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Gesellschaft | Gaza Calling 4

Un luogo di morte

La popolazione di Gaza ora non vive solo sotto la minaccia delle bombe e degli spari dei soldati: ora soffre anche la fame e la sete e di fame e sete comincia a morire.
Hinweis: Dieser Artikel ist ein Beitrag der Community und spiegelt nicht notwendigerweise die Meinung der SALTO-Redaktion wider.
Gaza hunger
Foto: Upi
  • Sabato a Milano si è svolta una manifestazione organizzata da associazioni palestinesi e da diversi sindacati di base per chiedere la fine della guerra a Gaza e per esprimere solidarietà alla popolazione palestinese. Nonostante la pioggia ed il vento, venticinquemila persone hanno sfilato per quattro ore per le vie della città. C'era gente di tutto il mondo e di tutte le età, la giornata si è  svolta senza incidenti, ma non c'era il clima di festa che di solito caratterizza le manifestazioni di piazza partecipate e ben riuscite. L'incubo di ciò che accade a Gaza si respirava chiaramente: ogni limite è stato superato e se ciò che sta accadendo a Gaza può accadere, allora qualsiasi altra cosa potrà accadere in questo nostro mondo.
    Dopo più di 4 mesi di bombardamenti quotidiani è difficile immaginare che in questa piccola striscia di terra lunga quaranta chilometri e larga dieci sia rimasto ancora qualcosa da distruggere. Eppure anche in queste ultime due settimane i bombardamenti sono continuati ovunque, al sud, al centro,  al nord. Un ospedale a Khan Yunis, uno dei pochi ancora funzionanti, è stato assediato e poi assaltato dall’esercito israeliano per più giorni, con il personale sanitario  e 150 pazienti rinchiusi in un padiglione, senza cibo, né acqua né  elettricità.  Case, ospedali, campi profughi, moschee, scuole, asili, infrastrutture civili: tutto è stato bombardato, spesso raso al suolo, con il duplice obiettivo dichiarato di liberare gli ostaggi israeliani e distruggere Hamas.  

  • Foto: privat
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    „L'incubo di ciò che accade a Gaza si respirava chiaramente.“

     

    Con queste operazioni, di ostaggi finora ne sono stati liberati due; per quanto riguarda Hamas, anche se molti combattenti sono stati uccisi e altri arrestati dall’esercito israeliano, nessuno sa quanto questa guerra ne abbia in realtà compromesso struttura e capacità militari. Tutti sanno invece che sono ormai trentamila le vittime civili, per la maggior parte donne e bambini. E che l’ultima tregua che hanno avuto, di poche settimane, risale ormai a fine novembre, e non ci sono prospettive che se ne apra un’altra. 
    Gaza è un luogo di morte, il luogo più pericoloso al mondo, così dichiarano i rappresentanti dell’Organizzazione mondiale della sanità.
    Ma la notizia di questi giorni, che rischia di perdersi nelle cronache di questa tragedia, è che la popolazione di Gaza ora non vive solo sotto la minaccia delle bombe e degli spari dei soldati: ora soffre anche la fame e la sete e di fame e sete comincia a morire. La gente non ha più nulla da mangiare, anche se fuori dai confini della striscia ci sono dai due ai tremila camion pieni di aiuti umanitari, anche se il tribunale internazionale dell’Aja ha intimato a Israele di permetterne l’arrivo alla popolazione civile.  
    L'Unrwa, l'agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, ha sospeso due giorni fa la distribuzione di aiuti nel nord di Gaza; lo stesso aveva fatto pochi giorni prima il PAM, il programma alimentare mondiale. Entrambe le organizzazioni hanno ritenuto di non poter continuare le loro missioni a causa dei bombardamenti, degli spari dell'esercito israeliano, degli assalti della popolazione disperata. 

  • Foto: Ärzte für die Welt
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    Dopo più di 4 mesi di bombardamenti quotidiani è difficile immaginare che in questa piccola striscia di terra sia rimasto ancora qualcosa da distruggere.


    Un’assistente di Oxfam riferisce che il 99% delle famiglie al nord non trova nulla da mangiare. Non c'è più farina, i mercati sono vuoti, il poco che si trova è carissimo; le persone cucinano con mangime per animali, foglie ed erba e scavano nella terra per arrivare alle tubature dell'acqua. Nella zona a sud va un  po’ meglio, ma la situazione è destinata a peggiorare: nell'ultima settimana nessun convoglio di aiuti è  riuscito ad entrare nemmeno nel sud, dove si affolla gran parte della popolazione. Nel mese di gennaio le autorità israeliane hanno negato l'accesso al 56% dei convogli umanitari;  quelli che ottengono le autorizzazioni,  vengono poi spesso bloccati da gruppi di manifestanti israeliani, accampati da mesi in corrispondenza di due valichi di confine e impegnati in un’azione che di umano non ha nulla. 
    Secondo l'ONU al momento a Gaza un bambino su 6 è gravemente malnutrito e questo dato è  destinato a peggiorare rapidamente. 
    Sullo sfondo di questa tragedia continuano i negoziati al Cairo e a Parigi tra intelligence e servizi segreti di Stati Uniti,  Egitto, Qatar. Ogni giorno si parla di “spiragli per un accordo “ ma le posizioni di Israele e Hamas sono molto lontane e i toni delle dichiarazioni non sembrano favorevoli ad un'intesa. 
    Il governo israeliano partecipa ai negoziati, ma mette in chiaro che comunque nessun cessate il fuoco è  possibile, che la guerra continuerà anche se gli ostaggi verranno liberati e che comunque ci sarà un'espansione delle operazioni di terra a Rafah.

     

    „Per quanto riguarda Hamas, anche se molti combattenti sono stati uccisi e altri arrestati dall’esercito israeliano, nessuno sa quanto questa guerra ne abbia in realtà compromesso struttura e capacità militari. 

     

  • Foto: UNWRA
  • A parole tutti ormai concordano sul definire “eccessiva” la reazione di Israele e chiedono una tregua; ma non si può continuare a dare armi e poi criticarne l'uso eccessivo e questa settimana la maschera è caduta. Gli Stati Uniti infatti hanno posto il veto al consiglio di sicurezza dell'Onu ad una risoluzione presentata dalla Tunisia  che chiedeva un cessate il fuoco immediato. Gli altri 13 paesi del consiglio di sicurezza, tutti alleati degli Usa, hanno votato a favore, solo la Gran Bretagna si è astenuta. Gli Stati Uniti hanno spiegato  che questa risoluzione avrebbe “compromesso le trattative per il rilascio degli ostaggi a cui gli Usa stanno lavorando insieme a Egitto e Qatar”.  
    Trattative che stanno andando avanti da mesi, ma che non sembra stiano portando al risultato sperato. Al posto del cessate il fuoco immediato, l'unica misura che potrebbe sollevare almeno momentaneamente le sofferenze della popolazione di Gaza, gli Usa hanno proposto  un “cessate il fuoco temporaneo, appena sarà possibile “. Una formula piena di ipocrisia, assolutamente inadeguata alla gravità della situazione e che di fatto lascia libero corso alle operazioni di Israele a Gaza. 
    Una formula che dimostra come gli Usa non abbiano nessuna intenzione di mettere in atto azioni realmente efficaci per fare pressione sul governo israeliano e che li rende così complici del massacro in corso. È evidente infatti che l'unico strumento di pressione efficace è uno stop alla vendita di armi a Israele, così come chiesto da varie organizzazioni umanitarie e come suggerito anche da Borrel, responsabile della politica estera della comunità europea. In questi giorni esperti e relatori speciali dell'Onu hanno pubblicato un documento in cui chiedono alla comunità internazionale di mettere in atto un embargo militare su Israele. 

     

    „È evidente infatti che l'unico strumento di pressione efficace è uno stop alla vendita di armi a Israele.“

     

  • Addirittura sul quotidiano israeliano Haaretz pochi giorni fa è uscito un articolo in cui il giornalista Gideon Levy si appella agli Stati Uniti “ Basta con le parole, basta con gli inutili vertici. Non portano da nessuna parte. Israele non ha e non avrà  mai l'intenzione, il coraggio e la capacità di innescare un cambiamento”  E ancora: “il governo di Netanyahu e quello che seguirà non è disposto ad ammettere l'esistenza di uno stato palestinese con sovranità e diritti pari a quello di Israele.  Il mondo non può accettare questo,  non può lasciare questa decisione nelle mani dello stato israeliano”. 
    Appare infatti sempre più chiaro che il delirio di Netanyahu non è  solo suo, ma è  condiviso dall'intero governo israeliano che questa settimana ha votato una risoluzione con cui afferma che “Israele rifiuta completamente i diktat internazionali su accordi sullo status finale con i palestinesi “. 

  • Foto: Upi
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    „Basta con le parole, basta con gli inutili vertici.“

     

    Non solo, il governo di Netanyahu ha presentato un piano per il dopo conflitto che dimostra come non esista la benché minima intenzione di riconoscere l'esistenza di uno stato palestinese sovrano.  Secondo il piano di Israele, una volta conclusa la guerra, la striscia Gaza sarà amministrata da funzionari locali “professionisti con esperienza manageriale “ non legati con paesi o organizzazioni che sostengono il terrorismo. L'Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, sarà chiusa e sostituita da un nuovo organismo. La ricostruzione di Gaza avverrà solo quando la striscia sarà  deradicalizzata e smilitarizzata e sarà portata avanti con finanziamenti e sotto la guida di paesi approvati da Israele.  Verrà creata una zona cuscinetto lungo il confine,  sottraendo altro territorio alla striscia, e chiuso il confine meridionale con l'Egitto.  
    L'esercito israeliano manterrà la sua presenza per il controllo e la sicurezza a Gaza,  così come nelle altre enclave. E per chiarire ancora meglio gli intenti, è stato annunciato un programma per la costruzione di 3300 alloggi in Cisgiordania destinati ai coloni israeliani.  
    Con questo piano Israele nega chiaramente di fronte al mondo intero la possibilità della nascita di uno stato palestinese sovrano ed indipendente e ribadisce la volontà di continuare la sua politica di colonialismo, violenza e soprusi: sattamente la politica che ha portato alla strage del  7 ottobre e alla tragedia a cui stiamo assistendo.