Vittime e carnefici
Il lungo e articolato percorso nella fitta serie di avvenimenti che segneranno questo 2022 nel quale Bolzano ha assunto il titolo di “Città della Memoria” inizia in un’affollata sala del teatro Comunale di Piazza Verdi. Si tratta, dice il programma, di inaugurare una mostra dedicata dalla persecuzione degli ebrei in Italia tra il 1938 e il 1945, allestita nel foyer del teatro sino alla fine di febbraio, ma la cerimonia, per come è stata costruita, rappresenta anche l’incipit di tutta una serie di iniziative costruite, nel capoluogo e in periferia, attorno alla ricorrenza del 27 gennaio.
Pubblico di autorità e giornalisti in sala e pubblico di giovani studenti collegati online, per una lezione di storia e di civica educazione che ha avuto momenti di notevole profondità.
"Noi non siamo stati solamente vittime in quei tempi oscuri ma anche carnefici"
All’appassionato discorso a braccio del sindaco Renzo Caramaschi, con il suo accorato appello a scongiurare la deriva del risorgente antisemitismo, ha fatto subito eco il Presidente Arno Kompatscher. Quando ha ripetuto un concetto che gli è caro: “noi non siamo stati solamente vittime in quei tempi oscuri ma anche carnefici” ci è balzato subito alla mente un frammento del film presentato a Bolzano poche settimane e dedicato alla figura dello storico Leopold Steurer. A quest’ultimo, lucido analista della profonda penetrazione dell’ideologia nazista nella società sudtirolese nel dramma delle opzioni, replicava in toni durissimi un altro presidente della Provincia, Silvius Magnago che quasi gridando affermava che i sudtirolesi, optanti o dableiber che fossero stati, erano solo e solamente vittime.
Come si vede qualcosa, o parecchio, è cambiato e sta cambiando.
I toni più cupi e preoccupati sono arrivati con le parole di Gadi Luzzato Voghera ,direttore del centro di documentazione ebraica che ha prodotto la mostra. È vero – ha ammesso – che negli ultimi decenni si è fatto uno sforzo notevolissimo, anche sulla scia dell’istituzione della Giornata della memoria, per raccontare la Shoah soprattutto alle giovani generazioni, ma questo fenomeno di informazione di massa porta con sé anche errori e pericoli. L’aver reso comune la conoscenza di simboli e immagini dell’Olocausto consente oggi che essi vengano usati in modo distorto, ad esempio dalla propaganda dei no vax, per una perversione dei significati originari che deve restare affidata ad una ricerca storica sempre più rigorosa e approfondita.
L’annientamento della fiorente comunità ebraica di Merano, la prima ad essere annichilita con le deportazioni dopo l’8 settembre 1943, è stato rievocato dall’ex Presidente Federico Steinhaus, appassionato nel difendere il diritto all’esistenza di Israele, luogo di rifugio ancor oggi per migliaia di ebrei che fuggono da un’Europa dove l’antisemitismo risorge con ferocia.
Oggi quell’oblio si è posto rimedio in modo esemplare
Dario Venegoni presidente dell’associazione che raggruppa gli ex internati e i loro discendenti ha narrato di quando, in anni lontani, venne a Bolzano per visitare il campo dove i suoi genitori, imprigionati, si erano conosciuti. Inutilmente cercò qualche indicazione tra i negozianti, i passanti, un vigile urbano di via Resia. Il Campo, con i suoi diecimila internati, con le centinaia di morti, con i treni dell’orrore che partivano per Flossenburg era stato cancellato dalla memoria collettiva. Oggi, e Venegoni lo ha riconosciuto, a quell’oblio si è posto rimedio in modo esemplare.
I luoghi della memoria sono stati al centro dell’ultima relazione, quello dello storico Hannes Obermair. Un percorso che inizia anche dalle pietre d’inciampo poste davanti alle case, ultime residenze scelte liberamente dalle vittime, le case da cui furono prelevate, spesso per la delazione di un vicino, e che, subito dopo l’arresto furono spogliate di ogni oggetto, prezioso o meno che fosse.
Ai lupi feroci facevano seguito gli sciacalli.