Gesellschaft | Giorno della memoria
Shoah, la memoria che serve
Foto: upi
Cesare Pavese potrebbe scriverlo così: fare memoria «vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti» (sono le parole con cui spiega il legame con il paese, «un paese ci vuole», nel libro «La luna e i falò»).
Dal 2001, in Italia, fare memoria, il 27 gennaio, significa non dimenticare mai la tragedia della Shoah, cioè lo sterminio del popolo ebraico, ma anche «le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati». Questo spiega il primo articolo della legge 211 del 2000, in vigore dal 31 luglio di quell'anno, che ha istituito la ricorrenza.
Nel 2019, quindi, il «Giorno della memoria» è maggiorenne, ma le celebrazioni (che si sono tenute al Quirinale il 24 gennaio scorso, e quest'anno hanno declinato il tema delle donne nella Shoah) scontano un contesto culturale favorevole alla riproposizione del «male assoluto», quello che nel suo discorso il presidente della Repubblica Mattarella ritiene «pronto a risvegliarsi, a colpire, a contagiare, appena se ne ripresentino le condizioni».
Ecco perché, ha sottolineato Mattarella, «il Giorno della Memoria non è soltanto una ricorrenza, in cui si medita sopra una delle più grandi tragedie della storia, ma è un invito, costante e stringente, all’impegno e alla vigilanza. In Italia e nel mondo sono in aumento gli atti di antisemitismo e di razzismo, ispirati a vecchie dottrine e a nuove e perverse ideologie. Si tratta, è vero, di minoranze. Ma sono minoranze sempre più allo scoperto, che sfruttano con astuzia i moderni mezzi di comunicazione, che si insinuano velenosamente negli stadi, nelle scuole, nelle situazioni di disagio».
Dal 2001, in Italia, fare memoria, il 27 gennaio, significa non dimenticare mai la tragedia della Shoah, cioè lo sterminio del popolo ebraico, ma anche «le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati». Questo spiega il primo articolo della legge 211 del 2000, in vigore dal 31 luglio di quell'anno, che ha istituito la ricorrenza.
Nel 2019, quindi, il «Giorno della memoria» è maggiorenne, ma le celebrazioni (che si sono tenute al Quirinale il 24 gennaio scorso, e quest'anno hanno declinato il tema delle donne nella Shoah) scontano un contesto culturale favorevole alla riproposizione del «male assoluto», quello che nel suo discorso il presidente della Repubblica Mattarella ritiene «pronto a risvegliarsi, a colpire, a contagiare, appena se ne ripresentino le condizioni».
Ecco perché, ha sottolineato Mattarella, «il Giorno della Memoria non è soltanto una ricorrenza, in cui si medita sopra una delle più grandi tragedie della storia, ma è un invito, costante e stringente, all’impegno e alla vigilanza. In Italia e nel mondo sono in aumento gli atti di antisemitismo e di razzismo, ispirati a vecchie dottrine e a nuove e perverse ideologie. Si tratta, è vero, di minoranze. Ma sono minoranze sempre più allo scoperto, che sfruttano con astuzia i moderni mezzi di comunicazione, che si insinuano velenosamente negli stadi, nelle scuole, nelle situazioni di disagio».
Senza citare i post su Facebook del senatore del M5S, Elio Lannutti, che nei giorni scorsi ha rilanciato i Protocolli dei Savi anziani di Sion, vero strumento di politica antisionista e fake news ante-litteram, Mattarella ha denunciato «la riproposizione di simboli, di linguaggi, di riferimenti pseudo culturali, di vecchi e screditati falsi documenti, basati su ridicole teorie cospirazioniste», spiegando che questi sono segni di un passato che non deve in alcuna forma tornare.
L'appello del presidente della Repubblica è a tutti «noi Italiani, che abbiamo vissuto l’onta incancellabile delle leggi razziali fasciste e della conseguente persecuzione degli ebrei», che abbiamo un dovere morale, verso la storia e verso l’umanità intera. È «il dovere di ricordare, innanzitutto, ma soprattutto di combattere, senza remore e senza opportunismi, ogni focolaio di odio, di antisemitismo, di razzismo, di negazionismo, ovunque esso si annidi. E di rifiutare, come ammonisce spesso la senatrice Liliana Segre, l’indifferenza: un male tra i peggiori».
L'appello del presidente della Repubblica è a tutti «noi Italiani, che abbiamo vissuto l’onta incancellabile delle leggi razziali fasciste e della conseguente persecuzione degli ebrei», che abbiamo un dovere morale, verso la storia e verso l’umanità intera. È «il dovere di ricordare, innanzitutto, ma soprattutto di combattere, senza remore e senza opportunismi, ogni focolaio di odio, di antisemitismo, di razzismo, di negazionismo, ovunque esso si annidi. E di rifiutare, come ammonisce spesso la senatrice Liliana Segre, l’indifferenza: un male tra i peggiori».
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