In fin di vita…
Quando si sfogliano le ultime pagine del libro della propria esistenza in condizioni di una grave malattia cronica, ci si chiede quale sia il miglior modo per offrire sostegno a chi è nella sofferenza fisica e psicologica.
Al riguardo le possibili soluzioni sono tante. Importante è non fare confusione sui termini della discussione.
Per tale ragione abbiamo chiesto al responsabile delle cure palliative dell’ospedale di Bolzano dottor Massimo Bernardo di fare chiarezza.
Salto.Bz: Dottor Massimo Bernardo, cosi si deve intendere per eutanasia?
Dottor Bernardo: E’ l’interruzione della vita del paziente, su richiesta di quest’ultimo, mediante un farmaco somministrato direttamente dal medico al malato. Tale pratica è ammessa solo in Belgio, Olanda e Lussemburgo.
Che cos’è invece il suicidio assistito?
Al paziente viene prescritto con tutte le istruzioni d’uso un farmaco che il malato assumerà da sé in modo autonomo per porre fine alla vita. L’unico Paese in cui è possibile detta procedura è la Svizzera.
Sono per le cure palliative: bisogna fare di tutto per dare sollievo ed alleviare le sofferenze del paziente che così sostenuto difficilmente maturerà di voler porre fine alla vita.
E la sedazione palliativa?
E’ una prassi medica legale, prevista da tutti i Paesi civili, corretta dal punto vista etico. Essa non ha a che fare né con l’eutanasia né con il suicidio assistito: il paziente, affetto da una malattia inguaribile e per il quale non esiste alcuna alternativa, può chiedere di essere sedato, ossia addormentato. Così si allevia la sofferenza della persona malata e se ne migliora la qualità di vita.
Lei ritiene che eutanasia e suicidio assistito siano scelte da assecondare?
No, sono per le cure palliative: bisogna fare di tutto per dare sollievo ed alleviare le sofferenze del paziente che così sostenuto difficilmente maturerà di voler porre fine alla vita.
E’ in discussione alla Camera la proposta di legge, elaborata dalla deputata Donata Lenzi (Partito Democratico), “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”. Come valuta il testo normativo?
Si deve precisare che tale norma non contempli né l’eutanasia, né il suicidio assistito e neppure la sedazione palliativa. E’ una buona norma che sancisce invece un diritto civile sacrosanto: il principio, secondo cui il paziente, come stabilito dall’art. 32 della Costituzione, non può essere sottoposto ad un trattamento sanitario in assenza di un previo consenso informato. Se si approvasse la legge, sarebbe un grande passo che andrebbe a colmare un vuoto normativo che perdura da anni.
L’idratazione e l’alimentazione sono trattamenti sanitari?
Sì. E nessuno può obbligare altri a mangiare. Deve esserci la libera decisione del paziente. Peraltro, la letteratura scientifica sostiene che nei pazienti alla fine della vita l’idratazione e l’alimentazione forzate non incidano sulla durata della vita del malato (la vita non si abbrevia), anzi possano essere inutili, se non dannose: si può, infatti, riscontrare un aggravamento delle condizioni del malato.
Secondo lei si deve prevedere la figura dell’obiettore di coscienza nei casi in cui il paziente abbia espresso la volontà di non essere più alimentato e idratato?
Già adesso è stabilito che nessun medico possa abbandonare il paziente. L’art. 23 del codice di deontologia medica prescrive che il medico debba garantire al cittadino la continuità delle cure e, in caso di indisponibilità, impedimento o venir meno del rapporto di fiducia, assicurare la propria sostituzione. Il medico che si trovi di fronte a situazioni cliniche, alle quali non sia in grado di provvedere efficacemente, deve poi indicare al paziente le specifiche competenze necessarie al caso in esame”.
Alcuni affermano che rallenterebbe la ricerca scientifica, ove si consentissero anche nel nostro Paese l’eutanasia o il suicidio assistito. E’ d’accordo?
No, non vedo il nesso. La ricerca è un fondamentale patrimonio dell’umanità che non verrà intaccato. Poi, le scelte dell’eutanasia e del suicidio assistito sono marginali, giacché riguardano una estrema minoranza di persone.
Qual è a suo avviso il problema più urgente cui fare fronte?
Di sicuro, l’accesso alle cure palliative, previsto dalla legge 38 del 2010 e la cui diffusione nazionale ad oggi non è quella che dovrebbe essere.
Indispensabili maggiore informazione, creazione della cultura delle cure palliative, per spiegarne alla cittadinanza le potenzialità e l’implementazione di investimenti di risorse pubbliche.
E a livello locale qual è la situazione?
Da noi non vi sono particolari difficoltà. Tuttavia, si può fare di più.
Che cosa in concreto si deve fare?
Per un verso maggiore informazione e creazione della cultura delle cure palliative, per spiegarne alla cittadinanza le potenzialità. Dall’altro, l’implementazione di investimenti di risorse pubbliche.