La chiusa di Salorno
La scelta del brano da tradurre, anzi di questa prima prova di traduzione, è stata compiuta seguendo il suggerimento di Sabine Gruber. Ci aveva detto che se avesse dovuto scegliere un testo tra gli altri, qualcosa in grado di "cifrare" il senso del libro, o di esemplificarne lo spirito, si sarebbe forse decisa per quello che parla di Salorno, il confine provinciale meridionale e in un certo senso anche linguistico. E infatti, basta confrontare quel che Gruber dice sul tema con ciò che afferma Michael Demanega (lui proveniente da Salorno e dunque pienamente soggiacente alla "sindrome da confine") per comprendere la differenza che, oggi, ma sarebbe meglio dire ancora oggi, oppone le diverse visioni del Sudtirolo e dunque ne indica diverse prospettive di sviluppo. Da un lato la percezione allarmata di una compattezza che si sta o starebbe sgretolando, e che dunque bisogna restaurare proponendo nuove divisioni e rischiando anche inevitabili lacerazioni, dall'altro la considerazione che ogni compatezza non è che un'illusione, un mito, l'ipostatizzazione di un pensiero fanatico. In questo senso la traduzione - intesa non solo come pratica, ma come etica - rende evidente la porosità dell'identità, permette scambi e passaggi senza annullarne i diversi profili, e fonda un modo di vivere basato sulla comprensione reciproca ma anche sulla consapevolezza della difficoltà, dunque invitandoci a tentare sempre di nuovo, di questa stessa comprensione.
La chiusa di Salorno
Oh, du mein Heimatland
Non è semplice parlare di Heimat. Alcuni la portano nei pensieri, altri nel cuore, altri ancora ritengono che sia possibile localizzarla geograficamente e si debba difenderla con le armi. In Sudtirolo la Heimat si custodisce nei musei e si vive nelle associazioni. La Heimat entra nell’arte, nella poesia, e alla Heimat vengono pure dedicate serate nelle quali s’intonano canti che trattano solo di Heimat. Qui si trova più Heimat che in qualsiasi altro luogo.
Nel famoso canto degli alpinisti bolzanini “Wohl ist die Welt so groß und weit...”, considerato l’inno segreto della provincia, il posto più bello del mondo coincide, e non potrebbe essere altrimenti, con la Heimat! In questo canto, ma anche nella testa di molte persone, la Heimat termina alla chiusa di Salorno, perciò può accadere che un amante particolarmente fanatico della Heimat, attraversando il punto in cui la valle si restringe, apra il finestrino della macchina, tenda il braccio e mostri la sua carta d’identità a un doganiere immaginario.
Per tutti quelli che sentono il compito di difendere la Heimat, combattendo al fronte ideologico della Heimat, la chiusa di Salorno rappresenta ovviamente la fine del loro mondo, o comunque il suo confine meridionale, laddove la valle dell’Adige, prima di trapassare nella Piana Rotaliana, viene serrata, ad Est, dal Monte di Salorno, e a Ovest da quello di Favogna. Appena dietro la porta geologica della provincia, circondati da ripide rocce, cominciano a distendersi i vigneti italiani, che dal quattordicesimo secolo producono un genitore del Lagrein sudtirolese: il Teroldego. Il fatto che il nome di questo vino dal colore scuro e dal gusto pieno derivi dalla denominazione tedesca “Tiroler Gold” (oro tirolese) ci fa capire, una volta di più, come sia difficile, se non impossibile, stabilire esattamente un confine. La chiusa di Salorno segna comunque uno dei punti più a sud del mondo di lingua tedesca.
La mia Heimat, dicono alcuni poeti, è la lingua. Ma per il grande scrittore spagnolo Jorge Semprún, il quale ha dovuto subire sulla sua pelle la guerra, la deportazione e l’esilio, la vera Heimat non è la lingua, “bensì ciò che viene detto”.
Heimat ist dort, wo noch
Heimat ist dort, wo noch niemand war (Ernst Bloch)