicende interne e dunque hanno aggiunto aspetti interessanti. Sono state sviluppate 5 interviste a testimoni privilegiati e altre 10 tra persone che lavorano o hanno lavorato in teatro.

 

Questo lavoro si è intrecciato anche con una ricorrenza particolare, giusto?

Sì, esatto. Ovviamente tutto è partito da un’idea di ricerca che avevo in mente già da un pò: sono una sociologa e ho studiato spesso l’impatto sociale dell’arte con ricerche sul campo, anche sul territorio, la funzione sociale della musica in Alto Adige, ad esempio, quindi riguarda una parte dei miei interessi di ricerca. A questo si è aggiunta l’occasione dei 70 anni del teatro: lo Stabile aveva interesse ad avere una ricerca e quindi le due cose si sono unite. Abbiamo in programma anche un convegno internazionale dal titolo "Teatro e Spazio Pubblico"/"Theatre and social space" per settembre 2021, previsto inizialmente a dicembre 2020 e che abbiamo dovuto rimandare a causa della pandemia, nel quale restituiremo alla popolazione, e a chi sarà interessato, i risultati della ricerca, alla presenza di tanti ricercatori anche dall’estero. 

 

Cosa possiamo anticipare, intanto, rispetto a quanto emerso?

Possiamo dire che sostanzialmente il teatro, pur essendo questa una fase in cui si predilige il virtuale, e dove dunque è visto spesso come manifestazione non dominante, in realtà nel nostro caso vede invece una risposta molto viva, vivace e di estremo interesse da parte della cittadinanza. 

 

Quindi non un luogo della cultura vissuto come “residuale”. 

Assolutamente. Spesso alla fine delle interviste, a microfoni spenti, più di un intervistato ha chiesto quasi con timore: “Ma mica lo vorranno chiudere?”. Si capiva nelle parole e le espressioni utilizzate l’importanza del rapporto con il territorio, come un luogo di casa, come un luogo di nutrimento e crescita. Un'istituzione che viene percepita come luogo di ritrovo, di scambio e di incontro, ma anche come luogo necessario. Lo Stabile è visto come un centro, un polo culturale che vivifica il territorio, e le interviste evidenziano che per molti è qualcosa di imprescindibile. Molto spesso è emerso l’elemento del teatro come elemento di resistenza, identità, un luogo di cultura ma molto vissuto dalla popolazione. Non è quindi cosa per poche persone o fasce d'età avanzate, è invece un’istituzione molto praticata e molto amata e dove si incontrano diverse fasce di età, dove si tengono laboratori, dove le diverse iniziative attraggono i diversi pubblici, dove sussiste la dimensione di spettatore ma anche di partecipazione sociale, un tipo di attività che non viene intaccata dal virtuale. 

 

Ha avvertito approcci differenti in base al gruppo linguistico degli intervistati?

Questa distinzione l’ho incontrata molto poco, per lo più i nostri intervistati erano di lingua italiana, è vero, circa il 70%, però anche gli intervistati di lingua tedesca coinvolti hanno evidenziato come la cultura sia comunque elemento di unione, c’è quindi un apprezzamento trasversale. 

 

L’età incide nel modo in cui viene vissuto lo Stabile?

I giovani lo frequentano, ma hanno magari dei gusti differenti rispetto al pubblico più adulto e ne fruiscono in maniera diversa, ad esempio seguendo dei laboratori o seguendo maggiormente tematiche più leggere, quali teatro cabaret o prosa da opere contemporanee, mentre le persone più avanti con l'età prediligono teatro classico di parola e le fasce di mezzo il teatro con tecniche miste. Però abbiamo visto che le fasce d’età sono rappresentate tutte. Poi rileviamo che spesso il rapporto familiare conta: genitori e figli magari vanno a teatro insieme, c’è una trasmissione valoriale.

 

Oltre alle interviste avete anche somministrato dei questionari. Come si è svolta questa parte della ricerca?

Li abbiamo somministrati tutti allo Stabile, nell’ambito della manifestazione Word box, che è un tipo particolare di teatro. Si è trattato di una scelta metodologica precisa perché questa manifestazione TSB prevede un massimo 15-20 spettatori a performance ed è stato facile, quindi, distribuire e recuperare i questionari nella stessa serata, mentre nelle serate normali, con 400 persone, i questionari alla fine vanno persi. Come dicevo prima, sono rappresentate tutte le fasce d’età e la più rappresentata è 45-64 anni (circa 44%), poi c’è un 16% circa al di sotto dei 24 anni e al di sopra dei 65 anni, e 24% tra i 25-44 anni.

 

Possiamo dire quindi che lo Stabile “abbraccia” un pubblico eterogeneo per età e non solo?

Questa istituzione rappresenta un punto di riferimento, per tutte le età, è un luogo interno alla città, non è solo un teatro, un’isola a sé, è parte della città. C’è una fruizione molto trasversale, c’è interesse, è un luogo d'incontro che va al di là dell’istituzione teatrale. Un luogo che crea inclusione, ritrovo. A partire dal fatto che ha tante offerte diverse e quindi porta il teatro in tanti contesti in cui un altro genere di teatro non entrerebbe: dalle attività per le scuole ai laboratori, c’è un’offerta che riesce a raggiungere molti strati della popolazione in maniera diversa. Questo è un elemento di validità e di vicinanza col territorio. Nelle grandi città spesso i teatri sono un po' mondi a sé, luoghi un po' più per addetti ai lavori o per appassionati. Ma è più difficile che si riesca ad attrarre un pubblico diverso per avvicinarlo al teatro, se non nelle periferie. Quindi ribadisce la sua altissima funzione sociale e culturale. Lo Stabile ad esempio mostra grande empatia con la comunità di riferimento e di questo la città è evidentemente molto grata. 

 

Ritiene che una volta riaperti i luoghi della cultura ci sarà un ritorno pieno a cinema e teatri, nonostante il legame forte instauratosi col digitale?

Direi che una popolazione a lungo costretta in casa e limitata, sia nelle relazioni interpersonali che nella partecipazione a manifestazioni collettive, possa sviluppare un forte desiderio di ripresa in questo senso. Non solo in Alto Adige, però, credo che sarà un fenomeno globale. In parte lo abbiamo visto anche la scorsa estate, dopo il primo periodo di chiusura.