Sulle tracce del lupo
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Il lupo è da sempre simbolo di una paura atavica e diviene un elemento fondamentale per la costruzione di una realtà che spesso è solamente percepita. A dicembre ci siamo messi*e sulle orme del grande carnivoro che più di tutti affascina e al contempo spaventa l’essere umano.
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“Il lupo colpisce ancora: attacchi in Val Sarentino e Val Pusteria”, “Quasi 500 attacchi contro l’uomo”, “La scia di sangue del lupo si fa sempre più lunga”. I titoli di alcuni media locali, accompagnati da immagini minacciose del canis lupus, non sono certo una novità degli ultimi anni. La figura del lupo è segnata da secoli di testimonianze dubbie, esagerate e false. Se ne trova traccia nelle fonti storiche, nelle fiabe della nostra infanzia e in alcune opere di narrativa contemporanee: dalla Cronica di Salimbene de Adam del 13esimo secolo al racconto “I lupi dell’Ucraina” di Paul Auster, passando per “Cappuccetto Rosso”. Come sottolinea lo storico medievalista Riccardo Rao nel podcast “Nella tracce dei lupi”, però, “il lupo non è né buono né cattivo e questa dicotomia può essere superata solo attraverso una corretta informazione”.
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Vita da lupi
Le dinamiche sociali dei lupi presentano alcune analogie con quelle dell’essere umano. Nel libro “Al di là della parole”, Carl Safina scrive che i lupi “hanno la loro famiglia, un ordine sociale, strategie, ambizioni e prendono decisioni. Sono totalmente padroni della propria vita: a volte crudeli e violenti tra loro, spesso leali e cooperativi”.
Al comportamento dei lupi ha dedicato molti anni di studio e ricerca Jane M. Packard, professoressa emerita della Texas A&M University. Nel testo “Wolf behavior: reproductive, social and intelligent”, Packard spiega che il lupo è un animale sociale, organizzato in unità famigliari chiamate branchi. Il branco si forma quando due esemplari, denominati maschio e femmina alfa, si incontrano e, dopo essersi stabilizzati su un’area idonea, si riproducono. WWF Italia (World Wide Fund for Nature) riporta che il branco è costituito in media da 2 a 7 esemplari. Il gruppo sociale è formato quindi dalla coppia e dai cuccioli, che vedono la luce a maggio. Al termine dello svezzamento dei cuccioli, verso l’inizio di luglio, il branco si sposta dall’area di tana al sito cosiddetto di rendez-vous. Così è denominata il luogo all’aperto dove vengono lasciati i giovani quando gli adulti si spostano per le esplorazioni o la caccia. Il lupo solitamente caccia in gruppo e, grazie a questa strategia, è in grado di uccidere anche animali di grossa taglia.
“Il lupo è un animale sociale, organizzato in unità famigliari chiamate branchi.”
Francesca Marucco, coordinatrice scientifica del progetto europeo LIFEWolf Alps EU – il cui obiettivo è costruire e realizzare soluzioni condivise al fine di migliorare la coesistenza fra il lupo e chi vive e lavora sulle Alpi e garantire la conservazione a lungo termine del grande carnivoro in questo ambiente – precisa che “in questa fase il gruppo tende a essere molto più legato a un luogo specifico, la cui superficie può variare dai 100 ai 450 chilometri quadrati, con una media di 200 chilometri quadrati”.
Dopo un anno circa, raggiunta la maturità sessuale, i giovani subadulti possono lasciare il branco natale in cerca di un compagno e di territori non occupati da colonizzare. Vanno dunque “in dispersione”. Sono soprattutto lupi in dispersione – quindi singoli individui – a predare pecore e capre negli alpeggi, che corrispondono per loro ad animali selvatici malati e deperiti sprovvisti delle naturali capacità di fuga e per questo vulnerabili. Durante la fase di dispersione il lupo può individuare un territorio nel quale stabilirsi e formare un nuovo branco, dopo aver incontrato un esemplare di sesso opposto al suo con il quale riprodursi.
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Nella natura, in punta di piedi
Gaetano Pimazzoni, fotografo naturalista di Verona, ha iniziato a seguire il lupo nel 2017. Quello che sorprende chi osserva il lupo, secondo lui, sono soprattutto “le interazioni all’interno del branco che in parte lo avvicina a noi esseri umani e il suo carattere elusivo che lo rende capace di passare inosservato in un territorio circoscritto”.
La fotografia, grande passione del padre, ha accompagnato Pimazzoni sin da quando era piccolo. Inizia a dedicarsi con costanza a questa attività nel 2010, concentrandosi sulla paesaggistica pura per poi allargare il suo sguardo anche alla fauna, sempre contestualizzata nell’ambiente in cui si trova. Alla base del lavoro di Pimazzoni c’è innanzitutto il rispetto, che lui declina entrando nell’ambiente naturale in punta di piedi. Dietro uno scatto del fotografo veronese c’è tanto studio, ma anche attesa e silenzio. “Quando faccio un appostamento mi adatto ai ritmi della natura e trascorro ore aspettando di vedere qualcosa – una scena, un particolare animale – che a volte dura solo pochi istanti”, racconta. Pimazzoni lavora in Lessinia, una zona non troppo distante dalla sua città. Potersi dedicare a un territorio in maniera costante gli permette di costruire un filo narrativo e vedere – e di riflesso mostrare – l'ambiente nella sua completezza, andando oltre la bellezza di una singola foto.
Pimazzoni ha avvistato per la prima volta un lupo nell’inverno del 2018. “In quel periodo uscivo spesso e da tempo trovavo impronte della sua presenza”. Un giorno di marzo si allontana di circa trecento metri dall’auto per scattare una foto. Alzando lo sguardo dall’obiettivo scorge una sagoma. “Un bellissimo esemplare di lupa mi guardava dritto negli occhi”. È una meraviglia che dura un istante; l’animale fugge, regalandogli un ultimo sguardo prima di sparire dietro una collinetta. “Di quell’incontro ho delle belle foto”, ricorda, “ma conservo soprattutto l’emozione provata”. Pimazzoni sa bene che le lunghe attese portano a essere presenti a sé stessi e, qualche volta, anche un “regalo”. Da questo concetto è partito per realizzare “Waits. A present”, documentario che segna il suo debutto alla regia. “Ho pensato che le immagini video potessero essere il veicolo più sincero per parlare del lupo legandolo alla mia esperienza personale”. Le scene del film sono accompagnate dalla “doppia voce” del fotografo: col parlato presenta riflessioni elaborate, mentre la parte sussurrata rappresenta i suoi pensieri, appunti mentali che nascono durante le ore di appostamento. Per Gaetano Pimazzoni realizzare il documentario è stata un’esperienza importante, ma quando gli si chiede quale mezzo espressivo predilige non ha dubbi: “La fotografia, sicuramente, che non potrebbe esistere senza il rispetto per la natura, il soggetto che ho deciso di ritrarre e l’ambiente dove amo stare”.
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Il ritorno del lupo
In seguito a una continua persecuzione da parte dell’essere umano, all’inizio del Novecento il lupo era stato eradicato sulle Alpi, mentre sull’arco appenninico se ne contavano appena un centinaio di esemplari. Il ritorno del canis lupus ha avuto inizio negli anni Settanta, soprattutto grazie all’introduzione di alcune leggi volte alla sua tutela: nel 1971 il decreto ministeriale Natali proibì la caccia e i bocconi avvelenati, la Convenzione di Berna del 1979 classificò il lupo come “specie rigorosamente protetta” in Italia, mentre il governo italiano recepì la Direttiva Habitat dell’UE sulla conservazione degli habitat naturali e della fauna e flora selvatiche nel 1992.
Il lupo era stato eradicato sulle Alpi all’inizio del Novecento.
Nello stesso anno il lupo ha fatto la sua ricomparsa sulle Alpi orientali, quando tra Italia e Francia si è sviluppata per dispersione la prima coppia proveniente dall’arco appenninico. Nel 2011 si è registrata la prima coppia sulle Alpi centrali e l’anno successivo quella nelle zone della Lessinia. Una stima dell’attuale numero dei lupi in Italia l’ha fornita Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), che dal 2018 al 2022 ha coordinato il primo monitoraggio nazionale svolto su tutto il territorio da 3.000 persone adeguatamente formate, con protocollo e metodologie condivise. Al termine dell’analisi dei dati raccolti – 6.520 avvistamenti fotografici da fototrappola, 491 carcasse di ungulato predate dal lupo, 1.310 tracce, 171 esemplari morti, 16.000 escrementi –, Ispra ha stimato la presenza di 3.330 lupi sul territorio italiano. I dati mostrano dunque che in Italia la popolazione del lupo è in buona salute e in espansione. Questa situazione ha portato a un inasprimento del dibattito pubblico. Allevatori e contadini di montagna lamentano le predazioni del bestiame, mentre alcune campagne stampa alimentano la paura dei possibili attacchi contro l’uomo. A questo proposito il WWF precisa che “in Italia l’ultima aggressione letale di un lupo ad un uomo risale al 1825, in un contesto sociale e ambientale totalmente differente da quello attuale, quando ad esempio era diffusa la pratica di affidare la custodia delle greggi a bambini di appena 4-5 anni”.
In Alto Adige il monitoraggio dell’Ufficio Caccia e pesca della Provincia di Bolzano nel 2022 ha riscontrato la presenza totale di 28 lupi, 19 maschi e 8 femmine. Sulla base delle prove raccolte e dopo aver consultato le regioni limitrofe, i tecnici provinciali hanno stimato la presenza di oltre 50 individui, appartenenti a branchi transfrontalieri segnalati in Val di Non, Val d’Ultimo, Val Gardena e Dobbiaco.
A giugno la giunta provinciale altoatesina ha approvato la legge n.10 “Aree di pascolo protette e misure per il prelievo dei lupi”, che autorizza il prelievo dei lupi in riferimento ai compendi malghivi laddove non risulti “ragionevolmente possibile la predisposizione di adeguate recinzioni, l’utilizzazione di cani da guardia e la presenza continua di pastori accompagnati da cani pastore”. Mentre il Tar ha accolto i ricorsi delle associazioni ambientaliste, schierate contro le autorizzazioni ai prelievi dei grandi carnivori decise dalla Provincia, un addetto ai lavori che preferisce mantenere l’anonimato sottolinea che “la Direttiva Habitat prevede già deroghe in taluni casi” e non nasconde che “la recente norma provinciale solleva qualche perplessità”. La palla ora è nelle mani della Commissione Europea, che a febbraio dovrebbe pronunciarsi in merito alla legittimità della legge altoatesina.
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La coesistenza possibile
Andrea Omizzolo, pianificatore del territorio e ricercatore presso l'Istituto per lo sviluppo regionale di Eurac Research a Bolzano, osserva che in Alto Adige “la pericolosità del lupo verso l’uomo è davvero molto bassa, anche se si tratta di un grande carnivoro, un predatore e – ricordiamocelo – un animale selvatico, e un incidente potrebbe sempre accadere”. Insieme ai membri del suo team “Human Environmental Interactions”, coinvolto nel progetto europeo LIFEWolf Alps EU, Omizzolo si occupa dell’interazione e dei conflitti tra sistema umano e ambiente, cercando di coniugare il governo del territorio ai suoi aspetti più prettamente ambientali. “Sulle Alpi la presenza dell’uomo e delle attività antropiche è molto alto e l’Alto Adige non fa certo eccezione”, spiega il ricercatore, che per questo ritiene fondamentale studiare gli eventuali casi di avvicinamento e introdurre dispositivi che tengano il lupo lontano dall’uomo e dalle greggi, perché “la coesistenza seppur difficile è possibile”. Come ha spiegato Francesca Marucco di LIFEWolf Alps EU, in questo senso “il ritorno del lupo ci costringe a ripensare tutte le attività antropiche nell’ottica della sostenibilità ambientale”. Diminuire il nostro impatto sull’ambiente, però, porta a galla il conflitto con il settore dell’agricoltura di montagna, per cui la presenza del lupo comporta sicuramente maggiori spese e più lavoro.
Favorire questa transizione è uno degli obiettivi di LIFEstockProtect, progetto europeo volto ad aumentare l’attenzione per le misure di protezione del bestiame al fine di mitigare il conflitto uomo-lupo nell’area alpina di lingua tedesca. Eurac Research è uno dei partner dell’iniziativa e oggi è Benjamin Kostner, ecologo della fauna selvatica, a seguirne lo sviluppo per il centro di ricerca altoatesino.
LIFEstockProtect mira ad aumentare l’attenzione per le misure di protezione del bestiame.
Kostner spiega che “LIFEstockProtect si concentra sulla protezione delle greggi – dai grandi carnivori, dalle calamità, dall’interazione con i turisti – attraverso uno scambio peer-to-peer e una costante attività di consulenza”. Gli agricoltori, infatti, imparano dai loro colleghi che da anni si confrontano coi lupi implementando misure concrete di protezione. Tra gli interventi che il progetto europeo promuove ci sono l’utilizzo di recinzioni e cani da guardiania. Particolarmente importante, inoltre, è la valorizzazione della figura tradizionale del pastore, che trascorre tutto il giorno con il bestiame. “Questo professionista, oltre a proteggere il gregge, guidando il pascolo svolge un’importante funzione anche a livello ecologico”, evidenzia il ricercatore. Se lasciate sole, infatti, le pecore tendono a pascolare sempre nello stesso posto. Un pastore con un’adeguata formazione a livello ecologico, quindi, funge da “giardiniere” e preserva la biodiversità del paesaggio.
Non va dimenticato, inoltre, il lavoro di sensibilizzazione. “Partendo dai*lle giovani, è necessario svolgere una corretta informazione circa la relazione tra l’essere umano e gli altri animali”, riflette Kostner, che evidenzia innanzitutto come “la presenza del lupo è segno di un paesaggio in cambiamento – per esempio tra abbandono da parte dell’uomo e ripopolamento dei cervi – e l’unica costante in natura è il cambiamento: viviamo in un mondo dinamico dove la capacità di adattamento è centrale”.
Nel libro “Lupi e uomini”, Barry Lopez ha scritto che “gli uomini non scoprono i propri animali, bensì li creano”. Per spogliare la figura del lupo dalla paura che l’accompagna uno degli strumenti più efficaci, dunque, è la conoscenza. Un approccio pragmatico e scientifico alla materia, infatti, consentirebbe di aprire uno spazio di riflessione critico basato su dati di realtà e di operare un lavoro culturale per decostruire l’immaginario del lupo basato su leggende e opere di fantasia.
Il ritorno del lupo sulle Alpi pone la società davanti a una bellissima sfida. Sta a noi avere il coraggio di affrontarla, magari partendo dalle soluzioni pragmatiche già esistenti e collaborando con le regioni e i Paesi limitrofi.