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Lavoro meglio “because I'm happy”

Una ricerca della Facoltà di informatica sta facendo il giro del mondo. Dimostra come gli sviluppatori di software felici siano più produttivi.
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"Gli sviluppatori di software felici risolvono meglio i problemi" è il titolo di una ricerca di Daniel Graziotin, Xiaofeng Wang e Pekka Abrahamsson della Facoltà di Informatica di Unibz e pubblicata due settimane fa sulla rivista di scienze biomediche Peerj. I risultati di questo lavoro sono stati ripresi dalla stampa di mezzo mondo, dal britannico “Daily mail” al messicano “Quo”, dalla Russia alla Cina, mentre in Italia ne hanno scritto praticamente solo qua.
La ricerca pubblicata su PeerJ è stata condotta su 42 studenti della Facoltà di Informatica ed ha utilizzato teorie e misurazioni psicologiche e si è avvalsa della preziosa collaborazione di professori della Facoltà di Design (Andrea de Benedetto, Hans Höger, Matteo Moretti) e docenti provenienti da facoltà umanistiche: Ferruccio Cumer e Andrea Pedevilla.

Come indicato dal titolo, lo studio ha concluso che i programmatori più felici, quelli che "lavorano in ambienti che danno sfogo a ricreazione e creatività", sono in grado di produrre performance lavorative migliori. A molti potrà sembrare banale, ma le società note per creare ambienti lavorativi che contemplano luoghi di svago, e non solo di relax, sono poche anche se piuttosto famose. Due nomi su tutte, Google e Facebook.
La maggior parte delle imprese, soprattutto in ambito nazionale, invece, non si cura per nulla di questo aspetto, anzi teorizza o applica idee opposte, immaginando che la produttività sia figlia della disciplina e dell'ossessione per il risultato. Pensieri che possono essere riassunti nel classico tormentone "siete qua per lavorare non per divertirvi".

Ma chi ha lavorato a questa ricerca non cercava notorietà o pacche sulle spalle, ma qualcosa di più concreto, come spiegato da Daniel Graziotin: “I risultati sono un primo importante passo per incoraggiare le imprese informatiche locali ad investire risorse per valorizzare e migliorare le condizione lavorative degli sviluppatori di software considerandoli persone e non macchine industriali". Questo non per essere "buoni o gentili" ma perché i dati empirici dello studio mostrano miglioramenti importanti nella produttività.

Pekka Abrahamsson, coautore dell'articolo e preside della Facoltà di informatica, non vede l'ora di potere dimostrare quanto questo sia vero anche con i fatti e non solo con gli studi. In parte lo fa già, tramite un approccio con studenti e colleghi molto aperto e stimolante, ma ora vorrebbe fare un passo avanti: "Come Università dovremmo investire risorse per creare ambienti ed occasioni che vadano in questa direzione. L'esperienza di Google e Facebook dimostra che l'approccio funziona ma copiare non serve, occorre, invece, raggiungere gli stessi obiettivi con modalità differenti. Perché tecniche che funzionano negli Stati Uniti non funzionerebbero in Italia o in Sud Tirolo".

Servirebbero, quindi, spazi per il gioco o l'intrattenimento, ma anche occasioni in cui, per esempio, anche i docenti possano confrontarsi in un ambiente informale. "Nelle sedi di Google hanno inserito vari spazi gioco e regalato ai programmatori una play station, questo probabilmente non funzionerebbe in Italia, dove, per esempio, la convivialità è spesso legata al cibo, mentre negli Stati Uniti si accontentano di un sandwich davanti al computer".
Per concludere, la ricerca è solo un primo passo per incrinare il muro del luogo comune che prevede che "o si lavora o ci si diverte". Ovviamente nessuno teorizza che sia il lavoro a dover rendere felici, ma spiega Abrahamsson: "vorrei creare un ambiente che facesse venir voglia di andare a lavorare".

Visti i tempi, non si poteva chiudere che con apposita colonna sonora.  

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Oskar Egger Fr., 28.03.2014 - 07:39

Puó essere interessante anche occuparsi finalmente in concreto, con gli studi che si sono occupati (e tenuti seminascosti) sulla felicitá ed il benessere, nonché maggiore creativitá e produttivitá, se rispettati i singoli bioritmi. Renderebbe piú sensibile la popolazione al fatto che cambiamenti d' orario come quello imminente estivo (improntato esclusivamente da fini lucrativi) sono deleteri per una buona fetta dei lavoratori.

Fr., 28.03.2014 - 07:39 Permalink