“L'Afghanistan non è più lo stesso”
“Sono vent'anni che me ne occupo, è inevitabile: anche un asino finirebbe per capirci qualcosa”. Esperto di Medio Oriente ed ex-Unione Sovietica, già corrispondente in Spagna, l'inviato del “Corriere della Sera” Andrea Nicastro negli anni ha viaggiato tra Cecenia, Kosovo, Afghanistan, Iraq, Iran e Libano per raccontarne conflitti e rivolte. Nel 2001 fu il primo italiano a entrare nella Kabul liberata dai talebani. E ora, con il loro ritorno al potere dopo vent'anni di occupazione americana, sono molti gli interrogativi cui cerca di dare una risposta. Lo farà anche venerdì 27 agosto alle ore 18 nel cortile del Museo Civico di Bolzano, in un incontro pubblico sull'Afghanistan organizzato dal Centro Pace e dall'Assessorato alla cultura del Comune di Bolzano. Saranno presenti Alidad Shiri e Margaret Bergmann con la moderazione di Luca Fregona.
salto.bz: Partiamo dalla “domanda delle domande”. Come è possibile che nell'arco di dieci giorni sia saltato l'Afghanistan degli ultimi venti anni?
Andrea Nicastro: Perché l'Afghanistan costruito dagli USA è sempre stato uno Stato di carta, non reale, senza radici nel paese. Non è il “sapere del dopo”: lo abbiamo scritto, lo hanno detto gli analisti – e gli stessi organismi di controllo statunitensi che verificano l'efficacia degli aiuti e del denaro speso dal contribuente americano. Tutti i rapporti di questi anni sostengono che lo stato centralizzato afghano era finto e si reggeva sull'interesse personale a rubare parte dei soldi che arrivavano a pioggia. Non era uno stato sentito come proprio, ma come “occupante”, intruso.
L'Afghanistan costruito dagli USA era uno Stato di carta: non sentito come proprio, ma come “occupante”, intruso.
Era sentito come tale da tutta la popolazione afghana?
Sì, paradossalmente sia da chi ne beneficiava, sia da quanti rimanevano esclusi dalla valanga di denaro. Tutti erano consapevoli che lo Stato, sostanzialmente, non teneva conto della realtà afghana, fratturata secondo linee etniche: all'interno delle maggiori etnie tagiki e pashtun ci sono ulteriori spaccature di tipo clanico o tribale. Faccio un esempio: gli americani hanno scelto di far eleggere due presidenti pashtun, Karzai e Ghani, ma entrambi appartenevano a tribù che non godevano del consenso delle altre. All'interno dello spoil system, con l'insediamento di Ghani vennero cacciati i pashtun di Karzai. L'idea di mettere presidenti pashtun di modo che i talebani – anch'essi pashtun – fossero invogliati a entrare nel sistema si è rivelata un buco nell'acqua.
Perché?
Essendo uno Stato centralizzato, esso premiava sempre una sola fazione: quella che governava. Tutte le altre aspettavano il loro turno, oppure erano contrarie. Nel mio lavoro ho fatto le stesse osservazioni ai comandanti americani, ai governanti afghani, e loro facevano finta di non saperlo. Eppure non è una sorpresa, era chiara a tutti questa fragilità dello stato. Ma nel momento in cui svanisce l'unica ragione che tiene insieme chi non aveva trovato rappresentanza – in termini di democrazia occidentale – il paese si disfa. E l'unico collante era la promessa dei soldi americani.
Quando si è rotto questo (falso) equilibrio?
Quando nel febbraio 2020 gli Stati Uniti lasciano l'Afghanistan con l'accordo di Doha, chiedendo di formare un governo “inclusivo” e di riconciliazione nazionale. Nel chiedere di dividere il potere con i talebani, li si legittima e sdogana. È un disco verde per rientrare nel governo, mentre tutti gli altri hanno paura, si devono riposizionare, perdono la ragione di stare assieme. Il fratello del presidente Ghani, a pochi giorni dall'ingresso dei talebani a Kabul, ha giurato fedeltà all'Emirato islamico.
La caduta del presidente Ghani era quindi solo questione di tempo?
Assolutamente. Gli USA gli hanno applicato una data di scadenza. Se secondo i suoi finanziatori e difensori – ovvero coloro i quali lo tenevano al potere attraverso soldi e caccia-bombardieri – doveva condividere il governo coi talebani, ebbene, veniva totalmente esautorato e screditato. Ghani in Afghanistan rappresentava solo gli americani, ora chi avrebbe più trattato con lui?
Qual è stato l'errore più grave commesso dagli USA?
Un errore gravissimo fatto dagli Stati Uniti è stato quello di voler “portare la democrazia in Afghanistan”, organizzando elezioni costosissime in termini di sicurezza e vite umane. Chi andava a votare rischiava la vita, con almeno un centinaio di morti a ogni tornata elettorale, perché i talebani uccidevano per dimostrare la loro contrarietà al sistema democratico. E alle elezioni gli americani imponevano il loro candidato, accettando truffe e brogli. In intere province pashtun, dove nessuno andava a votare per timore dei talebani, emergevano milioni di schede a favore di Ghani. Un sistema certificato dalla più grande democrazia del mondo. Questo non ha fatto altro che screditare la nostra presenza e i nostri presunti valori presso l'opinione pubblica afghana.
La più grande democrazia occidentale ha imposto i propri candidati alle elezioni afghane, accettando truffe e brogli – e screditando così i nostri presunti valori.
Cosa accadrà adesso a livello di amministrazione?
Torneranno sistemi di governo quali la loya jirga (una riunione nazionale di anziani) e le shure, la riunione dei capifamiglia o capitribù, dei potenti del luogo che decidono per il bene delle persone, onde evitare conflitti e armonizzare eventuali dispute che si dovessero creare sul territorio e difendersi tutti assieme dalle aggressioni esterne. Un governo “basico”, problematico in un paese con grandi difficoltà di circolazione, un altissimo tasso di analfabetismo e una presenza di armi infinita.
L'ideologia dei talebani è quella che imparammo a conoscere vent'anni fa – oppure è cambiata? C'è chi si è spinto a definirla, oggi, addirittura “più moderata”.
La loro ideologia è di sicuro la stessa, perché sono gli stessi i maggiori protagonisti e le maggiori guide del movimento. È l'Afghanistan a essere diverso: quasi il 50% della popolazione non ricorda l'Emirato islamico del mullah 'Omar. Un problema dei talebani – che dà speranza a noi. Una grande maggioranza della popolazione si è avvicinata al mondo, lo conosce meglio, guarda la tv, ha accesso a internet, ha visto un mondo fuori dai confini dell'Afghanistan. Le donne continueranno a essere lapidate e verrà chiesto loro di coprirsi col burqa, ma se ci saranno abbastanza soldi, potranno andare a scuola o lavorare, perché sono manodopera competente, sono medici, infermiere, maestre.
Quasi il 50% della popolazione non ricorda l'Emirato islamico del mullah 'Omar. Un problema dei talebani – che dà speranza a noi.
L'afflusso di denaro nel paese da cosa dipenderà?
Se i talebani riescono a essere riconosciuti dalla comunità internazionale, manterranno il flusso di aiuti che permetterà loro di continuare a offire i servizi garantiti dallo stato filo-americano, in termini di scuole, ospedali, infrastrutture. Oppure dovranno farne a meno: in tal caso, la loro morsa fondamentalista sarà più forte, perché non dovranno moderarsi.
Potrebbero farne a meno?
Sì, ne sono in grado. Sono meno corrotti e probabilmente riusciranno a imporre col pugno di ferro – come fecero tra il 1996 e il 2001 – una relativa stabilità del paese e quindi ad assorbire per le proprie spese gran parte del fatturato della malavita afghana, non soltanto talebana ma diffusa ovunque. Si tratta di grandi gruppi armati che difendono il contrabbando di risorse del paese, dalla droga al talco, alle pietre preziose, alle terre rare, al rame, all'oro. Un'altra fonte di finanziamento sono i Paesi del Golfo. Senza aiuti dell'Occidente innamorato dei diritti umani, ci saranno i finanziamenti di chi è innamorato d'una versione retrograda dell'Islam.
Senza aiuti dell'Occidente innamorato dei diritti umani, ci sarà il denaro di chi è innamorato d'una versione retrograda dell'Islam.
Quale può essere il ruolo della Cina?
Nell'ipotesi di un Afghanistan più pacifico, potrà sfruttare le risorse naturali. Se non sarà più pericoloso inviare tecnici nel paese, perché i talebani ne garantiranno l'incolumità, la Cina porterà denaro nonché risorse al sistema.
E quale invece la posizione dell'Europa?
Il ruolo dell'Europa, umanitario in questa occasione, nel lavarsi la coscienza salvando chi ci ha aiutato è senz'altro doveroso ma penoso e ipocrita. Ci hanno aiutato tutti gli afghani che non hanno combattuto contro di noi: dovremmo accogliere 34 milioni di abitanti invece di tremila. Queste persone hanno creduto nelle nostre promesse e non ci hanno sparato addosso. A livello geostrategico serve quanto dovremmo già avere per affrontare il problema libico, siriano, del Sahel, della risorgenza ottomana in Turchia, dei foreign fighters: cioè una politica estera europea capace di coinvolgere come soggetti di sviluppo e non di sfruttamento i nostri vicini – o meno vicini come l'Afghanistan. Finché il rapporto tra nazioni continua a essere basato sull'interesse nazionale, come dice Biden, sarà sempre l'interesse di una nazione contro un'altra. Allora il conflitto sarà inevitabile.
L'Italia avrà un peso?
Se siamo disponibili a ragionare in termini di interesse collettivo – o di area, quantomeno nel Mediterrano – la famosa frase “li aiutiamo a casa loro” assume un significato diverso. Non “aiutiamoli a sopravvivere”, bensì a svilupparsi come noi. Questo nessuno lo ha mai fatto.
I governi in questo momento stanno solo placando la nostra sete di umanità.
L'ondata di solidarietà, per quanto necessaria, è quindi ipocrita?
Io stesso sto cercando di salvare la vita di interpreti e giornalisti afghani che mi avevano aiutato nel corso degli anni e di cui ho conosciuto l'intelligenza. Se restano in Afghanistan è probabile subiscano ritorsioni, mentre se vengono in Occidente hanno la possibilità di diventare un elemento produttivo, di integrarsi, perché hanno la cultura e la capacità di farlo. Credo sul piano umano di fare la cosa giusta, però ciò significa voltare le spalle a tutti gli altri. I governi hanno una responsabilità diversa, in questo momento stanno solo placando la nostra sete di umanità.
Grazie di questa profonda
Grazie di questa profonda analisi !
Occore che gli Stati imparino dagli errori fatti. Occorre non dimenticare la miseria in cui moltissimi siriani si trovano sia in Siria che in Grecia e Turchia ! Se ogni Comune, contattando l´organizzazione S.Egidio a Roma, offrisse ad alcune famiglie siriane e/o afghane la loro integrazione, aiuteremmo seriamente e diveremmo più credibili .