Storie di sabbia
“Le mie storie di sabbia vogliono coinvolgere persone di ogni età e provenienza, con la poesia del racconto per immagini e la magia dell’animazione in tempo reale. Qui è permesso viaggiare, in luoghi mai visti e anche dentro di te”. È così che l’artista marchigiana Ermelinda Coccia comincia a presentare la sua arte, rimessa in scena dopo un lungo periodo di stop forzato grazie alla quindicesima edizione di Asfaltart, il festival dell'arte di strada di Merano, occasione in cui salto.bz è andato a conoscerla.
Per Ermelinda, parlare della propria arte senza commuoversi risulta difficile ed è nel momento in cui ti ritrovi davanti a una sua esibizione che ne capisci il motivo.
Quando ti rechi per la prima volta ad assistere a uno spettacolo di sand art, non sai bene cosa aspettarti. Apparentemente ci si trova catapultati in una sorta di cinema: le poltrone, il buio, uno schermo e un proiettore. A lato però la postazione dell’artista: un piano illuminato cosparso di migliaia e di migliaia di granelli di sabbia senza forma e che attendono solamente di prendere vita. Sopra, una videocamera pronta a immortalare ogni istante per donarlo proiettato al pubblico che ancora non sa cosa aspettarsi fino a quel momento, quell'istante in cui le luci si spengono per la lasciare spazio alla musica che accompagna gli eleganti gesti dell'artista, grazie ai quali, con un inenarrabile connubio di fermezza e delicatezza, quei granelli senza forma riescono finalmente a prendere vita, diventando volti, viaggi e storie.
Quello andato in scena a Merano è stato, racconta, il primo di tutti gli spettacoli che negli ultimi quattro anni ha condiviso con il pubblico, “un viaggio fra il bene, rappresentato dall’amore dei due personaggi e il male, che fatica a vincere sui sogni e sulla vita”. Una rappresentazione di un tema drammaticamente attuale, quello delle migrazioni, su cui molti, troppi, si sentono in dovere di elargire sentenze, ma che Ermelinda preferisce invece affidare, in silenzio, a quei granelli di sabbia, non più informi ma veicolo conduttore di storie, legami, amore e dolore, rappresentati in un viaggio tra il bene e il male, ove la speranza risiede al di là del mare che i protagonisti tentano di attraversare.
“Perché porto in giro, dopo anni, ancora il mio primo spettacolo? Perchè il tema è ancora drammaticamente urgente e attuale - spiega Ermelinda Coccia -. È una storia a cui sono molto affezionata e sento l’esigenza di raccontarla, soprattutto ai bambini che spesso vengono a vedere i miei spettacoli e che spesso si dimostrano molto più recettivi degli adulti. Da un certo punto di vista il mio sogno è quello che non ci sia più la necessità di portarlo in giro, perchè significherebbe che non stiamo più assistendo ai drammi delle guerre e dei morti in mare”.
37 anni, marchigiana, Ermelinda Coccia si interfaccia al mondo dell’arte sin da piccola: “La propensione al disegno la devo a mio padre, che faceva il fabbro e disegnava spesso bozzetti. Poi, dopo gli studi all’accademia delle Belle Arti di Urbino mi trasferisco a Roma dove coltivo l’altra mia passione, quella del video making e del cinema - racconta l’artista -. Nella capitale ho realizzato alcuni documentari autoprodotti, quello a cui sono più affezionata è stato girato all’interno di un campo Rom, in cui siamo stati più di un anno ma che adesso non c’è più. La forma del documentario mi piace particolarmente - aggiunge - perché al di là di esprimere emozioni con l’arte per me è importante affrontare le tematiche che ci riguardano, come appunto quello dei migranti”.
E poi, grazie ad alcuni amici, arriva lei, la sand art e da quel momento qualcosa è cambiato: “Ho capito che è questa la mia strada perchè è una forma che unisce il disegno al video, le mie più grandi passioni, ma soprattutto ti permette di raccontare una storia. Non mi interessa fare semplicemente delle illustrazioni, per quelle ci sono le mostre, io sento la necessità di quell’energia che solo il pubblico durante gli spettacoli è in grado di trasmetterti. Ma quello che sento - aggiunge - è soprattutto la necessità di raccontare, raccontare e raccontare e ancora di più di affrontare quei temi che ritengo importanti. Quello delle migrazioni, che avevo già affrontato con alcune tele, è uno di questi: io non ho vissuto questo fenomeno in prima persona ma cerco sempre di pensare che quello che succede a qualcun altro, che sia vicino o dall’altra parte del mondo, è mio ugualmente. Abbiamo interiorizzato qualcosa di brutto, questa tendenza a pensare che finchè una cosa non ci accade in prima persona allora non ci tocca. Per me non è così, è un po'come il mare, che è pieno di plastica anche se non lo vediamo. Uno spettacolo non cambierà il mondo - conclude - ma il pubblico ha una sua intelligenza e soprattutto il suo cuore e per questo spero sempre che a qualcuno il messaggio arrivi".