Umwelt | L'intervista

Di amianto si muore ancora

Le stragi impunite, la situazione altoatesina, i piani per liberarsi dell’asbesto, vietato già dal 1992. Parla Antonio Vaccaro, dello Sportello sicurezza Cgil-Agb.
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Amianto
Foto: upi

Antonio Vaccaro, oggi 28 aprile è la Giornata mondiale per la salute e sicurezza sul lavoro, una ricorrenza dedicata anche alle vittime dell’amianto. A 30 anni dalla sua abolizione questa fibra continua a essere una presenza inquietante nelle nostre città, perché?

Teniamo presente che l’Italia è stata per anni il secondo produttore al mondo di amianto dopo la Russia. Era un materiale diffusissimo, praticamente eterno (di qui il termine eternit, un marchio di fibrocemento a base amianto nonché il nome della ditta che lo produceva), a bassissimo costo, facilmente lavorabile. Pensiamo ad esempio alle lastre piane o ondulate di cemento-amianto impiegate per copertura in edilizia. E poi l’amianto non veniva utilizzato solo nel settore delle costruzioni, ci si realizzavano i pavimenti, era contenuto nelle vernici, nelle pastiglie dei freni, nelle tute dei pompieri in quanto materiale isolante e ignifugo. Insomma, per via delle sue proprietà veniva usato pressoché ovunque per coibentare e isolare. La commercializzazione di materiali contenenti amianto è cessata in Italia tra il 1992 e il 1994, ma prosegue ancora oggi in altri paesi del mondo.
Sappiamo che l’asbesto è pericoloso se è degradato e le sue fibre vengono inalate, tre decadi fa però si iniziava solo a sospettare che i tumori potessero essere amianto correlati (ed ecco perché le cifre relative ai casi oscillano). È pur vero, tuttavia, che studi sul tema c’erano già anche all’epoca.

C’è poi il percorso che la giustizia ha riservato alle vittime. Lei ha nominato l’Eternit, per i morti da amianto allo stabilimento di Bagnoli c’è stata, poche settimane fa, una sola condanna per omicidio colposo.

Io trovo scandaloso che le vittime non ricevano giustizia, quando le responsabilità sono così evidenti. Vedremo adesso come andrà a finire il processo d’appello a Novara, relativamente all’altro filone d’inchiesta legato all’Eternit, per i decessi avvenuti a Casale Monferrato. Il comune piemontese di 35mila abitanti è diventato una città martire con i suoi oltre 1500 lavoratori morti a causa di questo killer invisibile e 1000 decessi fra i cittadini per malattie correlate all’esposizione da amianto, come il mesotelioma pleurico, una forma maligna di tumore particolarmente aggressiva e rapidamente fatale. Spesso la diagnosi di questo tumore arriva quando la malattia è già a uno stadio avanzato ed è ormai difficile da trattare, perciò è uno dei tumori con prognosi raramente benigna. Ma se si depositano nei polmoni, le fibre possono dare origine anche ad altre malattie come l’asbestosi o le placche pleuriche, ad esempio.
Vede, a Casale la polvere entrava nelle case e nelle centrifughe delle lavatrici con le tute sporche degli operai, e così anche le loro mogli morivano. Un caso eclatante, poi, fu quello di un bancario sui quarant’anni, padre di due bambini piccoli, che mai aveva avuto a che fare con l’Eternit e che morì per mesotelioma perché abitando a Casale aveva respirato “il polverino” di amianto, come si chiamava in gergo popolare. Divenne un simbolo ed evidenziò che di amianto   poteva morire chiunque, non era e non è esclusivamente una malattia professionale.

Io trovo scandaloso che le vittime non ricevano giustizia, quando le responsabilità sono così evidenti

I tempi di latenza per l’insorgenza della malattia da esposizione all’asbesto possono del resto arrivare anche fino a quarant’anni.

Do un dato esemplificativo: l’Eternit a Casale ha chiuso i battenti nel 1986 e nel comune piemontese muoiono ancora circa 50 persone l’anno. È l’onda lunga delle vittime dell’ex impianto.
In Italia sono almeno 1.500 le diagnosi di mesotelioma ogni anno, mentre per i tumori polmonari e gli altri tumori asbesto correlati si stima un effetto moltiplicatore da 1 a 3 rispetto al numero dei mesoteliomi. Ciò significa che il numero delle vittime dell’amianto va dai 3.000 ai 6.000 l’anno. Aggiungo che nel suo ultimo rapporto il Registro nazionale dei mesoteliomi (Re.Na.M.) stima che il picco di malattie, in particolare mesoteliomi, ci sarà tra il 2021 e il 2025, considerando il lungo tempo di latenza della sintomatologia correlata.

Sul territorio italiano sono presenti ancora quante tonnellate di materiali contenenti amianto?

I dati a livello nazionale dicono che ci sono circa 100mila siti con materiali contenenti amianto. Tra le tecniche di bonifica dell’asbesto, quella dell’incapsulamento è la più semplice ed economica. Purché si provveda periodicamente a far monitorare l’andamento del trattamento.

A Casale la polvere entrava nelle case e nelle centrifughe delle lavatrici con le tute sporche degli operai, e così anche le loro mogli morivano

E qual è la situazione in Alto Adige? Che dati ci sono sull’esposizione dei lavoratori all’amianto?

Siamo in attesa delle cifre sui siti rilevati/risanati e le quantità smaltite. Per quel che riguarda l’aspetto sanitario sono stati registrati 19 “esposti” sui 389 lavoratori coinvolti nelle bonifiche del periodo che va dal 2016 al 2020. Bisogna capire se e come queste persone vengono seguite e monitorate. A proposito dell’Alto Adige segnalo inoltre l’inchiesta aperta dalla Procura della Repubblica sul caso di quattro operai pensionati che avevano lavorato a lungo all’Iveco (l’azienda per inciso era stata a suo tempo bonificata) e sono morti per mesotelioma pleurico.

Stiamo facendo abbastanza?

Non direi. La legge n. 257 del 1992 istituiva l’obbligo per regioni e province autonome di fare opportuno censimento, ma ci sono aree del paese dove questo non è stato fatto. Ogni regione, per esempio, deve approvare un Piano di protezione dell’ambiente, di decontaminazione, di smaltimento e di bonifica dell’amianto (ce l’ha anche la Provincia autonoma di Bolzano, datato 1997), ma il punto è che molte di loro non si sono attivate, ci sono poche discariche, siamo in sostanza ancora molto indietro. Sul tema amianto comunque l’Europa è sensibile, una risoluzione del Parlamento europeo ha stabilito una scadenza per l’eliminazione totale dell’amianto nel Vecchio continente entro il 2028 e inoltre - su iniziativa del sindacato europeo - è stato deciso che il limite di esposizione venga ridotto drasticamente.

Occorre una nuova mappatura del territorio, certa ed attendibile, ed un controllo costante anche delle situazioni rilevate anni fa

Se ci sono regioni in questo paese che ancora non sanno quanto amianto hanno sul loro territorio, un’Italia libera dalla fibra-killer entro il 2028 è davvero un obiettivo possibile?

Non sono molto ottimista, ma mi auguro che una spinta positiva arrivi dal PNRR dal momento che sono previsti 1,5 miliardi di euro per la riqualificazione e l’ammodernamento delle aziende agricole con la rimozione dell’amianto sui tetti (ove presente) e l’installazione di impianti fotovoltaici. I finanziamenti europei del Recovery Fund possono essere utilizzati per bonificare scuole, ospedali, edifici pubblici, mentre per quelli privati si potrebbe estendere il superbonus 110% e recuperare così le spese sostenute per la bonifica. Nella nostra Provincia come Cgil-Agb, insieme a Sgb-Cisl e Uil-Sgk, stiamo elaborando una piattaforma unitaria provinciale. È necessario avere dati attendibili da tutte le regioni e dunque una mappatura amianto il più possibile completa e veritiera; eseguire un monitoraggio costante di situazioni che dieci anni fa non erano considerate ancora pericolose ma che con il tempo possono diventare tali; sottoporre a controlli periodici i lavoratori esposti. E ancora: fare maggiore informazione sul Fondo Vittime Amianto, che gode di una dotazione di 50 milioni annui per indennizzare parzialmente chi abbia contratto una malattia professionale causata dall’amianto e che include le vittime da esposizione ambientale che si siano ammalate di mesotelioma. Il Fondo consiste in una maggiorazione del 15% sulla rendita INAIL in caso di riconoscimento di malattia asbesto correlata. Vengono inoltre riconosciuti alcuni benefici sulla pensione per i lavoratori che sono stati esposti per oltre 10 anni all’amianto o che hanno contratto malattia professionale. Ecco, un’integrazione di queste prestazioni con un diretto intervento provinciale sarebbe già un passo importante. Ma soprattutto: occorre una nuova mappatura del territorio, certa ed attendibile, ed un controllo costante anche delle situazioni rilevate anni fa.