“Il carcere mi ha salvato la vita”
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Una storia degna di un film di Natale quella di Khady (nome di fantasia), che da qualche mese ha realizzato un suo piccolo sogno, tornare a giocare a calcio. Khady viene dal Gambia, ha 29 anni e gli ultimi tre li ha trascorsi nel carcere di Bolzano. “Ha ancora due anni di pena da scontare, quando è entrato ci ha subito chiesto di giocare a pallone”, racconta Nicola Gaetani, responsabile educativo della Casa circondariale. Da ottobre Khady è un tesserato con la squadra GS Excelsior, la squadra di calcio celebre per la sua correttezza in campo e per la regola di accogliere ogni aspirante giocatore e di concedere lo stesso minutaggio a tutti i suoi tesserati, indipendentemente dal loro talento. Con loro il giovane si allena due volte a settimana in vista della partita del weekend.
La storia di Khady è simile a quella di tanti detenuti del carcere di Bolzano: persone che spesso vengono ridotte all’etichetta di “irregolari sul territorio”, che nella pratica vivono una condizione di marginalità assoluta, senza documenti, senza un lavoro regolare, senza visite mediche, completamente fuori dalla società che li tiene ai margini. “Circa l’80% dei detenuti si trova nella situazione di Khady. Prima di arrivare qui dormiva per strada e viveva di espedienti. Oggi dice che il carcere gli ha salvato la vita”, racconta il direttore della Casa circondariale di Bolzano Giovangiuseppe Monti. Da quando Khady è entrato ha iniziato ad aiutare con le pulizie della struttura, mostrando fin da subito un buon comportamento. “Qui ha trovato cose a cui aggrapparsi, ha da poco preso la licenza media frequentando i corsi in carcere”, racconta Gaetani. Mentre il personale della casa circondariale lavora per mettere in regola i documenti di Khady, il ragazzo ha inziato dei colloqui lavorativi per essere assunto all’esterno da una ditta. “Quando sarà il momento inizieramo anche la ricerca di un alloggio”, spiega l’educatore.
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Proprio con l'aiuto della società sportiva Gs Excelsior è nata anche una collaborazione più ampia con tutto il carcere, nello spirito del Natale. In occasione delle festività la "Potenza assicurazione", sponsor della squadra, ha regalato un panettone a tutto il personale e a tutti i detenuti. L' iniziativa nasce dalla collaborazione tra l'Area di Responsabilità Sociale del comitato provinciale della Lega Nazionale Dilettanti e la casa circondariale di Bolzano. “Queste sinergie con il territorio fanno la differenza”, commenta il direttore, che spera di poter agganciare anche altre società sportive e tesserare altri detenuti. “Abbiamo deciso di riservare un posto in squadra per una persona inviata dal carcere per ogni stagione. Iniziative come queste sono nel pieno spirito della sportività che tanto ci caratterizza”, dichiara Massimo Antonino, dirigente dell’Excelsior. “Per noi lo sport è prima di tutto comunità e facciamo del rispetto delle regole e della parità di trattamento la nostra missione. Speriamo che altre società sportive facciano lo stesso”, afferma Valter Vezzù, presidente del Gs Excelsior.
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Da qualche anno il direttore Monti ha cercato di aprire verso l’esterno le attività del carcere, nascosto in piena vista all’interno del capoluogo. “Uno degli strumenti più efficaci per coniugare trattamento, rieducazione e socialità è lo sport –spiega il direttore – per questo abbiamo iniziato a coinvolgere realtà locali come l’Excelsior, un esempio non solo di sport ma anche di rispetto e fair play”. L’idea di far entrare Khady nella squadra è nata in occasione dell’iniziativa In and Out, il torneo di calcetto svoltosi ad ottobre 2024 che ha visto protagonisti 11 reclusi che si sono sfidati con le squadre di avvocati, operatori penitenziari ed Excelsior. “La partita ha reso ancora più evidente quanto sia importante per i detenuti ricevere stimoli positivi, lì non erano carcerati, erano al pari di tutti e questo per molti fa la differenza”, aggiunge Gaetani.
La storia di Khady è una goccia nel mare del sistema penitenziario italiano, in cui la recidiva è al 68,7%, quindi due detenuti su tre tornano poi a delinquere una volta fuori. “Questo lavoro è difficile, ma riuscire a rieducarne anche solo uno ne vale la pena”, spiega il direttore.
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