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Politik | Catchword

Nazione: rassicurante & escludente

“Nazione” è una catchword che sta occupando il nostro linguaggio in ogni ambito, dalla politica al marketing, dallo sport alla cultura. Apparentemente rassicurante, è escludente per definizione. E diventa la lente con cui si guarda il mondo: il nazionalismo.
  • Catchword è una rubrica di parole per guardare dietro (o sotto) alle parole. Ogni due settimane Francesco Palermo parte da una parola chiave (catchword, appunto) per spiegare in modo conciso il concetto (o l’inganno) che le sta dietro. Da leggere o da ascoltare in formato podcast.

  • No, Stato e nazione non sono sinonimi. Ma la catchwordnazione” sta dilagando, come altre che paiono innocue e invece plasmano silenziosamente il nostro paesaggio mentale. Lo Stato è una comunità politica, a cui si appartiene attraverso la cittadinanza. La nazione è una comunità di origine: di lingua, di storia, di religione, di cultura, e non è necessariamente organizzata politicamente. Lo Stato nazionale presume che i due concetti coincidano (piccoli scivoloni si trovano anche nella Costituzione: artt. 9, 67, 98): ma è una finzione, come la famiglia del Mulino Bianco. La maggior parte degli Stati europei, quelli nati nel XIX secolo, come Germania, Italia e quasi tutta l’Europa centrale e orientale, hanno creato entità politiche basate sul collante etnico, linguistico e culturale, o sulla sua invenzione. In quelli nati prima, come la Francia, Stato e nazione sono sostanzialmente sinonimi, perché i cittadini esistevano già, e coincidevano con gli abitanti del territorio.
     

    Ripetuta oggi, talvolta ossessivamente, “nazione” promette appartenenza ma strizza l’occhio alla purezza etnica


    Quanta non si sa, è come una ricetta della nonna, che ognuno aggiusta a piacimento e in base all’intensità degli ingredienti – dove per esempio la ricchezza è spesso inversamente proporzionale alla pigmentazione cutanea o al suono del nome. La catchword striscia e arriva un po’ ovunque. Dal Parlamento, dove capita che siedano italiani eletti all’estero che hanno messo piede in patria per la prima volta solo da deputati o senatori (è successo!), fino alla pubblicità della Coca Cola, che si proclama prodotto italiano (!) E chissà se la cucina italiana, ora patrimonio UNESCO, è nazionale o no, con annesso dibattito sui canederli.

    Nello sport questa confusione è particolarmente evidente e spesso buffa: le selezioni si chiamano “nazionali”, ma il criterio è la cittadinanza. Baschi e catalani giocano nelle squadre spagnole perché cittadini spagnoli, pur appartenendo a nazionalità riconosciute dalla Costituzione. Nel labirinto britannico esistono nazionali inglese, gallese, scozzese, nordirlandese nel calcio e nel rugby; nel nuoto e nell’atletica gareggia la Gran Bretagna; alle Olimpiadi compare la strana formula “Gran Bretagna e Regno Unito”, per gli amici Team GB, perché non esiste un aggettivo per “Regno Unito”. E gli atleti nordirlandesi possono comunque scegliere la nazionale irlandese. Nazionale, appunto: parola elastica, che all’occorrenza si stira o si comprime.

    Da questa elasticità nascono anche episodi spiacevoli: polemiche razziste contro le nazionali europee con diversi giocatori di origine africana, o le discussioni grottesche sull’“italianità” di Sinner, con lui che dribbla abilmente sia i Bruno Vespa sia gli Schützen, qui più prudenti del solito perché attaccarlo non porta consensi.

    Qualcuno resiste. In provincia di Bolzano la commissione paritetica per la terminologia suggerisce, in tedesco, di evitare national e preferire gesamtstaatlich, per distinguere l’accezione etnica da quella territoriale, riferita cioè all’intero territorio italiano. Una goccia nell’oceano, certo, ma gli oceani sono fatti di gocce.

    Alla fine, come sempre, più dei maliziosi preoccupano gli inconsapevoli: quelli che maneggiano catchwords senza chiedersi cosa significhino e cosa evochino.

  • All'episodio in forma podcast


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